martedì 29 marzo 2011

Le armi della propaganda

Stereotipi, enfasi allarmistica, bugie vere e proprie. Così si costruisce il consenso alla guerra

Tonino Bucci
Ricordate il famoso discorso all'Onu di Colin Powell, allora segretario di stato americano dell'amministrazione Bush, quando denunciò l'esistenza di armi batteriologiche nelle mani di Saddam Hussein? Oggi sappiamo che era un'invenzione di sana pianta. Ma, sul momento, quella rivelazione ad effetto contribuì - e non poco - a mettere in moto la poderosa macchina della propaganda di guerra. Non ce n'è uno, tra i cosiddetti conflitti postmoderni degli ultimi vent'anni, che non sia stato combattuto anche sul piano della comunicazione e della sfera pubblica della politica.
Tutte le retoriche giustificazioniste delle guerre contemporanee hanno utilizzato tre tipi di argomentazioni. La prima è quella dell'intervento umanitario, dell'esportazione della democrazia con le armi e della guerra come estrema ratio per la riaffermazione dei diritti umani laddove essi vengano negati. Va da sé, il presupposto implicito in questa argomentazione è che spetta all'Occidente - e solo ad esso - in virtù di un non meglio precisato primato politico, morale e civile, il potere di stabilire cosa è la democrazia, chi la rappresenti e quale sia il metro dei diritti umani. Secondo cliché, l'elaborazione dello stereotipo del nemico dell'Occidente, incarnato di volta in volta - e secondo le convenienze della realpolitik - dall'Hitler di turno, Milosevic, Saddam Hussein o Gheddafi che sia. Last but not least, la spettacolarizzazione del potenziale distruttivo che possiede l'avversario. C'è sempre nella propaganda di guerra l'enfasi allarmistica sulle armi del nemico, armi generalmente non convenzionali, sleali, disumane (probabilmente abbiamo rimosso che nella storia militare armi del tipo gas, fosforo bianco, uranio impoverito e bomba atomica sono state utilizzate dal civilissimo Occidente). L'armamentario del nemico, di solito, è del genere terroristico. Il nemico è colui che colpisce in maniera imprevedibile, cioè vigliaccamente. Persino le sue armi evocano poteri oscuri e tremendi. Non a caso, l'effetto propagandistico del già citato discorso di Colin Powell dipendeva dal tipo di arma attribuito in quella fattispecie all'Iraq di Saddam Hussein: armi batteriologiche, invisibili agenti patogeni in grado di colpire da un momento all'altro attraverso l'aria.
Di recente è apparso in Italia un piccolo volume, una contro-retorica critica come dicono i suoi stessi autori, di un gruppo di attivisti e ricercatori statunitensi che si sono dati il nome di Critical Art Ensemble (Cae, per comodità). Il titolo del libro - anche questo, eloquente - è "Lo spettro della peste. Armi batteriologiche e politica della paura" (edito dall'anticonformista elèuthera, pp. 128, euro 10). "Batterio" sta per nemico, una sorta di significante vuoto che evoca una minaccia vaga e indefinita, ma spaventosa. «Segni di paura in un mondo minaccioso», scrivono gli autori, che hanno la funzione di tenere in piedi la fabbrica del panico e di estenderla a ogni ambito della vita quotidiana. «Chiunque sia stato di recente in un aeroporto non solo è stato testimone, ma ha provato materialmente sulla sua pelle lo spettacolo e la realtà dell'intensificazione della sicurezza (non che ora sia molto più efficace di prima). A parte i maggiori controlli sui documenti, le uniformi degli agenti della sicurezza tirate a lucido, le scarpe passate ai raggi x e l'accesso ai gates delle partenze vietato ai visitatori, la situazione è fondamentalmente la stessa di sempre». Uno spreco di denaro pubblico, visto che le tecniche per garantire l'incolumità dei passeggeri sono sempre lo stesse.
Cambia però la scenografia, il rituale, non è poco. L'industria dei trasporti è stata trasformata in una sorta di fronte interno di guerra, nel quale ci si deve attendere da un momento all'altro l'attacco del nemico. La «militarizzazione di aeroporti e metropolitane» è un gioco da ragazzi.
Ma davvero il bioterrorismo è una minaccia reale? Sul serio quelle potenze della natura che sono i batteri possono essere usate come armi? Tutte fantasie, buone tutt'al più a far prosperare una «falsa economia della minaccia» nelle mani dell'«istituzione capitalista». «Ogni potenza che tenta di trasformare in armi queste meraviglie della natura deve avere ben presente come controllare i batteri, in modo da non infettarsi da sola (bisogna appunto evitare che i batteri tornino indietro colpendo le popolazioni amiche come un boomerang)... Forse è proprio per questo che molte forze armate non hanno mai utilizzato armi di questo tipo in combattimento».
C'è chi fa risalire il primo esempio di armi batteriologiche alle malattie introdotte dagli spagnoli durante la conquista del continente americano. Sembra in effetti che il vaiolo abbia provocato milioni di morti tra i nativi, mentre tra i soldati spagnoli il tasso di mortalità fu di gran lunga inferiore. Un paio di secoli dopo l'idea di sfruttare le malattie contagiose come armi venne ai comandanti britannici del Nord America. «Sir Jeffrey Amherst suggerì di usare il vaiolo per sottomettere i nativi ostili della valle dell'Ohio durante le guerre franco-indiane. Quando il vaiolo esplose a Fort Pitt, furono raccolti tra i contagiati coperte e fazzoletti e poi distribuiti ai nativi». Difficile stabilire quanto l'espediente funzionò, sta di fatto che il vaiolo si diffuse in tutte le colonie e in particolare nella valle dell'Ohio. Anche i giapponesi durante la Seconda guerra mondiale, nel 1940, tentarono di disperdere nell'aria di alcune città della Cina pulci infettate di peste. «La lezione più importante da imparare da tutti questi eventi è che l'uso dei batteri non è mai una buona idea. Ci sono enormi danni collaterali: per questo tutti perdono».


Liberazione 25/03/2011, pag 5

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