lunedì 14 marzo 2011

«E se abolissimo la proprietà privata dell'auto?»

Guido Viale Economista e autore di saggi. Si occupa di politiche ambientali
Tonino Bucci
E' ingombrante, inquina, rende impossibile la libertà di movimento che promette, congestiona le città, ci sommerge di ingorghi. Eppure l'automobile resiste in cima ai desideri. Guido Viale si è occupato della questione qualche anno fa, quando ancora non era arrivata la crisi economica, in un saggio dal titolo Vita e morte dell'automobile (Bollati Boringhieri, pp. 192, euro 12).

Anche l'auto non sfugge alla legge dell'usa-e-getta. Non c'è uno spreco di metalli lasciati nelle discariche?
Il problema esiste, ma fra tutti quelli che riguardano l'automobile è il minore. La maggior parte dei rottami di ferro viene recuperato in fonderia. Esiste anche una direttiva europea che prescrive, sia pure con tempi lunghi, percentuali crescenti di recupero dei materiali. Il problema principale è lo smaltimento del materiale derivante dalla triturazione delle parti in tela, plastica e imbottitura, ma anche per questo esistono tecnologie di recupero che da qui a breve dovrebbero diventare obbligatorie. Rimangono, certo, delle carcasse di auto abbandonate nelle città e nelle campagne. Ma il problema principale rimane il tempo in cui le automobili rimangono ferme a ingombrare le strade. E' un enorme spreco di suolo che viene sottratto ad altri usi sociali. La conseguenza più grave dell'automobile è proprio la saturazione dello spazio fisico delle città, destinato sempre più al traffico, anzi agli ingorghi, e sempre meno all'incontro tra umani. Se ci pensiamo bene, è una distruzione di socialità. I bambini non possono più giocare per le strade, né in ambienti urbani così inquinati può essere un'attrattiva passeggiare.

Quella automobilistica è stata forse la prima industria a sperimentare la strategia dell'obsolescenza programmata della merce. L'auto si usa una volta per tutte, poi si butta. La durata media di una macchina diminuisce sempre più. Perché mai non dovremmo produrre veicoli in grado di funzionare più a lungo?
E' una scelta di mercato. Un tempo circolavano automobili di trent'anni che funzionavano perfettamente. Adesso una macchina dura al massimo dieci anni, se non viene rottamata prima. Produrre beni di consumo a termine è la strategia industriale più efficace per alimentare una domanda continua. A questo serve i frequenti restyling superficiali dei modelli. Il motore e gli apparati di trasmissione son sempre quelli, cambia soltanto l'aspetto esteriore che, poi, è ciò che alimenta i desideri e spinge i consumatori a cambiare modelli dopo pochi anni. La strategia risale all'epoca del conflitto tra Ford e General Motors. Ford faceva modelli tutti uguali, mentre General Motors ha introdotto l'innovazione del restyling dei veicoli ogni due anni. Grazie a questa invenzione è diventata la principale casa automobilistica del mondo e lo è rimasta per cinquant'anni. Oggi, in più, l'obsolescenza dei veicoli è imposta anche per legge con le varie fasce, euro 1, euro 2 e così via.

Si parla di declino dell'auto, ma l'impressione è che si tratti soltanto di un effetto economico della crisi. Il modello culturale dell'auto, invece, sembra tutt'altro che in decadenza. L'automobile continua a essere l'oggetto del desiderio ed è ancora percepita come un simbolo di libertà, o no?
Non a caso quello della libertà è il tema sul quale più insistono le pubblicità. Si mostrano automobili che corrono in città deserte o tra le montagne o persino nel firmamento. Ma la realtà quotidiana è completamente diversa. Per millenni i nobili sono andati a cavallo e tutti gli altri a piedi. L'uomo ha sempre avuto il desiderio di trasformarsi da fante in cavaliere. Avere un meccanismo che risponde ai tuoi comandi, che ti trasporta e ti obbedisce, è la molla dell'immaginario collettivo. L'auto ha dominato il XX secolo, è l'invenzione che più ha modificato il paesaggio, le città, la stessa industria, l'oggetto che più d'altri è entrato nell'immaginario collettivo come simbolo di libertà. Ma ormai tutte le città del mondo sono congestionate dal traffico. In Cina l'anno scorso si sono vendute 18 milioni di automobili. A Pechino non si può più circolare.

Eppure c'è stato un periodo, nei primi decenni del secolo scorso, in cui la mobilità nelle grandi città occidentali funzionava senza automobili. Non è così?
Esistevano il tram e la metropolitana. Non a caso, negli Stati Uniti, è stata imposta l'abolizione del servizio di trasporto pubblico urbano. Le grandi case automobilistiche, Ford e General Motors, hanno prima comprato le società di trasporto e poi le hanno chiuse, costringendo la popolazione a girare in macchina. In seguito la diffusione dell'automobile ha trasformato la struttura urbana. Ci sono molte aree disperse, oggi, che è impossibile servire con un trasporto pubblico di massa. Si garantisce solo un servizio minimo. Ci sono autobus che girano vuoti perché le frequenze sono troppo diradate.

Le auto ibride o elettriche possono essere una soluzione?
No, è un'illusione. Ripeto, il problema è l'occupazione di spazio, da qui non si sfugge, quale che sia l'alimentazione. Tra l'altro, per produrre energia elettrica bisogna andare sul nucleare. Per muovere le automobili le energie rinnovabili non basteranno mai.

Ce lo possiamo immaginare un modello di mobilità alternativo a quello dell'automobile?
L'introduzione dell'auto è stata resa possibile dall'innovazione tecnologica del motore a scoppio. Oggi disponiamo delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Tecnicamente potremmo già fin d'ora viaggiare in automobile senza necessariamente averne una a testa. Siccome le auto rimangono ferme in media 22 ore al giorno, sarebbe più ragionevole avere un parco di automobili pubbliche e distribuirle a seconda delle richieste e degli usi. Rinunciando alla proprietà privata e, quindi, anche a quella affezione morbosa che ci lega alla macchina, è possibile garantire lo stesso livello di mobilità, se non migliore. Ci sarebbero molti meno veicoli parcheggiati con conseguente liberazione di spazi. O riusciamo a introdurre nelle città un sistema di trasporto a domanda, di car sharing oppure il carico inquinante delle auto è destinato a crescere fino a un punto di non ritorno.


Liberazione 13/03/2011, pag 16

1 commento:

behappy ha detto...

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