lunedì 14 marzo 2011

Una città immobile che affonda nella corruzione e nel malaffare

Irene Di Noto*
A tre anni di distanza dall'insediamento di Alemanno sullo scranno più alto del Campidoglio non c'è traccia dei cambiamenti da lui con tanta veemenza annunciati in campagna elettorale. Al contrario, Roma appare come una città immobile che affonda giorno dopo giorno nella corruzione e nel malaffare e soprattutto immersa in una crisi urbanistica e sociale sempre più profonda e drammatica. In questo contesto, di fronte ad un senso di disagio e di allarme sempre più diffuso fra i cittadini, dopo innumerevoli rinvii, il primo cittadino della capitale ha dato vita, lo scorso 22-23 febbraio, agli "Stati generali di Roma" ai quali hanno partecipato persino Tremonti e Berlusconi.
Forse ultima possibilità di rilanciare la sua immagine e giocare fino in fondo la partita romana. Forse ultima possibilità di trovare un'elegante via d'uscita dopo l'imbarazzante esperienza di governo della città. Comunque si guardi a questo appuntamento e a questa fase, due cose rimangono certe: la vetrina che è stata allestita nulla ha a che vedere con l'apertura di un dialogo vero e partecipativo con la città; il disegno di Alemanno continua pericolosamente a coincidere con i desideri della rendita e dei nuovi centri di interessi economico e finanziario. Neppure l'immaginario Olimpico potrà cancellare la realtà di una metropoli dalla mobilità soffocata, del degrado ambientale, della cultura negata, dell'esclusione e della segregazione del diverso. Il presente di una Roma che rappresenta sempre più solo la capitale della crisi, della precarietà e del cemento.
23 febbraio. La sveglia suona alle 8. Bisogna muoversi stamattina, scendere presto e raggiungere la fermata della metro Eur Palasport, dove alle 9.30 arriverà il camion per l'assedio al palazzo dei Congressi.
La Cristoforo Colombo invasa dai blindati ci riporta immediatamente agli undici giorni trascorsi tra il dodicesimo piano delle impalcature e il presidio ai piedi della regione Lazio, nei giorni più freddi di dicembre. Anche lì eravamo sorvegliati speciali.
La domanda che ci accompagna è: quanti saremo? Nessuno di noi fa previsioni, ma dovremmo essere in tanti a dire basta, a gridare ancora quel "Que se vayan todos" che riecheggia nelle piazze degli ultimi tempi. Ma non vogliamo fare previsioni, appunto.
Oggi non è un giorno qualunque per Roma: in tarda mattinata Berlusconi chiuderà gli Stati generali di Alemanno.
Dentro il palazzo va in scena il Piano strategico di sviluppo di Roma Capitale, una kermesse per sancire davanti ai riflettori un nuovo patto per la governance che verrà: Alemanno ha consegnato nelle mani di Confindustria la candidatura olimpica per il 2020, sciorinando qua e là immagini e progetti per una nuova Tor Bella Monaca o l'aeroporto di Fiumicino. La versione 2.0 del suo mandato: un' operazione di marketing per offrire la città agli investimenti privati, ai project financing e alla deregulation mentre i diritti vengono azzerati. 2 a 0 per il sindaco e i suoi: ma non li lasceremo fare.
Sabato scorso, il 19 febbraio, abbiamo attraversato le vie di Roma. Dieci, forse quindicimila: non è una questione di numeri. Eravamo determinati a contestare l'idea di città che Alemanno sta disegnando sulle nostre vite. Una Roma bene comune che si oppone a un ulteriore strappo nella capitale della precarietà, della crisi e del cemento.
La crisi appunto. Un volto è la governance, l'altro siamo noi. E non ci faremo rinchiudere in un angolo di strada. Vogliamo andare. Vogliamo rompere quella zona rossa. Decisi e forti, non certo dei numeri, decidiamo di avanzare. Come sabato scorso, quando avrebbero voluto fermare il corteo ai Fori Imperiali e invece abbiamo invaso piazza del Campidoglio per rilanciare la mobilitazione.
Anche oggi, il tempo è scaduto: ci muoviamo decisi, facciamo qualche centinaio di metri. Poi ritroviamo uno sbarramento di blindati. Tra lanci di uova e farina, arrampicamenti, adesivi antifascisti e in memoria di Carlo Giuliani sui blindati, una donna marocchina aggrappata per qualche minuto alle sbarre di un defender al grido "casa, casa" che ci riporta un po' di quel vento mediterraneo da cui speriamo di essere travolti presto, procediamo.
Vogliamo rompere la vetrina degli Stati generali e rivendicare casa, reddito, mobilità, sanità, servizi, cultura, diritti sul lavoro. Insieme, movimenti per il diritto all'abitare, generazioni precarie, lavoratori, sindacati di base, studenti, reti contro le nocività e le devastazioni ambientali, i rom dell'ex Casilino 900 e quelli che hanno occupato Metropoliz, il comitato romano per l'acqua bene comune. La città di tutti i giorni, che nella precarietà si autorganizza.
Dopo più di un'ora i blindati se ne vanno, sporchi e con le ruote sgonfie, ed ecco che ci riprendiamo la strada e arriviamo a piazza Asia, a pochi metri dal palazzo.
Mentre tenta di ripulirsi da parentopoli, Alemanno teme che la sua vetrina si infranga ulteriormente squarciandosi nel vuoto di cui si è riempita. Decide di dialogare con la piazza, circondata da decine di blindati, e di incontrare Roma Bene Comune. Una delegazione di sedici persone raggiunge il palazzo, il sindaco ascolta tutti, compreso il comitato ex Casilino 900 e incassa un no secco al piano nomadi, ai campi e alla rappresentanza che Alemanno si è dato sulle teste dei rom e delle loro rivendicazioni. Le operatrici Trambus pongono in termini di genere la questione dei diritti sul lavoro. Il comitato per l'acqua pubblica ottiene la moratoria sull'ulteriore privatizzazione di Acea fino all'esito del referendum. Tutti si sentono più forti e si spingono a trovare strade nuove e indipendenti di conflitto nella crisi per organizzare la rabbia precaria.
Alla fine di una lunga giornata sciogliamo la mobilitazione. Abbiamo contrapposto al sindaco la nostra idea di città, abbiamo strappato impegni su molte questioni, ma prima di andare via ci salutiamo con la nostra piazza Tahrir all'orizzonte. Abbiamo ottenuto il riconoscimento dei nostri percorsi di dignità, ma non basta. E all'alba del giorno dopo, a Roma è già affittopoli.
*Blocchi Precari Metropolitani


Liberazione 10/03/2011, pag 16

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