mercoledì 27 ottobre 2010

Il declino degli yuppies e la carica degli insider Wall Street 23 anni dopo

Nel sequel del fim di Oliver Stone la parabola del neocapitalismo americano

Roberta Ronconi
Il primo fu profetico, uscendo in sala pochi giorni prima del crollo della Borsa americana del 1987. Il secondo si affaccia al mondo con qualche ritardo rispetto al cuore dell'attuale crisi, ma è stato realizzato nei tempi giusti. Come a dire che Stone marca stretta la salute del capitale.
La struttura del racconto di Wall Street 2 - elaborato da una serie di penne, tra cui quella del broker Allan Loeb - è fedele alla tradizione. Gordon Gekko (il consumato broker, interpretato da Michael Douglas) esce di prigione con i canini a dir poco spuntati. Si è fatto otto anni («a quelli che ammazzano ne danno al massimo cinque», si lamenta) per frode, riciclaccio e insider trading. Ad aspettarlo al cancello del penitenziario non c'è nessuno. La reclusione gli ha dato modo di riflettere sul vero senso della vita («i soldi non hanno più valore per me, il tempo sì») e su ciò che conta davvero, come l'affetto della figlia Winnie (Carey Mulligan) che lo ha cancellato dalla sua agendina dopo la morte per overdose del fratello e il ricovero psichiatrico della madre. La piccola è un'attivista di sinistra, che se ne frega del danaro e combatte solo per le cause giuste, come la salvaguardia dell'ambiente. Anche per questo si è innamorata di Jake (Shia LaBeouf), broker accanito ma che spende tutti i suoi guadagni per finanziare la ricerca sulle energie alternative. Versione buona di papà.
Tutto andrebbe al posto giusto se l'avidità ("greed" in inglese) non prendesse di nuovo il sopravvento.
«Greed is good» («l'avidità è buona», «e poi non ammazza nessuno, è solo una questione di soldi») era il grido di battaglia di Gekko nel primo Wall Street. Una frase - e un antieroe - che Stone aveva coniato per far venire bolle di ribrezzo sulla pelle degli americani. E invece quelli - e non solo - si appassionarono talmente tanto al motto da farlo diventare legge, incoronando Gekko idolo degli yuppies anni Ottanta. La sua fama è stata tanto duratura che persino a distanza di 23 anni tutto il mondo della finanza e delle banche ha fatto a spallate per partecipare anche solo come comparsa a questo sequel, spalancando porte di uffici e palazzi a Stone e ai suoi. Gekko se la ride: «ai miei tempi l'avidità era solo buona. Ora è diventata anche legale».
«Nel 2008 personaggi come Gekko non hanno in realtà più possibilità di esistere», racconta Stone della sua creatura. «In venti anni lui è stato sostituito da istituti che un tempo avevano regole da rispettare. Una volta una banca era una banca e una compagnia di assicurazione una compagnia di assicurazione. Oggi, dopo venti anni di deregulation, non esiste più alcuna regola che limiti le funzioni di questi istituti».
Contro gli eroi cattivi di questa storia gli sceneggiatori di Wall Street 2 scatenano la coppietta di innamorati, in verità assai scialbi, coadiuvati da scienziato pazzo alla ricerca della formula dell'energia pulitissima proveniente dall'Oceano. Un mondo piccolo piccolo, senza forma né nerbo, che rende assai fiacca la struttura narrativa di Stone. E' lui stesso a dire: «questo film si differenzia dall'altro perché qui in gioco ci sono da una parte il denaro, dall'altra l'amore. Due elementi su una bilancia, con cui l'ambiguità di ogni personaggio deve fare i conti».
In realtà l'amore - rappresentato da una squadretta assai misera - da questo Wall Street 2 ne esce a pezzi, uno straccetto piagnucoloso e logoro nei cui confronti la sete di potere fa gran miglior figura. Per questo il film alla fine risulta meno riuscito del suo prototipo, in cui l'avidità non se la doveva vedere con nessun altro annacquato sentimentalismo.
Non parliamo poi dell'alternativa al brutto capitalismo. Se deve essere quella dello scienziato pazzo affiancato da Winnie (the Pooh) stiamo freschi! Lo sa bene anche l'impavido Stone, che alla domanda birichina sui mali del capitalismo, presentando il film al Festival di Cannes rispose: «E' un sistema che non sembra funzionare, troppa gente continua a soffrire. Ci avevano detto che il sistema si sarebbe alla lunga corretto da solo, ma non è vero. Le disparità aumentano e quelli che ci rimettono più di tutti sono i lavoratori. Un mondo di ingiustizie che andrebbe corretto».
Parole sante, ma non proprio illuminanti. Certo, il compito di illuminare la via non spetta a Stone o a Michael Douglas, ci mancherebbe. Ma se nemmeno loro riescono a mettere in piedi una battagliuccia di fiction un po' più sostanziosa tra le forze del male e quelle del bene, allora stiamo alla frutta. Quando neppure l'amore ci aiuta più a sognare, vuol dire che ci siamo accomodati nella bocca del pescecane e che non ne usciremo tanto presto.

Liberazione 22/10/2010, pag 6

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