mercoledì 27 ottobre 2010

Da Wikileaks le prove: la guerra in Iraq è un bagno di sangue

La più grande fuga di notizie nella storia dell'esercito Usa. Centinaia di torturati

Francesca Marretta
Iraq, estate 2005. Un plotone militare americano a cavallo manda civili iracheni in avanscoperta su strade che suppone siano minate. Le "cavie" credono di aver rimediato un lavoretto per la giornata: «ripulire la strada da macerie e rifiuti». Questo racconto da brivido non è estratto da un romanzo. E' la realtà nascosta sul fronte iracheno. Si tratta di uno dei quasi 400mila file secretati resi pubblici dal sito WikiLeaks. Che dopo le rivelazioni dell'estate scorsa sulle omissioni e le menzogne relative alla guerra in Afghanistan, alza ora il sipario sul teatro dell'orrore che è stata la guerra in Iraq. Un conflitto con numeri da riscrivere. Documenti segreti alla mano, il riconteggio dei morti iracheni per cause violente, tra il 2003 e il 2009, è aggiornato a 122mila vittime. Di queste 66mila erano civili. Più della metà del totale.
Secondo l'organizzazione londinese Iraq Body Count, che tiene il conto delle vite spezzate in terra di Babilonia, i morti civili che mancavano all'appello erano ben quindicimila. Gli incidenti in cui questo numero impressionante di iracheni ha perso la vita, erano rimasti del tutto sconosciuti. Morti coperte dal segreto militare, di cui nessuno avrebbe dovuto sapere nulla. Prima della pubblicazione dei file secretati, a Iraq Body Count risultavano infatti 107.369 civili uccisi per la guerra.
Le cifre della morte in Iraq, fanno impallidire, al confronto, la pur terribile situazione in Afghanistan. Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, ha sottolineato ieri che il numero dei morti in Iraq è stato, infatti, «cinque volte più alto». Ma anche sulla guerra in Afghanistan, annuncia WikiLeaks, salteranno fuori tra poco nuovi scottanti documenti, finora sconosciuti.
I file iracheni messi in rete da Wikileaks, frutto di una gola profonda nell'intelligence Usa, sono stati forniti a importanti media come The Guardian, Le Monde, Die Spiegel, il New York Times ed Al Jazeera, che per prima ha scoperchiato questo nuovo vaso di Pandora, mettendo tutto in rete meno di 36 ore fa. In Iraq, tanto per citare solo alcuni degli episodi-vergogna, i militari Usa hanno scoperto cadaveri di «migliaia di uomini e donne vittime di esecuzioni sommarie», mettendo tutto a tacere. Ancora, l'esercito americano si è del resto reso responsabile dell'uccisione, ai check-point, di almeno 681 civili, tra cui molte donne e bambini. Dalle rivelazioni del sito specializzato in Intelligence, emergono sopratutto enormi responsabilità delle forze di sicurezza irachene, regolarmente coperte, dai militari americani e britannici. Un atteggiamento complice che riguarda in particolare episodi di tortura, abusi e violenze sessuali, perpetrate sistematicamente da esercito e polizia iracheni nei confronti di detenuti della loro stessa nazionalità. Nei file si parla ad esempio di prigionieri ammanettati, bendati e appesi per i polsi o per le caviglie che vengono frustati, presi a pugni, o anche sottoposti a elettroshock. In sei di questi documenti viene riportata la morte del detenuto. Un esempio di menzogna e copertura? Il 27 agosto 2009, un referto medico americano parla di «bruciature e lesioni, oltre che evidenti ferite alla testa, braccia, dorso, collo e gambe, sul corpo di un uomo che la polizia irachena dichiara morto per suicidio. Altro esempio? Il 3 dicembre 2008, un detenuto morto ufficialmente per «problemi renali», riportava sul corpo «tracce visibili di procedimenti chirurgici sconosciuti all'addome».
Molti dei documenti secretati relativi a casi del genere, si concludono con la formula: «non essendo coinvolte le forze internazionali nel presunto abuso, non è necessaria alcuna ulteriore indagine». Un portavoce del Pentagono, citato ieri dal New York Times, ha insistito, davanti all'evidenza, che la politica Usa sui detenuti iracheni «è sempre stata conforme al Diritto internazionale». Ma dai documenti pubblicati risultano, persino dopo lo scandalo del carcere di Abu Ghraib, almeno altri 300 casi di abusi di prigionieri iracheni per mano di soldati americani.
E mentre Assange suggerisce ai democratici statunitensi di usare questa massa di rivelazioni per «chiedere conto» ai repubblicani di questa vergogna provocata dall'Amministrazione Bush, il segretario di Sato Usa Clinton gli si rivolta contro, sottolineando piuttosto, che le rivelazioni di WikiLeaks mettono in pericolo gli americani impegnati in Iraq. Analogo atteggiamento è tenuto dal Ministero della Difesa britannico. Durante una conferenza stampa tenuta ieri a Londra, Assange ha difeso la decisione di pubblicare i file per «ristabilire la verità» su quanto accaduto in questi anni in Iraq. E a proposito ha aggiunto: «Si dice che la prima vittima della guerra sia la verità e così è stato». Ma la sensazione orribile, pensando alle reazioni ufficiali americane e britanniche, è che così è e così sarà.

Liberazione 24/10/2010, pag 6

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