giovedì 9 dicembre 2010

L'ultima mossa di Lula: riconosce la Palestina

Anche l'Argentina pronta a farlo. Rabbia di Netanyahu: «tristezza e delusione»
Francesca Marretta
Gaza City
La grande stampa internazionale non ha dato risalto alla faccenda, ma lo scorso venerdì, il Brasile ha riconosciuto lo Stato Palestinese sulle frontiere fissate nel 1967. Il riconoscimento dello Stato di Palestina è la risposta del Presidente uscente Luiz Ignacio Lula de Silva, a una richiesta avanzata dal suo omologo palestinese, Mahmoud Abbas, il 24 novembre scorso. Lula si è invece augurato che questa mossa politica che arriva agli sgoccioli della presidenza, contribuisca ad accelerare la creazione di due Stati che «possano coesistere pacificamente e in sicurezza».
E dopo il Brasile, ieri è stata la volta dell'Argentina. La presidente argentina, Cristina Fernandez Kirchner, ha parlato al telefono con l'omologo palestinese Abbas, comunicando la propria disponibilità a riconoscere uno Stato palestinese "libero e indipendente". Una scelta fatta in precedenza, tra gli Stati sudamericani, da Bolivia, Costa Rica, Cuba, Nicaragua, Venezuela e Uruguay. Nel mondo sono ora un centinaio circa i paesi che riconoscono la Palestina come Stato. Pur trattandosi di un atto politico che ha una valenza sopratutto simbolica, il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di una potenza emergente come il Brasile, è sintomo dell'inizio di un processo. Lo si capisce dalla reazione a dir poco nervosa del governo di Bibi Netanyahu, che ha espresso al Brasile «tristezza e delusione» per la scelta di considerare la Palestina come Stato sovrano, parlando poi di «violazione degli accordi» da parte dei palestinesi che «danneggiano la fiducia tra le parti». Per il governo israeliano i palestinesi sarebbero venuti meno «all'accordo provvisorio firmato da Israele e dall'Autorità palestinese nel 1995, che afferma che la questione dello status della Cisgiordania e della Striscia di Gaza sarà stabilito sulla base di negoziati». Ma quello che sta accadendo è proprio conseguenza dell'encefalogramma piatto del negoziato con Israele. Che solo pochi giorni fa, ha nei fatti risposto picche alle richieste della Casa Bianca di dare una chance alla ripresa dei colloqui diretti con i palestinesi, dando via libera a nuove costruzioni nell'insediamento di Pisgat Zeev, costruito su terra della West Bank, a ridosso di Gerusalemme est. Del resto lo stesso ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, che è anche vice-Premier, ha detto ieri dalla Slovenia, dove si trova in visita, che Israele non vede «alcun motivo per estendere la moratoria visto che i negoziati sono comunque bloccati».
Il segretario del comitato esecutivo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), Yaser Abdel Rabbo, ha sottolineato nel contempo che la scelta del Brasile sta incoraggiando altri governi a riconoscere lo Stato palestinese.
L'attuale esecutivo di destra israeliano può consolarsi per la delusione procurata da Silva, con le parole del leader xenofobo olandese Geert Wilders che guida il terzo partito olandese, che pur non facendo parte della coalizione di governo offre all'esecutivo un fondamentale appoggio esterno. Tre giorni fa Wilders ha dichiarato che Israele dovrebbe continuare a costruire insediamenti ed anzi annettersi la Cisgiordania, mandando i palestinesi in Giordania. Quello che il ministro xenofobo non ha considerato è che la pace di cui parla senza convinzione, potrebbe essere stipulata, un giorno, tra Stati sovrani e non tra occupante e occupato.

Liberazione 07/12/2010, pag 7

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