venerdì 3 dicembre 2010

Irlanda, ex beniamina del liberismo

Se l'ex allieva del liberismo è costretta a pagare il conto

Nicola Melloni
Come tutti ricordiamo, a Maggio la speculazione internazionale aveva attaccato la Grecia. La spiegazione standard che ci era stata data era che la penisola ellenica era colpevole di quello che le stava succedendo. I dipendenti pubblici non lavoravano abbastanza - e dunque andavano licenziati e i loro salari dovevano diminuire - ed in generale i lavoratori dovevano pagare per i troppi privilegi di cui avevano goduto. Era necessario il sacrificio di tutti (non dei ricchi, però, il vero motore dell'economia) per rimettere in sesto la nazione. Ora, a Novembre, è la volta dell'Irlanda, e gli avvocati del liberismo hanno più problemi a dare spiegazioni "convincenti". Fino ad un paio di anni fa la verde isola era la beniamina dei mercati internazionali e del Fondo Monetario Internazionale e, così come la Spagna che rischia presto la stessa sorte, era l'esempio perfetto di come la flessibilità funzionasse e di come il mercato lasciato libero da lacci e lacciuoli portasse inevitabilmente benessere e ricchezza per tutti. Infatti.
Di sicuro l'Irlanda non era un paese "spendaccione". Nel 2007 il debito pubblico irlandese era il 12 percento del Pil, assai inferiore a quello della Germania (non parliamo della Grecia e dell'Italia). Ora, dopo due anni di politiche economiche restrittive e di tagli, la situazione è assai peggiore, col rischio nei prossimi anni che Dublino arrivi a decuplicare il suo debito. Perchè? Beh, naturalmente per pagare i conti dei banchieri. Non c'entra nulla l'assistenzialismo, non c'entrano nulla i privilegi dei lavoratori "scansafatiche" come erano stati definiti quelli greci. La soluzione proposta, però, è la stessa. Finanziaria draconiana, licenziamenti, tagli allo stato sociale e alle retribuzioni. Nuovamente, tutti devono farsi carico di questa situazione. No, non tutti. La tassazione sulle imprese al 12.5 percento non deve essere toccata, pena la fuga in massa delle multinazionali che erano andate in Irlanda per sfruttare il dumping fiscale che era, in fondo, il vero "segreto" della crescita dell'Irlanda negli ultimi dieci anni. Quindi, lavoratori e popolazione tutta devono stringere la cinghia e pagare le conseguenze di una crisi provocata da altri, mentre le imprese non devono essere toccate. Questa è la democrazia liberale che domina l'Europa nel 2010. Cosa dicono a tal proposito gli elettori irlandesi? Non è importante. Vero, il governo, forse, si dimetterà e si indiranno nuove elezioni. Ma questo avverrà solo dopo l'approvazione della finanziaria con cui si chiederanno lacrime e sangue alla popolazione. Dopo che le decisioni sono state prese, votate pure. Un bell'esempio di democrazia. D'altronde, bisogna dirlo, è proprio questa idea di democrazia che abbiamo propagato nel mondo negli ultimi 2 decenni, grazie all'intervento del Fondo Monetario Internazionale. In ogni situazione di crisi, interveniva il FMI, imponeva tagli alla spesa pubblica, riduzione dei salari, deflazioni forzate e prendeva in ostaggio i parlamenti nazionali, svuotati da qualsiasi potere decisionale. Le politiche economiche venivano decise a Washington, non a Bangkok, Seul, Brasilia, Adis Abeba, la sovranità popolare si esprimeva semplicemente nell'accettare tali pacchetti pre-confezionati, con la minaccia sempre presente che un rifiuto sarebbe equivalso ad un suicidio, attirando le voglie speculative degli finanzieri di mezzo mondo. In realtà, ogni tanto, si sono trovati paesi capaci di mandare il FMI a quel paese, come la Malesia nel 1997 e l'Argentina nel 2001 e il rifiuto dell'assurda ottica neo-liberale non ha portato al disastro, tutt'altro. Il FMI e la UE chiedono all'Irlanda e alla Grecia quello che si era chiesto ai paesi in via di sviluppo nel corso degli anni Novanta: programmi di aggiustamento strutturale. Ma è una strada che non porta da nessuna parte, anzi, peggiora il problema. Le finanze pubbliche di questi paesi sono state distrutte dallo tsunami finanziario e dalla conseguente recessione che ha fatto crollare le entrate fiscali. L'unica maniera per invertire questo trend è stimolare la crescita economica per far risalire le medesime entrate fiscali. D'altronde la dinamica del debito pubblico è perfettamente sostenibile anche nel medio periodo in caso di crescita economica. Non a caso la Cina per prevenire il calo del PIL conseguente alla diminuzione della domanda internazionale ha lanciato un vasto programma di opere infrastutturali per rimpiazzare il calo delle esportazioni con una crescita della spesa pubblica. Un programma coerentemente pro-ciclico e keynesiano. Quello che si chiede all'Irlanda è l'esatto contrario. L'aiuto europeo e del FMI arriva solo in cambio della promessa di tagliare tutto il possibile e lasciare che l'economia vada a picco per compiacere i mercati internazionali. Non ci si vuole rendere conto che le cause vere della recessione sono da cercarsi nella svolta neo-liberale degli ultimi decenni, non si tentano cambiamenti di rotta e si vuole addirittura perserverare nella strada sbagliata, in maniera ancor più decisa che in passato. A rischio c'è il modello europeo di capitalismo temperato e democratico che ha caratterizzato sessant'anni di sviluppo economico, sociale e politico dei nostri paesi, e lo si tenta di rimpiazzare con un mercato tecnocratico ed ingiusto che prevalga su qualsiasi forma di sovranità internazionale. E' la stessa minestra riscaldata che è stata proposta ai paesi in via di sviluppo e l'Europa ormai sembra diventata l'ombra di quel che era, commiserata dal resto del mondo e alla mercè della speculazione. Invece di ribellarsi, rilanciando la sua storia e le sue conquiste, abbassa la testa, rassegnandosi in questo modo ad un futuro di marginalità, ad un futuro di miseria.

Liberazione 25/11/2010, pag 2

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