lunedì 14 marzo 2011

Il socialismo senza fiato e le speranze di Morin

In libreria l'ultima antologia del filosofo e sociologo francese
Daniele Barbieri
«Il senso della parola socialismo si è totalmente degradato nel trionfo del socialismo totalitario, poi interamente screditato con la sua caduta. Il senso della parola socialismo si è progressivamente indebolito nella socialdemocrazia che è rimasta senza fiato ovunque abbia governato». Non usa mezzi termini Edgar Morin in un saggio del 1993 che pure si intitola I paladini della speranza e infatti, al di là della parola socialismo che forse è divenuta poco "raccomandabile", invita subito a ricordare ciò che «resta e resterà» ovvero «le aspirazioni al tempo stesso libertarie e fraternitarie, aspirazione alla fioritura umana e a una società migliore».
A breve distanza dal suo Pro e contro Marx (già recensito su Liberazione) la Erickson pubblica un'altra importante antologia di Edgar Morin, La mia sinistra (18,50 euri per 256 pagine, traduzioni di Riccardo Mazzeo e contributi di Nichi Vendola, Mauro Ceruti e Sergio Manghi). Un pensatore libero che su di sè può ironizzare così: «Sono un gauchista di destra: di destra perchè ho un senso molto acuto del rispetto delle libertà ma al tempo stesso di sinistra poichè ho la convinzione che la nostra società richieda trasformazioni profonde e radicali».
Sociologo, filosofo, studioso dell'industria culturale come della pedagogia e della scienza. Un onnivoro e onnisapiente alla ricerca di un nuovo "metodo" che dal '97 al 2004 si concretizza in 6 volumi (in italiano da Raffaello Cortina) ricchissimi di indicazioni. Ci serve un diverso paradigma per orizzonti planetari, insiste: non dobbiamo cedere alla semplificazione ma affrontare l'irriducibile complessità della storia. Morin non si è mai sottratto alla riflessione politica, all'attualità. Intervenendo a caldo quando gli è parso necessario: nel lontano maggio '68 come nella esplosione di Seattle; ragionando sui grandi scioperi francesi del '95 («a destra come a sinistra si cercano spiegazioni nell'arsenale della propria ideologia invece di cercarle nell'avvenimento stesso»); fingendosi «candidato» alle politiche (c'è qui un suo saggio del 2007). Sottolineando (come fa nella prefazione) che non esiste «La sinistra» unica ma che bisogna sempre utilizzare il plurale. «Il socialismo statale e quello libertario, il rivoluzionarismo e il riformismo (…) Queste correnti si sono trovate non solo in concorrenza ma addirittura in antagonismo». Le radici restano nei Lumi, ovviamente in Marx ma anche in Proudhon, Bakunin, Kropotkin. Ma i secoli passano e dunque dobbiamo anche fare i conti con le ambivalenze della fisica e della biologia, con Freud, Einstein, Stephen Jay Gould (che "aggiorna" Darwin), Horkheimer, Lovelock e la sua Gaia, persino l'abbè Pierre, Greenpeace, il commercio equo, il microcredito. Senza dimenticare più antichi debiti: Montaigne e Pascal ma anche Avicenna o il principe Sakyamuni (uno dei nomi del Buddha), persino l'editto di Caracalla.
Morin non si isola nella torre d'avorio del grande pensatore disgustato dalla pochezza dei contemporanei o dalla miseria della "real politik". Consapevole che «la politica è insieme troppo carica di problemi e troppo svuotata di pensiero». Molto preoccupato per l'esaurirsi di una spinta propulsiva delle democrazie ma senza cadere in visioni apocalittiche: «nella lotta multiforme fra civiltà e barbarie, le biforcazioni decisive non sono ancora state imboccate». Si sporca le mani nei problemi francesi e mondiali, fa proposte concrete. Orgoglioso ma sempre critico della sua "francesità", mai nazionalista o euro-centrico. Ed è con un bel po' di invidia, pensando alla miseria dei dibattiti politici italiani, che si leggono questi 23 saggi. Credo che capiterà a chi riflette su questo libro di trovare molti punti d'accordi e alcuni di dissenso, forse di restare perplesso davanti ad alcuni passaggi ma in ogni caso Morin ha quattro briscole in mano: parla sempre chiaro nonostante i problemi siano complessi; studia e si aggiorna; non segue le mode; va alla radice delle questioni.
La vittoria delle destre, in Francia o altrove, non dipende dai suoi meriti ma dalla pochezza degli avversari - accusa Morin - cioè «la sinistra lamentosa e quella radical-chic». Se la situazione è in continuo peggioramento non dipende solo da un iniquo ordine economico ma da democrazie mutilate dove «il cittadino perde il diritto alla conoscenza». E su questo insiste da anni: «più la politica diventa tecnica più la competenza democratica perde terreno. Il problema non si pone solo per la crisi o la guerra. Riguarda la vita quotidiana» scrive a esempio nel 1988 (è il saggio più vecchio qui tradotto) ma nel 2010 riprende, corregge, amplia questo discorso invocando - a proposito di ecologia e politica - «una riforma cognitiva che permetterebbe di collegare le conoscenze più che mai frammentate e disgiunte». E ancora, nel 2000, scrive: «L'appello per la democrazia cognitiva non significa soltanto corsi serali, scuole estive, università popolari (…) è una democrazia in cui i dibattiti sui problemi fondamentali non siano più appannaggio monopolistico dei soli esperti».
Si parli di terrorismo o di energia, di nuovi-vecchi razzismi o del Pil, il ragionare di Morin rifugge da slogan semplificatori. Per esempio in Elogio della metamorfosi (del 2009) individua «per il sistema Terra» cinque problemi vitali e li esamina, evidenziando urgenze, contraddizioni, disperazioni e possibilità; più volte infatti riprende una frase di Holderin «Là dove cresce il pericolo, cresce anche ciò che salva». Nel 1993 andando «Alla ricerca dei fondamenti perduti» (ma il titolo originale era più drammatico, parlava del «pensiero socialista nelle rovine») pone 7 domande di fondo, esamina 4 complicazioni del "governare" e pone la debolezza della politica davanti a 14 «gigantesche sfide» del nuovo secolo, con «i problemi di vita e di morte che pongono».
Nell'oggi «il vascello spaziale Terra è mosso da 4 motori associati e al tempo stesso fuori controllo: scienza, tecnica, industria, capitalismo (profitto)». Ci serve una politica dell'umanità, dei beni comuni. «Disponiamo, se volete, dell'hardware, cioè dell'infrastruttura di una società.mondo, ma non siamo ancora in possesso del software, ovvero della parte intelligente, cosciente, organizzatrice necessaria». Cosa ci può dare speranza? «Esiste già in tutti i continenti un ribollimento creativo, una moltitudine di iniziative locali che vanno nella direzione della rigenerazione economica o sociale o politica o cognitiva o educativa o etica o della riforma della vita». Morin ribattezza tutto ciò «il vivaio del futuro». Possiamo dunque - e dobbiamo - «rigenerare la speranza» come suggerisce il sottotitolo di questo prezioso libro.


Liberazione 09/03/2011, pag 12

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