lunedì 21 marzo 2011

La primavera democratica araba chiama in causa tutti noi

In libreria "La rivoluzione dei gelsomini" di Tahar Ben Jelloun

Guido Caldiron
Pubblicato mentre da Bengasi si leva l'allarme degli oppositori a Gheddafi che paragonano la loro situazione a quella dell'assedio subito da Stalingrado durante la Seconda guerra mondiale, l'ultimo libro di Tahar Ben Jelloun potrebbe correre il rischio di trasformarsi in una sorta di celebrazione postuma della primavera democratica del mondo arabo. Di fronte all'incertezza colpevole delle diplomazie internazionali e al balbettio dei movimenti sociali che non hanno saputo spiegare all'opinione pubblica occidentale come la battaglia per la democrazia in atto nel Maghreb come nel Makrech andasse sostenuta e difesa con la mobilitazione delle coscienze ma anche con un'adeguata forza di interposizione laddove necessario, come nel caso della Libia, il pericolo che si corre ora è che il ritorno allo status quo si saldi nelle prossime settimane anche con un vero bagno di sangue. Se, forti delle loro armate, delle loro polizie politiche o dei loro sistemi di controllo sociale, dittatori e autocrati del mondo arabo potranno alla fine vincere la partita, la morte di tante persone, a partire da quella di Mohamed Bouazizi, il giovane disoccupato tunisino che si è dato fuoco per protesta all'inizio di gennaio segnando l'inizio della grande rivolta, sarà stata vana. E la colpa, sarà anche un po' nostra.
Tra i più noti scrittori della sponda Sud del Mediterraneo, già docente di filosofia e autore di uno studio di psichiatria sociale sulla condizione degli immigrati maghrebini in Francia, Tahar Ben Jelloun ha naturalmente scommesso sul buon esito di quanto sta accadendo nel mondo arabo. Nato in Marocco e cresciuto tra Parigi, Tangeri e Rabat, Ben Jelloun ha messo tutto il suo entusiasmo e la sua fiducia nelle pagine di La Rivoluzione dei gelsomini (Bompiani, pp. 142, euro 9,90), il pamphlet che ha scritto mentre le strade del Cairo e di Tunisi erano attraversate dalle prime manifestazioni di protesta, raccogliendo una serie di interventi pubblicati negli ultimi anni e la sua dettagliata analisi di quanto si andava invece producendo oggi sotto i suoi stessi occhi: «Più niente sarà come prima in questo mondo arabo che è stato per troppo tempo confiscato da bruti che hanno fatto del male a milioni di cittadini indifesi».
La Rivoluzione dei gelsomini non è perciò un "instant-book", bensì il libro che ogni intellettuale arabo, che ha scelto o è stato costretto all'esilio per ragioni politiche o economiche, tiene da sempre celato in un cassetto, come una bottiglia di marca pronta per essere stappata nel giorno decisivo: quello della liberazione. Perché è questo lo stato d'animo che da decenni accompagna la riflessione di quanti abbiano scelto la strada dell'opposizione ai regimi che reggono con il pugno di ferro le sorti di gran parte di questi paesi da venti, trenta o quarant'anni. Ed è questa lunga attesa che spiega anche tutta la novità dell'insorgenza araba. «Questa primavera in pieno inverno non assomiglia a nulla nella storia recente del mondo. - spiega infatti Ben Jelloun - I popoli arabi hanno subito e sono stati rassegnati per molto tempo. Di tanto in tanto, qualcuno si è ribellato e si è fatto uccidere». Oggi, però le cose sono cambiate e nelle piazze si esprime «un rifiuto assoluto e senza mezzi termini dell'autoritarismo, della curruzione, del furto dei beni del paese, rifiuto del nepotismo, del favoritismo. Una protesta per stabilire un'igiene morale in una società che è stata sfruttata e umiliata fino all'inverosimile».
Il risveglio della dignità araba, accompagnato da una straordinaria trasformazione demografica, ha prodotto la caduta di quelli che lo scrittore marocchino definisce come i "nuovi muri di Berlino": «Milioni di persone qualunque sono scese in strada perché quando è troppo è troppo! E' una rivoluzione di tipo nuovo: spontanea e improvvisata. E' una pagina della storia scritta giorno per giorno, senza una pianificazione, senza premeditazione, senza intrallazzi, senza trucchi».
Di fronte a tutto ciò, e senza sapere ancora davvero come andrà a finire, Ben Jelloun affida a La Rivoluzione dei gelsomini la sua speranza nella democrazia ma anche un monito per l'Europa e l'Occidente: nessuno «potrà più fare finta di non sentire le urla dei torturati quando rende visita a questi stati autoritari» e «chiudere gli occhi su ciò che succede in questi paesi».


Liberazione 16/03/2011, pag 5

Nessun commento: