lunedì 21 marzo 2011

Europa di Maastrcht gigante immobile

In vista del Consiglio europeo che vuole rifondare l'euro ma senza la ripresa

Fabio Sebastiani
Legare i salari alla produttività, elevare l'età pensionabile, limitare i prepensionamenti, recepire nella legislazione nazionale i vincoli europei su deficit e debito, varare norme nazionali per la risoluzione delle crisi bancarie. E poi ancora: accelerare sulle liberalizzazioni, ridurre il costo del lavoro, rendere più flessibile il mercato dell'occupazione. E' lo schema del cosiddetto "Patto per l'euro" che i leader europei discuteranno nel Consiglio europeo del 24 e 25 marzo avendo ricevuto le consegne direttamente dalle mani dell'Eurogruppo, che si è riunito nel week end. Una ricetta che è esattamente uguale a quelle che Bruxelles sfornava, a danno dei "pigs" (i paesi con deficit oltre i limiti consentiti) anche prima della crisi finanziaria dei subprime. Ora il tutto viene ridipinto con le roboanti parole di "nuovo patto". Di nuovo, quindi, non c'è assolutamente nulla. I problemi sono vecchi. E quelli rimangono tutti. E diventano sempre più preoccupanti. A cominciare dall'inflazione, che torna a solleticare l'aumento dei tassi di interesse, fino ad oggi tenuti sotto controllo dalla Bce. E dato che i guai non vengono mai soli, ieri è stato lo stesso Jean-Claude Juncker, presidente dell'Eurogruppo, a dire che dalle vicende di Nord-Africa e Giappone potrebbero derivare seri problemi per l'andamento delle economie europee. Inflazione, bassa crescita e debito sovrano fanno pendere il peso specifico tutto sulla Germania, ovviamente, che invece guarda dritta davanti a sé proprio a scapito degli altri paesi dell'Europa. Se da una parte non ha ottenuto quello che voleva, ovvero, un accordo blindato nella sua esecuzione per tutti i partner della moneta unica, con tanto di impegni cifrati nei settori più sensibili, la scelta dell'Eurogruppo di non "scrivere cifre" ma di non decidere, contemporaneamente, che direzione prendere non è che sia un indice di grande saggezza. La verità è che l'Europa non ha una politica. E in una fase come questa, con una Germania che, differentemente dalle altre fasi sta giocando per sé, può portare al dissolvimento dell'Unione europea e alla volatilizzazione dell'euro. Ipotesi, quest'ultima, che dovrebbe trovare proprio nella Merkel una forte resistenza, visto che l'euro debole è ciò che sta permettendo al suo paese un incremento senza precedenti delle esportazioni. Ma tant'è, le preoccupazioni elettoralistiche (politiche nel 2013 e, a breve, alcuni laender importanti) stanno avendo la meglio.
Lo schema di una stabilità a scapito della crescita, tutto ad uso e consumo della Germania non tiene più. Se la Bce dopo il vertice di fine marzo dovesse decidere per un rialzo dei tassi di interesse quel po' di ripresa in atto andrebbe a farsi friggere. Ancora lontani da un bilancio europeo, ora diciassette paesi dell'Ue devono decidere a chi consegnare il cerino del debito, aggravato dalla crisi finanziaria. Una mezza soluzione ci sarebbe, e punta ai forzieri delle banche europee. Ma prima deve cadere il sistema di "antifurto" controllato da Trichet in persona. Insomma, il peso dei poteri forti non è mai stato così incontrastato come in questo momento. Sul nodo della crescita, ieri a farsi sentire è stata la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che ha difeso le ragioni della ripresa economica contro quelle della stabilità.
Italia ed Europa «devono avere la capacità di crescere di piu», ha detto, "parlando a nuova perché suocera intenda". «La fiscal consolidation è fondamentale», ha aggiunto, però «Italia ed Europa non devono crescere così poco». A giudizio della presidente dei Confindustria, «è quindi fondamentale aprire un focus sia sulla fiscal consolidation che sul tema della crescita: per questo l'Europa deve mettere in campo i driver per una crescita più forte».
Quello raggiunto all'Eurogruppo, insomma, resta, anche secondo Emiliano Brancaccio, docente di Economia politica all'Università del Ssannio, «comunque un compromesso che non risolve nulla della crisi europea». «E' rimasto nell'aria che gli squilibri della zona euro si debbano risolvere a colpi di mercato e flessibilità», aggiunge Brancaccio. «Soprattuto si lasciano paesi indebitati con il compito di abbattere i salari e rendere più pecario il lavoro. Questa pratica perseguita per anni non ha prodotto alcun risultato». Insomma, si profila una forte «ipoteca sull'euro». «Il problema è che anche questa ipotesi di "germanizzazione" europea fa acqua da tutte le parti. E' impossibile fare dell'Europa una grande Germania. L'Europa non può vivere di esportazione e di deflazione salariale. La Germania lo può fare a danno degli altri paesi europei ma l'Europa non può fare la stessa operazione. L'Europa dovrebbe avere un propulsore interno», continua Brancaccio. «Bisogna cercare di capire - conclude - chi in Germania e anche in Francia, paese che sembra avere una posizione subalterna, ritiene che abbia senso proseguire su questa strada».
Su questo Beniamino Lapadula, a capo del dipartimento Economia della Cgil, è più possibilista. «Il partito socialdemocratico tedesco ha haperto a una ipotesi di debito unico europeo e di cammino parallelo di crescita e stabilità. E questo induce a pensare che alla prossime elezioni tedesche ci si possa confrontare su due linee distinte».


Liberazione 15/03/2011, pag 8

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