Scudo missilistico, disarmo nucleare: le proposte del segretario Rasmussen. Ma c'è una crepa tra Parigi e Berlino
Matteo Alviti
«Il nostro core business, cioè la protezione dei nostri territori e cittadini, non cambierà mai. Ma abbiamo bisogno di una difesa moderna contro le minacce moderne». Sta tutto qui, nelle parole pronunciate lunedì dal segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen durante un briefing, il senso del «nuovo concetto strategico» della Nato. Ma quali sono le nuove minacce? E quali strumenti mettere in campo per difendersi?
La bozza del progetto di riforma dell'Alleanza atlantica - che sarà approvato in via definitiva durante il vertice di Lisbona del prossimo novembre - è stato discusso ieri a Bruxelles in una riunione congiunta, piuttosto inusuale, dei ministri della difesa e degli esteri. Ed è piaciuta quasi a tutti. Quasi.
I ministri hanno affrontato le proposte del segretario Rasmussen su difesa missilistica, cyber difesa, attacco alle fonti energetiche, disarmo nucleare. Il tutto in dieci agili paginette, la base per le future trattative. Le posizioni dei paesi membri sembrano abbastanza concilianti, ma c'è una crepa al centro dell'Europa, tra Francia e Germania, che non può essere sottovalutata. Anche per quel che significa rispetto ai rapporti con la Russia.
Berlino da tempo spinge per il disarmo nucleare e sarebbe favorevole alla sostituzione del principio della deterrenza con un efficiente scudo missilistico che faccia da ombrello all'Europa. Ipotesi, quella dello scudo missilistico, mai digerita dal Cremlino. Parigi mantiene invece le sue «riserve» sul sistema di difesa antimissile, come ha ribadito ieri il ministro della difesa Morin. «Restano ancora molte incertezze tecnologiche e finanziarie», per cui «molti paesi auspicano chiarimenti». Senza contare che per il ministro francese il sistema non avrebbe che la capacità di «affrontare minacce di uno stato terroristico dotato di mezzi nucleari rudimentali. Ma è questa la minaccia moderna di cui parlava Rasmussen? Lo scudo antimissile potrebbe essere un «complemento» alla deterrenza nucleare, non un sostituto. Senza contare che «non si può voler costruire uno spazio di pace e sicurezza senza discutere con la Russia».
Nonostante le polemiche Rasmussen ha espresso ottimismo sulla possibilità di un via libera al nuovo scudo antimissile al summit di Lisbona. Proprio come il segretario di stato Usa Hillary Clinton, che ieri ha definito il nuovo concetto come «un eccellente progetto», che «trova un buon equilibrio in molti campi, in particolare il disarmo, la dissuasione, le relazioni tra la Nato e la Russia». Tutte questioni in realtà piuttosto aperte. Per l'Italia, secondo il portavoce della Farnesina Massari si tratta di «un buon testo, equilibrato»: «un buon compromesso tra il principio della deterrenza nucleare e la prospettiva di andare verso un mondo senza armi nucleari».
L'ultimo «concetto strategico» era stato approvato più di dieci anni fa, ai tempi della guerra del Kosovo. Da allora il mondo è cambiato. In peggio. L'undici settembre, l'attacco all'Afghanistan, dove oggi le truppe Nato operano come Isaf. C'è da ridefinire un orizzonte strategico, che chiarisca innanzitutto il campo d'intervento della Nato. Un punto che in passato, e anche in futuro, ha creato e creerà qualche dissidio. Concentrare le forze sulla difesa dei confini dei propri territori, come sembrano volere i membri europei, oppure adottare una strategia più aggressiva, come chiedono gli Usa, che agisca su un orizzonte geografico più ampio. L'aveva esplicitato chiaramente qualche mese fa il segretario statunitense alla difesa Robert Gates quando in un discorso a Washington, ricorda la Bbc, aveva sostenuto l'idea che la demilitarizzazione europea era forse andata troppo avanti.
Anders Fogh Rasmussen sta tentando oggi di trovare un equilibrio tra questi due orientamenti, propendendo forse più per la versione statunitense: il nuovo progetto, ha detto il segretario, dovrà dare «mandato alla Nato di muoversi anche oltre rispetto a dove si sia spinta finora». Per poi aggiungere che «le partnership sono centrali per il nostro successo. E dobbiamo quindi collaborare più attivamente con i partner in tutto il mondo». Cosa significhi tutto questo - tra pattugliare le coste della Somalia o assurgere definitivamente al ruolo di «polizia internazionale» - è ancora presto per dirlo.
Liberazione 15/10/2010, pag 4
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