mercoledì 13 ottobre 2010

Il Nobel che "contesta" i capisaldi neoliberisti

Premiati tre economisti per i loro studi su mercato del lavoro e intervento pubblico

Nicola Melloni
Il premio Nobel per l'economia è stato quest'anno assegnato a Peter Diamond, Dale Mortensen e Christopher Pissarides, economisti che si sono occupati, durante la loro vita accademica, dello studio di mercati imperfetti ed in particolare del mercato del lavoro. Il premio ai tre accademici è un riconoscimento importante, soprattutto in questo periodo. I tre, infatti, hanno concentrato la loro attenzione sulle interazioni tra mercato e governo, un tema particolarmente caldo in questo momento di crisi economica e di fallimento del mercato ed ancora più scottante dato l'aumento vertiginoso della disoccupazione in questi ultimi due anni.
Proprio il tema della disoccupazione è tra i capisaldi dell'ideologia neo-liberista sviluppata da Milton Friedman e divenuta paradigma ed ortodossia delle scienze economiche a partire dagli anni Settanta. In ottica neo-liberale esiste solo un tipo di disoccupazione, quella volontaria. In un mercato senza distorsioni i salari sono flessibili e al livello corrente di retribuzione i lavoratori decidono se accettare l'impiego o meno. Durante le crisi congiunturali, di conseguenza, la disoccupazione cresce solo in virtù del fatto che ad un livello salariale più basso corrisponde un minor numero di lavoratori disposti a lavorare. In maniera altrettanto sistemica si possono descrivere i continui cambiamenti settoriali: il lavoro si sposta dai settori obsoleti a quelli in espansione, senza incontrare nessun ostacolo sulla propria strada. Dunque la flessibilità contrattuale - la precarizzazione per usare un termine più vicino alla realtà dei fatti - risulta essere efficiente, favorendo i cicli di ristrutturazione del capitale a costi praticamente zero per il lavoro.
Il contributo dei tre premi nobel (ed in particolare di Diamond, recentemente proposto da Obama per un posto nel consiglio della Fed e bloccato dal veto repubblicano in Senato), invece, spiega che anche in un mercato i cui salari siano perfettamente flessibili esiste comunque una discrepanza tra coloro che sono in cerca di occupazione ed i posti di lavoro effettivamente disponibili. Questo perché ci sono dei costi da sostenere nella ricerca del lavoro e l'informazione non è immediatamente accessibile per tutti i disoccupati e questo crea costi più alti per il sistema ed equilibri economici inefficienti.
La conseguenza più diretta di queste analisi è che l'intervento pubblico è efficiente (termine chiave, in quanto rappresenta l'alfa e l'omega della teoria economica neo-classica), almeno in alcuni casi. Un sussidio di disoccupazione, lungi dall'impedire una ricollocazione del disoccupato sul mercato del lavoro, può anzi avere un effetto opposto - cioè dare il tempo al disoccupato di trovare il lavoro adatto al suo livello di professionalità e di istruzione. Allo stesso tempo, una flessibilità contrattuale esasperata ed un'alta mobilità del lavoro - il ritornello con cui governo, Confindustria, profeti e guru del mercato ci assordano da almeno vent'anni - sono deleteri, in quanto il mercato non è nelle condizioni di ricollocare i disoccupati "temporanei" in breve tempo e non lo fa, comunque, in maniera efficiente, cioè accoppiando posto di lavoro con miglior lavoratore disponibile. Il discorso si può espandere ulteriormente: in alcuni casi i sussidi pubblici alle imprese (il nemico pubblico numero uno per ogni liberale) hanno una ragione economica e non semplicemente sociale e politica, in quanto possono evitare un equilibrio disoccupazionale così alto da rendere ingestibile il mercato del lavoro.
In conclusione, i lavori di Diamond, Mortensen e Pissarides sono una buona lettura non soltanto per gli studenti di economia ma soprattutto per governanti e legislatori che, tetragoni ed ideologizzati, continuano a proporci modelli di politica economica che non hanno solide basi teoriche e che, soprattutto, sono stati smentiti dai fatti. La lezione è semplice e va addirittura al di fuori delle tradizionali divisioni politiche: il mercato ha dei limiti ed è compito di ogni buon governo (e non solo di quelli di sinistra) intervenire per correggerli.

Liberazione 12/10/2010, pag 6

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