mercoledì 20 ottobre 2010

Il Sud Sudan aspetta il suo referendum. E la pace. Verso la secessione?

Sulla consultazione l'ombra della guerra civile e dei suoi quasi tre milioni di morti

Sonia Drioli
«Almeno uno dei tre membri dei Comitati che verranno istituiti nei centri referendari deve essere donna. Le donne sono una componente fondamentale della società, non possiamo ignorarle».Cosi Chan Reec, presidente della Commissione per il Referendum in Sud Sudan, parla ai microfoni di "Radio Good News", emittente locale, durante il discorso di insediamento del Sottocomitato per il Referendum nello Stato dei Laghi.
Mercoledì 13 ottobre hanno infatti prestato giuramento i 40 membri del Sottocomitato, nel quale ognuna delle contee dello Stato dei Laghi - uno dei 10 stati che compongono il Sudan meridionale- ha espresso i suoi candidati.
Il processo per arrivare al referendum in Sud Sudan è complesso e pesante come il bilancio della guerra civile che dal 1983 al 2005 ha insanguinato quest'area: 2,5 milioni di morti, 5 milioni di emigrati all'estero e un numero imprecisato di trasferimenti forzati e sfollamenti.
Conflitto tra il Nord, dove si trova la capitale Khartoum, e il Sud indipendentista. «Questo non è un semplice referendum, né una semplice elezione, perché stavolta i sud sudanesi decideranno del loro destino".
Chan Reec si è congratulato per i progressi compiuti dallo Stato dei Laghi, il primo a presentare la lista dei Centri referendari, ma allo stesso tempo ha ricordato l'urgenza di creare i Comitati in ciascuno dei Centri, nominandovi tre persone di cui una donna. Scadenza per la presentazione delle liste per Comitati è il 21 ottobre. In quest'ottica è importantissimo, ha sottolineato Reec, individuare ed impiegare al più presto le persone che devono occuparsi della registrazione dei votanti. Tra di loro dovranno esserci degli insegnanti e tutto il personale elettorale sarà sottoposto a quello che lui stesso ha definito un "crash program of training" : una formazione intensiva.
"Registratevi e votate" è la parola d'ordine, anche perché servono ben il 60 per cento degli aventi diritto (registrati) per fare passare il "si" all'indipendenza da Khartoum. Si annuncia una - complicata anch'essa - campagna per diffondere informazioni sull'importanza del voto e per adattare il referendum agli standard internazionali. Per i residenti all'estero si pensa ad un sistema di voto a distanza, che non li costringa a rientrare da tutta l'Africa orientale e non ne disperda i voti.
Sulla base del "Southern Sudan Referendum Act" del 2009, tutti i sud sudanesi che abbiano compiuto almeno 18 anni potranno votare al referendum, il cui svolgimento è previsto per il 9 gennaio 2011 con la supervisione delle Nazioni Unite. Le scelte saranno - per modo di dire - semplici: «Voglio confermare l'unità del Sudan sostenendo il sistema di governo istituito dalla Costituzione e dall'Accordo Globale di Pace del 2005". Oppure: "Secessione".
Secondo Mons. Cesare Mazzolari, comboniano che da più di trent'anni vive in Sud Sudan, una volta celebrato il referendum non ci sarà dubbio sull'esito del voto, e sarà l'ora della secessione. Ma è proprio Mazzolari, italiano ma così sudanese da averne anche il passaporto, il primo ad esprimere perplessità sulla reale possibilità che il referendum si tenga nelle date stabilite. "Le operazioni di registrazione non sono nemmeno iniziate e si tratta di un lavoro difficilissimo". Il 14 novembre inizierà ufficialmente la registrazione dei votanti e la strada per organizzare il referendum è ancora in salita. Si parla - secondo l'unico censimento globale, che si è svolto nel 2008 - di 15 milioni di abitanti, circa un terzo della popolazione dell'intero Sudan. Un censimento discusso ed estremamente complesso anche per le difficoltà legate al conteggio degli sfollati in Darfur, area che si trova nella parte occidentale del Sudan.
E sempre padre Mazzolari afferma che "il conflitto non è affatto religioso, ma sociale ed economico". Il governo di Khartoum sfrutta - e lascia sfruttare alle multinazionali del petrolio - le risorse naturali della zona, che sono concentrate nell'area del Sud. E lo fa "senza alcuna disponibilità al dialogo, che sia religioso o di qualunque altro tipo". Semplicistico, quindi, ridurre il conflitto ad uno scontro tra cristiani del Sud e musulmani del Nord. Mazzolari ha creato una onlus, Cesar, che da anni lavora per migliorare le condizioni della popolazione e fare ascoltare la loro voce.
Una cosa è certa: la gente del Sud Sudan chiede non solo secessione, ma pace e una pace che duri. La chiede la gente, ma chi è questa gente? Molte, moltissime sono le donne. Le donne che nel conflitto infinito sono rimaste sole, i loro uomini morti, partiti, arrestati. Già da qualche mese si è formato un movimento di donne che si muove a piedi nella diocesi di Rumbek - capitale dello Stato dei Laghi - per sensibilizzare la popolazione, con uno striscione eloquente: "Semina la pace: raccoglierai la pace". Parla nelle piazze, bussa alle porte. Alcune di loro sono disabili, come Rose, analfabeta, che paradossalmente si mette spesso in prima fila ed è tra le più coraggiose nel parlare apertamente. In una terra ormai quasi priva di uomini spetta alle donne, infatti, svolgere il ruolo di capofamiglia e di soggetto politico. Anche se la tradizione le vorrebbe del valore di una mucca: quando la donna si sposa, in Sud Sudan il padre della sposa riceve alcune vacche dal marito. Sostanzialmente, è una vendita.
Rose e sua sorella Mary parlano anche in video. "Siamo donne di una nuova epoca. Non siamo mica come le nostre madri" dice Rose con un sorriso che è a metà tra la malizia e la timidezza. Ma le sue figlie, al villaggio con i nonni, hanno ancora grandi difficoltà a tornare a Rumbek per la scuola.
Il Sud Sudan registra una situazione sanitaria drammatica, con la più alta percentuale di decessi post - parto del mondo: una madre su tredici muore. Le donne portano il peso dell'essere rimaste, eppure non cedono.
Gli scenari che si aprono dopo il referendum sono comunque ampi e inquietanti: il Nord di Al Bashir - presidente e dittatore - accetterà davvero la separazione? O si rischierà una nuova, ennesima guerra?
Quel che è certo è che il Sud Sudan, se diventerà indipendente, dovrà ricostruirsi dalle fondamenta. Non basterà un referendum per scolpire le istituzioni di un territorio martoriato e condannato dal suo petrolio. E la strada della vita è ancora più lunga di quella dell'indipendenza.

Liberazione 17/10/2010, pag 8

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