lunedì 21 marzo 2011

Il business di Mineo salvato dai profughi

Convertito in centro per immigrati il villaggio che gli americani hanno abbandonato

Stefano Galieni
Ha aperto le sue porte l'altroieri, a 210 richiedenti asilo provenienti dai Cara di Trapani, Bari, Caltanissetta, Foggia e Crotone; altri 150 sono giunti ieri sera. Ha aperto in sordina dopo che il sindaco Castania aveva dichiarato inutilmente «spero ci avvisino almeno 24 ore prima». La struttura ribattezzata con misera ipocrisia "Villaggio della Solidarietà" di Mineo, provincia di Catania, non ancora chiaro se per richiedenti asilo o per immigrati da espellere, è l'ennesima operazione di indecoroso business sulla pelle di chi fugge.
L'incontro con gli altri sindaci della Calatina e con il presidente della Provincia di Catania, le telefonate con il commissario straordinario per l'emergenza immigrazione, il prefetto Giuseppe Caruso, non hanno ancora risolto i numerosi problemi. La bozza di "patto territoriale per la sicurezza" (si ritorna con i patti onnicomprensivi) non si è tradotta in un testo adatto a quanto ci si appresta a realizzare. La Croce Rossa, che non perde occasione, gestirà per ora l'accoglienza, i negozianti della zona si preparano a divenire i fornitori per i pasti, le strutture di recinzione nuove, di sorveglianza e di video sorveglianza ci sono e già, in alcuni alberghi, sono stati prenotati posti per polizia e carabinieri. Mancano dettagli, politici e organizzativi e manca anche una piccola quisquilia: chi ci finirà nel residence oltre al primo gruppo? E come mai la scelta di questo posto sperduto?
Partiamo dalla seconda domanda. La struttura, originariamente "Residence degli Aranci" viene realizzata dalla centenaria ditta Pizzarotti di Parma, 10 anni fa, 404 villette, 25 ettari di verde, negozi, infrastrutture, ma nessun collegamento con la rete idrica - per lavarsi ci si è collegati ad un pozzo distante 21 km - una spesa enorme affrontata accendendo un mutuo di 100 milioni di euro. Roba da poco, basti pensare che solo di manutenzione ordinaria il residence costa 2,5 milioni di euro l'anno. Fino allo scorso anno nelle grandi unità abitative erano ospitati i militari americani della base di Sigonella, l'amministrazione americana pagava circa 8,5 milioni di euro l'anno di affitto che venivano, a detta di rappresentanti della Pizzarotti, interamente utilizzati per pagare il mutuo, durata 14 anni. Lo scorso anno gli americani se ne sono andati insoddisfatti da questo "paradiso" lasciando la Pizzarotti S.p.a. in braghe di tela.
Chi paga il resto del mutuo alla Banca San Paolo Intesa? In autunno si raggiungeva un accordo con la provincia di Catania per l'utilizzo degli appartamenti in Social housing: non case popolari, come si tenta di far credere, ma un investimento per abitazioni a costi contenuti che vede presenti pubblico e privato. L'accordo sembrava fatto ma c'era qualche difficoltà. Non erano molte le famiglie disponibili ad andare a vivere in una contrada a 8 km dal paese, nel verde sì, ma isolata totalmente da un contesto reale e sociale. L'arrivo dei profughi tunisini è sembrata, alla Pizzarotti e al governo nazionale, provvidenziale. Ci penserà la collettività a saldare il mutuo con gli interessi. Gli americani hanno reciso un contratto senza pagare un euro di penale, nulla di strano la potente Pizzarotti ha avuto in appalto la realizzazione di nuove strutture per l'amministrazione statunitense. E poi, l'idea di rivolgersi a questa azienda dalla longa manus e dalle molteplici attività, è farina del sacco di una persona di massima fiducia, il presidente del consiglio.
Oltre alla Pizzarotti a beneficiare di questa genialata saranno la Cri, i fornitori, la prefettura e l'esercito. Certo utilizzando per i rifugiati il sistema Sprar (affidamento di piccoli progetti di inserimento sociale ai Comuni) i costi si sarebbero ridotti in maniera stratosferica, ma quando si tratta di grandi eventi a che serve risparmiare?
