mercoledì 20 ottobre 2010

Via al Comitato centrale dei comunisti cinesi

Il partito decide di economia e apre la discussione sulla futura leadership

Matteo Alviti
Dell'agenda politica in discussione, ufficialmente, non si sa nulla. Le autorità cinesi hanno tenuto il massimo riserbo sui contenuti del meeting annuale di quattro giorni del Partito comunista, che si è aperto ieri a Pechino per discutere il prossimo piano economico quinquennale e iniziare il processo di selezioni dei leader che saliranno al potere fra due anni.
Nessuna notizia certa, come accade ogni anno prima della fine del meeting, eppure alcune indiscrezioni lasciano pensare che quest'anno i vertici del partito comunista, invece di cercare di mantenere una crescita economica esasperata come quella degli anni scorsi, puntino più decisamente a tentare di chiudere in parte la forbice che separa i ricchi dai poveri, portando un po' del benessere ormai diffuso lungo la costa orientale verso l'interno del paese, dove la ricchezza rimane in larghissima parte un miraggio. Il malessere della popolazione è cresciuto molto nell'ultimo periodo, dando luogo a scioperi e proteste a volte anche violente, che hanno ottenuto aumenti salariali e condizioni di lavoro migliori, ma la strada è ancora lunga.
Sotto pressione da parte della comunità internazionale per il mancato rispetto delle libertà civili e, internamente, per la lettera critica scritta da ventitre influenti membri del partito, i circa trecento membri del comitato centrale dovranno selezionare anche gli uomini che guideranno il paese nel prossimo futuro, a partire dal 2012. In corsa, ai primi posti, ci sarebbero il vicepresidente Xi Jinping e il vicepremier Li Keqiang, che rispettivamente potrebbero andare a occupare i posti di Hu e Wen. Xi e Li sono gli unici due membri tra i nove del politburo che nel 2012 non saranno costretti a lasciare per aver raggiunto il limite massimo di due mandati. Dei due si dice che Xi, figlio del veterano della rivoluzione Xi Zhongxun, debba il suo alto grado all'interno del partito alle relazioni familiari. Li ha invece alle spalle una carriera più movimentata: partito come lavoratore manuale in una comune agricola, è considerato un fedelissimo del presidente Hu.
Secondo le speculazioni dei giorni scorsi il comitato centrale potrebbe affrontare anche la questione spinosa di una riforma politica che allenti il controllo del partito sul paese. Le recenti aperture del premier Wen Jiabao, notoriamente più liberale del presidente Hu Jintao, sembrano confermare l'esistenza di un contrasto sul tema tra i massimi vertici del partito.
Oltre all'ormai nota intervista alla Cnn, in cui all'inizio di ottobre aveva detto che in Cina presto «ci sarà un irresistibile desiderio di libertà e democrazia», in agosto Wen aveva dichiarato che «senza riforme politiche la Cina avrebbe potuto perdere quel che aveva già ottenuto attraverso le riforme economiche». Opinioni controverse, non condivise dalla maggioranza del gotha politico, come lascia pensare il fatto che quelle dichiarazioni non hanno trovato posto sulla stampa nazionale.
Sulla frattura all'interno del potere potrebbe poi certamente anche pesare la recente assegnazione del premio Nobel per la pace al dissidente attivista per i diritti umani Liu Xiaobo, attualmente in carcere, dove sta scontando una pena a 11 anni. Dopo l'assegnazione del comitato svedese un gruppo di più di cento attivisti e intellettuali cinesi hanno firmato una petizione che chiede il rilascio di Liu.
Ma non tutti sono ottimisti: «Hu Jintao ha un grande potere e non ha intenzione di dare il via a manovre che provochino cambiamenti rapidi», ha commentato Willy Lam dell'università di Hong Kong. Il plenum del comitato centrale probabilmente si concluderà con qualche promessa superficiale e niente di più»
Del resto le nuove nomine non sarebbero garanzie di nulla. Lo stesso Hu era salito al potere nel 2003 circondato dalla speranza che potesse aprire un po' in senso liberale la politica cinese. Speranza vana.

Liberazione 16/10/2010, pag 6

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