mercoledì 3 agosto 2011

«Diamo all'Inps la gestione della previdenza integrativa»

Felice Roberto Pizzuti docente di Economia alla Sapienza

Fabio Sebastiani

Come replichi alle critiche alla proposta di alzare l'aliquota contributiva ai parasubordinati?
Esiste una questione giovanile. I giovani stanno particolarmente male, ma questo non dipende dal conflitto generazionale ma dal fatto che le tendenze economiche negli ultimi tre decenni hanno creato instabilità e calo della crescita, con forti riflessi sul welfare. I giovani stanno male quando cercano di entrare nel mondo del lavoro e staranno ancora peggio quando andranno in pensione. Occorre rimuovere le condizioni complessive che riguardano l'intera collettività. Siccome il sistema pensionistico riproduce in modo fedele le condizioni del mondo del lavoro, occorre rimuovere i nodi del mondo del lavoro. Oggi c'è lavoro instabile, una bassa contribuzione con aliquote contributive basse. Se prima il tasso di sostituzione era dell'80% in futuro sarà della metà. La prima propostsa è alzare l'aliquota contributiva al 33%, quindi. Secondo, chi perde periodi di lavoro a causa della discontinuità ha bisogno di contributi figurati. E poi va messa in conto la possibilità di una integrazione della pensione a carico del sistema pensionistico. E' una proposta, questa, che la Cgil sta valutando. Se le aliquote contributive fossero uguali si otterrebbero due risultati: minore sprerequazione e minore segmentazione. Secondo, ci sarebbe un miglioramente del bilancio pubblico per un 0,7% del Pil.

Tra le altre cose, torna la proposta di una pensione integrativa gestita dall'Inps
Se oggi voglio un miglioramento della previdenza l'unica posisbilità è iscriversi a un fondo privato, di vario tipo. Ma solo il 27% la sceglie. Gli altri o non hanno i soldi oppure non ci credono. Se i lavoratori avessero l'opzione di aumentare la contribuzione al sistema pensionistico pubblico ci sarebbe l'integrazione. La logica è che più versi e più la pensione aumenta. Se la metà di quelli che non aderiscono lo facessero attraverso l'Inps il risultato sarebbe che il tasso di sostituzione aumenterebbe di sette punti e le entrate contributive aumenterebbero dell'1,4% del Pil.

Se si parla di futuro del welfare non si può non accennare all'Europa
L'Europa oggi sta pagando i costi della crisi più di altri perché le cause comuni della crisi globali si mischiano con le contradizioni con le quali è stato portato avanti il processo di unione. Vanno rimossi i nazionalismi e va sostanziato che oltre alla moneta servono le istiuzioni in grado di reggere le politiche. Ciò che conta rispetto alla crisi è che non ci si può più commisurare come entità nazionali. Con l'Europa al fianco, i singoli paesi possono trovare meno vincoli derivanti dal contesto internazionale. Così come possono provare a resistere di più alla speculazione internazionale. Il contesto europeo è di gran lunga migliore rispetto a qualsiasi contesto nazionale.

Che ne è rimasto del welfare dentro la crisi economica?
ll modo in cui l'Europa sta reagendo alla crisi ancora una volta è contraddittorio. Da un lato la presenza di welfare pubblici ha consentito di affrontare meglio la crisi rispetto agli americani. Tuttavia, in presenza del patto di stabilità il welfare viene interpretato come un costo e non come un investimento. In Italia poi facciamo peggio perché tocchiamo ciò che gli altri si guardano bene dal toccare, ovvero l'istruzione.


Liberazione 09/06/2011, pag 6

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