mercoledì 13 ottobre 2010

Il permesso a punti di Veltroni, teoria che fa a pugni con la realtà

Ancora l'esperienza fallimentare delle quote. Ma chi potrà acquisire il punteggio?

Stefano Galieni
"Come nel resto del mondo: selezione a punti". È questa la proposta lanciata all'assemblea nazionale del Pd che si è tenuta nello scorso fine settimana a Varese dal "gruppo dei 75", la corrente che fa riferimento a Veltroni. Partendo dagli studi del demografo Massimo Livi Bacci, è emersa una richiesta di modifica del documento già in discussione "Impariamo a vivere insieme" con una proposta che immediatamente ha trovato il plauso di Udc, Api e la disponibilità di Cicchitto (Pdl), quella di operare all'origine dei percorsi migratori. L'assemblea del Pd si è detta pronta a discuterne, fermo restando il fatto che il documento approvato era inemendabile. Purtroppo, ad una lettura delle 16 pagine del testo integrale, accanto a buone intenzioni sembra di cogliere ancora un'analisi della presenza migrante in Italia superficiale e non basata su conoscenze empiriche. In fondo il testo fa propri gli assunti di Veltroni - Livi Bacci è comune ispiratore - quando riafferma la necessità di ragionare su "quali immigrati" debbono poter entrare regolarmente. Nell'affermare un principio che nei fatti ha dimostrato scarsa applicabilità, quello delle quote, si sceglie apertamente una politica utilitaristica che mette al riparo solo e in parte i richiedenti asilo. Il principio di fondo è semplice: "consiste- recita il documento - nell'attribuire al candidato (ad entrare) un punteggio per ogni caratteristica individuale di una determinata lista e di farne la somma: chi supera una determinata soglia è ammissibile, in funzione delle quote o dei tetti numerici adottati. Si prendono in considerazione età, stato civile, grado di istruzione, conoscenza della lingua, della cultura, dell'ordinamento, capacità di guadagno o di produrre reddito, specializzazione lavorativa, talenti particolari". Secondo i redattori del testo un percorso di questo tipo ha il vantaggio della trasparenza e dell'obiettività per i criteri di cernita adottati. Un ragionamento che in un Paese in preda alla paura, che per caratteristiche geopolitiche e territoriali si trova in Europa ad essere crocevia di passaggi, appare dettato da buon senso riformista e che invece rischia di impattare sulla cruda realtà. La realtà è quella delle decine di migliaia di persone impossibilitate a fornirsi di questi requisiti che continueranno ad entrare irregolarmente in Italia attirate dalla fiorente economia informale di cui difficilmente ci si vuole privare. Ad esempio collaboratrici familiari e badanti che sostituiscono un welfare assente, operai dell'edilizia e braccianti agricoli che vengono assunti al nero con paghe da fame per mantenere bassi i costi del lavoro. Le osservazioni di Livi Bacci poi sembrano non considerare, anche volendole accogliere, un elemento strutturale. Gli ingressi selezionati sono risultati possibili laddove fra paesi di emigrazione e paesi di accoglienza si parla una lingua comune. Chi è oggi in grado di corrispondere a tali graduatorie in Italia, in quali paesi i giovani che cercano di "bruciare le frontiere" hanno accesso a studi di lingua cultura e ordinamento italiani? Nel documento si ripropone poi di stimolare i rapporti bilaterali con i paesi di emigrazione, che finora si sono tradotti solo nella possibilità di accelerare i rimpatri, e si insiste sulla possibilità di sviluppare partenariato e cooperazione. Ci sono elementi positivi che sembrano valere soprattutto per chi è già presente: viene data per acquisita la necessità di garantire più facile accesso alla cittadinanza per chi è nato o cresciuto in Italia, si risponde all' "accordo di integrazione" siglato dal governo ( il permesso di soggiorno a punti) con un progetto di legge per rendere un diritto, anche attraverso il meccanismo delle 150 ore, l'apprendimento della lingua e della cultura italiana per gli adulti. Si riprendono alcuni spunti contenuti anche nel ddl Amato-Ferrero della scorsa legislatura: combattere il lavoro irregolare garantendo i lavoratori, ridurre i tempi di rilascio dei permessi di soggiorno e adottare forme di regolarizzazione ad personam. Per chi arriva si prefigura la possibilità di ingresso per ricerca lavoro, conversione del permesso di soggiorno per altri motivi in permesso per ragioni di lavoro. Anche il trasferimento ai Comuni delle competenze relative al rilascio dei permessi e l'estensione del diritto di voto rientrano nello schema presentato in passato. C'è una critica parziale alla politica dei respingimenti, si chiede l'applicazione del trattato con la Libia, accettando la possibilità che in tale paese possa innescarsi un percorso di maggior rispetto dei diritti umani, si parla genericamente di un piano per rom e sinti ma in maniera astratta, si condanna l'introduzione del reato di clandestinità ma non si chiede l'abolizione totale delle norme sull'immigrazione del pacchetto sicurezza, si ignorano i Cie e non ci si pone il problema della necessità di veder separati il contratto di lavoro e il permesso di soggiorno, la cui durata peraltro non è messa in discussione. Insomma un testo con poche luci e tante ombre che sembra recare ancora forti elementi di subalternità alla cultura di destra e alle logiche di mercato ma da cui traspaiono anche segnali di cui tener conto. Segnali che sono ancora in ritardo, in una società che cambia più rapidamente di quanto la politica voglia capire e accettare.

Liberazione 12/10/2010, pag 4

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