venerdì 5 agosto 2011

La casta, malattia estrema della crisi della democrazia

In libreria un saggio del sociologo Mastropaolo sul peso delle oligarchie


Tonino Bucci
In parte è l'effetto facebook. La fortuna di questo social network, si sa, è nella velocità di proliferazione di contatti e amicizie, nel passaparola telematico. Eppure, i 350 mila fan accumulati in pochi giorni da Spider Truman, il misterioso sedicente precario, licenziato dalla Camera dei deputati dopo quindici anni, sono un'altra storia. Non che la sua pagina facebook sui segreti di Montecitorio sia rivelatrice di chissà quali dettagli sconosciuti sui privilegi della casta epperò il clamore suscitato è senz'altro un sintomo sociale. Il sentimento di stanchezza, se non di vero e proprio disgusto, nei confronti di corruttele e faccendieri nel mondo politico ha raggiunto livelli di asprezza inediti, paragonabili forse al clima dei primissimi anni Novanta. L'analogia più impressionante è la disintegrazione del sistema politico. Nessuno si sorprenderebbe più di tanto se si dovessero ripetere, come allora, i lanci di monetine.
Il fenomeno Spider Truman - che nel frattempo teme la censura da parte di Facebook - è il sintomo di una corrispondenza tra il sentire comune e una crisi che investe le forme attuali della democrazia. I privilegi e lo sperpero di denaro pubblico dentro e fuori il parlamento, nell'amministrazione pubblica e nei commis di Stato, sono la conseguenza di un ceto politico tramutatosi in casta autoreferenziale, che si autoriproduce lontana dai governati. La classe politica diventa élite autoreferenziale in un parlamento inadeguato a rispecchiare la società italiana nella sua pluralità. O per meglio dire, l'istituzione parlamentare - complice una legge elettorale ad usum delphini - rappresenta sì gli elettori, ma in una chiave deformata - feticistica, direbbe Marx - all'interno della quale è la dimensione narrativa, populistica e mediatica a dominare. Cos'altro sono stati i progetti del berlusconismo da un lato e del veltronismo dall'altro se non tentativi di restringere artificiosamente la rappresentanza del popolo degli elettori in due soli partiti maggioritari, in due sole narrazioni postideologiche?
Ma, soprattutto, a monte della crisi c'è la separazione tra i meccanismi della rappresentanza e i processi di decisione: i primi sempre più relegati in una sfera simbolica distante dai bisogni, i secondi sempre più di competenza di ristrette oligarchie sottratte a ogni controllo dal basso. In un libro recente il sociologo Alfio Mastropaolo - docente di scienza politica all'università di Torino - ha sostenuto che la democrazia è «un'invenzione imperfetta» per nulla esente da paradossi (La democrazia è una causa persa?, Bollati Boringhieri, pp. 368, euro 18). «Non disponiamo neppure di una definizione universalmente condivisa di cosa per essa debba intendersi». Neppure le definizione minimaliste - come quella di Bobbio - che riducono la democrazia a poche, fondamentali «regole del gioco», risultano immuni da paradossi. La democrazia non è data una volta per tutte, tantomeno si può mascherare la sua versione attuale per un apriori trascendentale. Meglio parlare di «un'invenzione imperfetta», sempre a rischio di deformazioni, che può degenerare - dal lato del rapporto tra governati e governanti - in forme di populismo autoritario o di dominio di una classe sull'altra.
C'è chi paventa nel risentimento collettivo contro la casta un ritorno dell'antipolitica di sempre. Certo, non va dimenticato che la critica alla politica "ufficiale" come intrisencamente corrotta e inefficiente è stata il registro del berlusconismo all'indomani del collasso della Prima repubblica. Ma questa è anche la prova di come l'antipolitica sia stata spesso e volentieri un discorso pubblico declinato dall'alto. «I produttori più visibili di simili discorsi sono da almeno un ventennio i partiti cosiddetti populisti. Ma anche i protagonisti della politica ufficiale da tempo non risparmiano critiche alla politica, alimentando una rigogliosa antipolitica, che potremmo definire "dall'alto", alla quale concorrono pure i mass media, gli ambienti economici e la stessa società civile, un'antipolitica che ha a sua volta compiuto un singolare percorso d'istituzionalizzazione che rende sempre più problematico ridurla alla protesta e all'antipolitica dal basso». L'indignazione per i privilegi è altra cosa. Lo sperpero di denaro pubblico non c'entra nulla con i costi - inevitabili e sacrosanti - della democrazia. Il problema, semmai, è che «la democrazia prende congedo dai cittadini. Lo fa in molti modi, tra cui il ritorno in forze delle oligarchie». «In misura crescente il policy-making è sottratto all'autorità legittimata dalle elezioni per affidarlo ad autorità tecniche, o neutre, o alle negoziazioni tra attori pubblici e privati tipiche della cosiddetta governance, sulla cui natura democratica è giustificato nutrire più di un dubbio».


Liberazione 21/07/2011, pag 3

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