mercoledì 9 marzo 2011

«Le crisi finanziarie sono strutturali»

Andrea Molaioli regista de "Il gioiellino"
Federico Raponi
La finanza creativa, sì, ma di tragedie. Uscito venerdì nelle sale in 170 copie, Il Gioellino di Andrea Molaioli - alla sua opera seconda dopo il successo de La Ragazza del lago - fa un chiaro riferimento al crac Parmalat.
«Abbiamo cercato - ci spiega il regista - di fare una piccola sintesi di quella che temo sia tuttora una tendenza, una filosofia, una cultura di un gran pezzo di capitalismo occidentale attraverso una storia emblematica, un caso eclatante venuto alla luce della cronaca, figlio di una modalità alimentata anche dagli esperti, per lunghi anni e fino ad un attimo prima di verificarne il crollo: queste erano considerate aziende modello, esempi di gestione che andavano riproposti».

Si parla, cioè, di falso in bilancio e bolle speculative.
Il dato allarmante è che ci muoviamo in una società dove in un qualsiasi momento, senza che noi ne abbiamo neanche sentore - come infatti è accaduto - può esplodere una crisi finanziaria di cui non abbiamo nessun tipo di responsabilità e nei confronti della quale non abbiamo alcuno strumento per difenderci. Ne subiamo però inevitabilmente le conseguenze, e come noi tutti coloro che quando l'entusiasmo della borsa e della finanza qualche anno fa era enorme non se ne sono giovati. I primi a pagare, comunque, sono quelli che perdono il posto di lavoro e si vedono negati diritti acquisiti. E' una situazione nella quale tutti i prodotti finanziari presenti nei mercati di tutto il mondo hanno un valore dieci volte superiore a quello dei beni e servizi reali. Questo dato (che compare in sovrimpressione nel finale, ndr) ci fa pensare che le crisi siano inevitabili.

Alla base dei disastri aziendali, l'avidità?
Fondamentalmente, l'arricchirsi per il puro gusto di farlo, alimentato soprattutto da uno spiccato senso di impunità che attraversa un po' tutti i luoghi di potere di questo Paese, un adattatare la propria coscienza per renderla nagoziabile in qualsiasi situazione, tanto da far compiere illeciti e truffe senza il minimo senso di colpa, e senza assumersene mai le responsabilità. Questo perchè si vive nella convinzione che tanto si possa, adagiandosi sul: "tanto tutti fanno così" o su un'idea di bene superiore, perchè spesso queste azioni vengono mascherate definendosi portatori di valori e di un benessere collettivo.

Si punta il dito anche sulle connivenze del potere politico, ecclesiastico e bancario.
A posteriori, molti si sono domandati come certi fatti si siano potuti verificare senza che i grandi blocchi di potere ne sapessero qualcosa. Quello politico, quello economico-finanziario delle banche e quello ecclesiastico hanno utilizzato quel tipo di "creatività" finanziaria per giovarsene fin quando è stato il caso di farlo, fatto salvo poi chiamarsi fuori una volta che il sistema è deflagrato.

I lavoratori, le prime vittime dei fallimenti, sono semplici comparse che manifestano sullo sfondo.
Nel film siamo sempre dentro e addosso ai personaggi che dirigono l'azienda con una totale mancanza di considerazione nei confronti dei loro lavoratori e dei risparmiatori che in quell'azienda hanno investito: per essi non sono esseri umani, ma meccanismi del gioco indottrinati e manipolati per i propri interessi.

Nel film si dice: "per rimanere nella serie A del capitalismo, una società deve avere il tridente: un giornale, una squadra di calcio, una banca".
O una televisione, che è ancora meglio. Questa frase viene pronunciata dal politico di riferimento al proprietario dell'azienda quando gli spiega il passaggio dal vecchio al nuovo capitalismo.

Gli antidoti possono partire anche dalla società civile?
Forse ogni cittadino dovrebbe provare a non sottostare a quei piccoli compromessi che rischiano di fargli abbassare il livello della liceità e anche della comprensione del dove sta andando, cioè in una dimensione nella quale un cedimento alla volta rischia di farlo ritrovare corrotto senza sapere di esserlo.

Un bel cast che, oltre ai noti Toni Servillo e Remo Girone, comprende il promettente Lino Guanciale (al cinema anche con Vallanzasca), di provenienza teatrale, e Sarah Felberbaum.
Una piacevolissima sorpresa, la sua. Il taglio che si è cercato di dare non era quello legato a un lavoro d'inchiesta, il mio è soprattutto un film di personaggi. A me piace molto lavorare con gli attori e cerco di porre molta attenzione a questo aspetto, perchè penso che una qualità di recitazione diffusa, che non appartenga quindi esclusivamente ai ruoli principali, sia fondamentale perchè un film possa definirsi anche solido e non avere cali.


Liberazione 06/03/2011, pag 9

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