In 10 sindaci su 15 hanno firmato la prima intesa, a condizione che non venisse messo a rischio l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. E lì scatta la seconda trovata: deportare nel centro tutti i richiedenti asilo dispersi nei Cara nazionali. Che importa se le pratiche di richiesta o di ricorso sono nelle mani di altre commissioni? Che importa se il singolo profugo abbia trovato un po' di pace e magari sia seguito da persone di cui si fida per ricostruirsi una vita dopo aver subito tortura? Che importa se si trovi ad aver trovato un contesto in cui inserirsi lavorativamente e socialmente? Il profugo è un pacco da trasportare anche senza troppe cautele.
Si dice: «Ma nel "Villaggio della solidarietà" i profughi saranno liberi ad orari prestabiliti di entrare e uscire a piacimento». Certo con i centri abitati lontani è agevole per tutti stabilire una relazione col tessuto sociale. Se poi, come sembra, vincerà l'emergenza, a finire nel recinto dorato saranno i tanti ammassati oggi a Lampedusa - si parla di una tendopoli nella ex base Loran - ma i nuovi arrivati a Mineo non li vogliono, li temono. Nei comuni si vogliono i richiedenti asilo, considerati meno "problematici" e più redditizi (costano 52 euro al giorno per un risultato di circa 100 milioni di euro l'anno, "spesa contenuta") e si prospetta anche, superata la fase emergenziale, una gestione pubblica del centro.
Del resto a Mineo arriveranno quest'anno 130mila euro in meno, tanti sono quelli che l'amministrazione americana pagava infatti al Comune di Ici. Soldi creati dall'indotto e posti di lavoro sono le armi utilizzate per convincere i recalcitranti, si parla di 300 assunzioni, ma il vortice di interessi è enorme, coinvolge enti locali, Cri, l'Agci, Associazione di cooperative che ha inviato a Maroni una inquietante lettera dichiarando che i propri mezzi e le proprie strutture sono a disposizione da subito. Leone Venticinque, giornalista, anima il sito "Qui Mineo" per cui ha realizzato numerose inchieste, esprime preoccupazioni di diverso tipo. «Nel residence c'è un piano sociale da ghetto - afferma - Sarà difficile costruirci convivenza migliore. L'ipotesi di far convergere da noi i richiedenti dei vari centri era stata fatta per accontentare amministratori che nel dire sì non avevano fatto i conti con la pubblica opinione. Io temo, al di là di tutto, che queste siano cose nate male che possono finire anche peggio».
Leone Venticinque teme che, in assenza di un serio intervento politico, finiscano col prevalere gli istinti peggiori: «Questo paese non è immune dalla microcriminalità - afferma - Quello che si sta mettendo in piedi è un gigantesco capro espiatorio, basterebbe un nulla a scatenare i pogrom. Ho messo in piedi il "Comitato cittadino Calatino Solidale per Davvero", abbiamo raccolto firme antirazziste e siamo intervenuti in consiglio comunale per scoraggiare questa realizzazione, ma temiamo soprattutto la rassegnazione di fronte a grandi e piccoli business. Invece occorre che il mondo dell'informazione, del sociale, della politica intesa come interesse collettivo, si mobilitino senza minimizzare».
Ieri le forze politiche di sinistra e il mondo dell'antirazzismo hanno tenuto un dibattito pubblico. Fra i relatori, Domenico Lucano (Sindaco di Riace), Antonio Mazzeo, giornalista e Tania Poguish, operatrice sociale. Un momento per cercare di uscire dalla confusione in cui sembrano permanere tutti. Confusione mista a fatalismo e indifferenza, all'idea che contro certi poteri non si possa fare nulla, che non serve opporsi. Eppure Mineo non va lasciata sola, quello che si determinerà con il residence peserà sulla politica nazionale. Soprattutto ora, che la sciagurata ipotesi della guerra sembra avvinarsi.


Liberazione 20/03/2011, pag 8

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