mercoledì 2 marzo 2011

Se cade l'Arabia Saudita bisogna rifare il Mondo

Il vento di rivolta soffia ai confini del regno. Che prepara riforme preventive
Francesca Marretta
I mercati internazionali potrebbero subìre uno scossone l'undici marzo prossimo. Per quella data sono previste manifestazioni di piazza nelle principali città dell'Arabia Saudita. Anche se i sudditi del Regno della principale potenza petrolifera Opec, non mettono in discussione la monarchia, incarnata dall'ottuagenario Re Abdallah, sulla scorta della rivoluzione che ha investito la Regione, si è creato anche a Riyad, come a Gedda, un movimento che chiede democrazia, pluralismo e riforme. Anche se è difficile, sopratutto per motivi culturali e legati al benessere garantito dai petrodollari, che la protesta assuma risvolti drammatici. Intanto, un gruppo di una quarantina di sauditi, giovani giornalisti ed attivisti per i diritti umani, hanno scritto una lettera aperta al Re, in concomitanza col suo rientro in patria, mercoledì scorso, dopo tre mesi di assenza, per un periodo di convalescenza in Marocco, seguìto a un intervento chirugico effettuato negli Usa. Le richieste avanzate alla Casa Reale saudita, vanno dalla riforma del Consiglio della Shura, all'introduzione del diritto di voto per le donne, e di norme anti-corruzione. Come in Egitto, la protesta saudita viaggia su Facebook e Twitter. Altre istanze, come poter formare partiti politici, arrivano da parte di un gruppo di islamisti moderati, che hanno proclamato la formazione del gruppo politico islamico Oumma. Lo stesso fratellastro di Re Abdallah, ha dichiarato alla Bbc, la settimana scorsa, che se non saranno introdotte riforme il regime rischia di fronteggiare una rivoluzione.
La prospettiva di un terremoto politico in Arabia Saudita, mette a serio rischio la stabilità dei mercati. Se il greggio è arrivato ai massimi dal 2008, con la crisi libica, uno scenario di instabilità, in Arabia Saudita, avrebbe un impatto devastante per la ripresa dell'economia mondiale. Fino a poco più di un mese fa, sarebbe stato impensabile che proteste di piazza potessero impensierire l'establishment saudita. Ma lo stesso valeva per il regime di Ben Ali in Tunusia, quello di Hosni Mubarak in Egitto, di Gheddafi in Libia. Nel conto si possono annoverare anche lo Yemen e il Bahrein. La situazione in questi due ultimi paesi, preoccupa oggi la casa reale saudita. Le rivendicazioni in Bahrein sono, per larga parte, di natura settaria. La maggioranza sciita del paese rivendica diritti e rappresenatività istituzionale, in un paese in cui domina una ristretta minoranza sunnita, ottima alleata, finora, di Washington, Gran Bretagna e dei sauditi. Il Bahrein è adiacente all'est dell'Arabia Saudita, un'area particolarmente importante per l'estrazione petrolifera, in cui una minoranza sciita rivendica da tempo maggiori diritti. La protesta settaria in casa, influenzata dagli sviluppi in Bahrein, è un cruccio per i principi sauduti, considerato anche, che nello scenario peggiore dal loro punto di vista, potrebbe propagarsi nel paese. Con lo Yemen, uno dei nuovi rifugi di al-Qaeda, Riyad condivide millessettecento porosi chilometri di confine.
La caduta di regimi amici degli Stati Uniti, sta rafforzando, in maniera indiretta, il fronte rappresentato dall'Iran e alleati, dalla Siria, ad Hezbollah. I sauditi hanno dovuto già digerire l'indebolimento del fronte sunnita in Iraq. Mostrando di tenere in mano le refini della situazione in casa propria, il Principe Principe Nayef Bin Abdel Aziz, minsitro dell'Interno, avrebbe detto nei giorni scorsi a giornalisti convocati per colloqui privati a Palazzo, che l'Arabia Saudita è immune dal ciclone che investe la Regione, per la cultura conservatrice e religiosa che caratterizza il paese, che nessuno intende mettere in discussione. Anche Mubarak si sentiva un Faraone. Per non parlare di Gheddafi. Dal canto suo il quasi novantenne Re Abdallah può vantare maggiore popolarità rispetto ai dittatori dei paesi vicini. Lo stesso vale per il Sovrano hascemita di Giordania e sua moglie. Detto questo, il Re saudita non può ingnorare di essere a capo di un paese in cui la corruzione è un problema, in cui si finisce in carcere senza capi d'imputazione, e in cui, nonostante il benessere, esiste disoccupazione tra giovani istruiti. La sete di libertà e democrazia, pur non esasperata dalla povertà delle grandi masse come in Egitto, è un fatto anche in Arabia Saudita. La differenza in questo paese sta nel fatto che il popolo accetterebbe riforme varate dalla Casa Reale e non cercherebbe di rovesciarla. La stabilità dell'Arabia Saudita, oltre che per i mercati internazional, è essenziale per Washington, e l'alleato israeliano. Se si indebolisce Riyad, viene meno l'ultimo baluardo nella Regione in grado di fare da contraltare a Teheran. Ad uno ad uno, gli amici degli Usa nell'area stanno crollando. Lo stesso Gheddafi, un tempo "cane del medio oriente", come ebbe a definirlo Ronald Reagan, era stato riabilitato in Occidente. Il vecchio Re saudita, però ce l'ha con Obama. Non gli perdona di aver abbandonato Mubarak, facendolo uscire di scena con disonore.


Liberazione 26/02/2011, pag 2

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