venerdì 5 agosto 2011

«Cambiamo senza chiedere il permesso alle banche»

Samir Amin economista egiziano

Dmitrij Palagi e Mattia Nesti
Sono molti i movimenti di protesta su cui si concentra l'attenzione dei mezzi di informazione. Su alcuni si è cercato di mettere in collegamento "la primavera araba" con quella sudamericana. Nonostante questo sembra lontano lo spirito di Genova 2001, che in molti riassumevano con lo slogan "un altro mondo è possibile". C'è stata una perdita di unità ed è mai realmente esistito un movimento mondiale anticapitalista?
Alla questione è difficile rispondere. I movimenti sono evidentemente diversi l'uno dall'altro, da un paese all'altro: ognuno ha delle condizioni specifiche. C'è un grosso pericolo nel parlare di "mondo arabo", perché si rischia di ignorare le molte differenze che esistono tra le vicende di Tunisia ed Egitto rispetto alla fase di Siria e Libia. Anche i movimenti di Europa e Stati Uniti hanno caratteristiche proprie, legate alle specificità delle loro basi sociali.
C'è comunque qualcosa di comune in tutto questo: non sono solo movimenti di protesta ma di lotta contro il capitalismo odierno, quello del monopolio generalizzato e finanziario. E' un grande movimento mondiale che ha un fondamento comune, anche se non siamo ancora arrivati a una capacità del movimento di stabilire delle corrispondenze sufficienti per trasformare il momento di lotta locale o nazionale a un movimento, se non unificante, almeno convergente. Continuano a essere movimenti molto diversi tra loro.
Non ho mai amato la frase "un altro mondo è possibile". Il mondo è in trasformazione permanente, ogni giorno l'avvenire è diverso dal presente. Il futuro muta ogni giorno e può essere migliore come peggiore. L'avvenire che vogliamo costruire è l'avvenire socialista e la prospettiva è quella comunista. Una prospettiva che non possiamo realizzare immediatamente, o in qualche anno e mese. Dobbiamo però conservare una visione di prospettiva generale.

I poteri dei governi nazionali democraticamente eletti degli Stati europei sono sempre più subordinati alle direttive economiche e militari di enti sovranazionali non eletti. In questo contesto, e di fronte alla crisi che oggi viviamo, come la sinistra dovrebbe affrontare la "questione nazionale"?
Non c'è legittimità sovranazionale, la sola legittimità politica resta nazionale. Non possiamo annullare la dimensione nazionale, anche se ovviamente questa non è perfetta. Non esiste un popolo europeo, non esiste una legittimità di potere sovranazionale europea. Come si concilia la legittimità che resta esclusivamente nazionale con l'internazionalismo sovranazionale, mondiale, europeo? Questo è il problema. La sinistra radicale, ispirata dalla tradizione socialista e comunista, è capace di avanzare la risposta. Se non lo fa la destra occuperà il terreno con il nazionalismo. E' quello che succede in Europa e la responsabilità è la mancanza di radicalità della sinistra "estrema". Questo è un aspetto della questione, l'altro è che la costruzione europea si è sviluppata su canali antidemocratici. Il modello dell'Ue è quello degli Usa: un paese che ha tutte le apparenza della democrazia ma in cui il potere del capitale non è messo in discussione. Tutta la costruzione di Bruxelles è stata fatta seguendo un disegno che ha sottratto al popolo europeo la sua sovranità. La costruzione europea è per natura antidemocratica, la cosa è molto è più grave di un semplice deficit di democrazia. Il Parlamento Europeo non può cambiare niente. E' la ragione per cui bisogna decostruire questa Europa, per trasformarla, evitando delle proposte che non potrebbero mai essere messe in atto senza il consenso dell'avversario. Spesso si introietta l'ideologia statunitense del consenso, che elimina il conflitto dal terreno sociale e lo sostituisce con la scienza, la tecnica e la conoscenza, sempre al servizio del capitale. Un esempio: la frase "dovremmo regolare le banche". Per regolare le banche ci vuole il consenso delle banche. "Nazionalizzare le banche" invece non richiede il loro consenso. L'idea del consenso è accettata su larga scala, come sostituiva rispetto al conflitto di classe.
La versione integrale dell'intervista è pubblicata su www.laprospettiva.eu


Liberazione 16/07/2011, pag 3

Nessun commento: