venerdì 5 agosto 2011

Gli intoccabili della Casta che più Casta non si può

Maria R. Calderoni
Intoccabile. Innominabile. Quella che nel loro libro Rizzo e Stella chiamano la Casta nel cuore della Casta - gli invisibili più potenti dei potenti - non ha nulla da temere, la manovra non la sfiora nemmeno. C'è di che arrabbiarsi, stiamo parlando dei manager pubblici, i grand commis di Stato, i detentori di incarichi e prebende plurimi ancorché alti, altissimi.
Il tema non è nuovo, ma nemmeno la manovra lo è, tutto già visto e toccato con mano: paga il pensionato, mai il manager; paga il povero, mai il ricco. Il trend antico e collaudato è infatti ampiamente ribadito anche nella finanziaria testè approvata, come si sa.
Arrabbiatevi. Arrabbiamoci. Razza di vigliacchi, voi ci chiedete ticket sanitari, ci chiedete 25€ di "codice bianco" al pronto soccorso, congelate le nostre pensioni se solo sono un po' più alte del minimo da fame? E per di più andate blaterando che ci torchiate perché ciò è necessario per il nostro bene, al fine di mettere ordine nei conti dell'Italia, a 150 anni dall'Unità? Accidenti, uno vede blu e va a rinfrescarsi la memoria, accidenti. Perché i conti sono i conti.
Masi Mauro, toh, è il primo che ci viene sott'occhio. Area Rai, vediamo un po' i conti dell'ultimo direttore generale, recentissimamente dimissionato. Secondo i dati forniti dalla Rai medesima all'Espresso, il Mauro Masi non ha niente di che lamentarsi: non meno di 715mila all'anno, un sessantamila mensili (mica uno di voi miserabili, che per guadagnare 715mila dovete lavorare cinquant'anni e più...). Dite che il Masi è un tecnico bipartisan che fu già Capo gabinetto sia di D'Alema sia di Berlusconi; e dirigente alla Banca d'Italia; e capo della segreteria del ministro Dini e direttore dell'ufficio stampa della Presidenza del Consiglio, ecc? Ebbene, il fatto resta: quella cifra continua a non tornare, "normalmente" parlando.
Tuttavia, Masi non è solo, nel parterre Rai degli alti emolumenti, ci sono tanti altri "bei" nomi. Fabrizio Del Noce all'anno se ne becca 400mila; Antonio Marano 350mila, Giancarlo Leone 470mila, Paolo Garimberti 448mila, un Gianfranco Comanducci 440mila (dai "soli" 235mila che percepiva nel 2002, quel che si dice un bello scatto...). E Claudio Cappon, l'ex direttore generale voluto da Prodi? Beh, lui se ne prende 600mila senza fare un bel niente, essendo senza incarico da quel dì (grazie del canone). E Giovanni Minoli fa 550mila, e Bruno Vespa 1,2 milioni, e Floris 450mila, e Minzolini oltre 600mila e Santoro 700mila. E al signor Emanuele Filiberto furono elargiti 20mila a puntata («lordi, però»). In compenso, la Rai, lei si esibisce in rosso shocking, dicesi eutanasia finanziaria: debiti per 320 milioni e perdite per 180 milioni (li pagheremo noi, tranquilli).
Le cifre non sono poesie, ma servono. Così arrabbiamoci ancora un po' e sorbiamoci queste altre (conoscere è rivoluzionario, l'ho sentito dire...). Nel 2010 l'ineffabile ministro Brunetta proclama con gran spolvero che lui adesso userà le forbici e ai manager pubblici lui, Brunetta medesimo, taglierà i macro-stipendi. Il nuovo regolamento approvato dal Consiglio dei ministri stabilisce infatti che mai più nessuno di loro - grand commis e manager delle Authorities che siano - dovrà superare i 311mila l'anno, un tetto equivalente al trattamento di cui gode il primo presidente della Cassazione (non poco, peraltro).
Bufala. Era una bufala. Bisognava leggerlo bene, il regolamento Brunetta. Là dove dice che «la retribuzione annuale "globale" è esclusa dal tetto»; così come restano parimenti esclusi, dal famoso tetto, «il trattamento pensionistico e i versamenti obbligatori destinati ai fondi». Perbacco, «soltanto i compensi aggiuntivi dovranno essere contenuti entro il limite di 311mila» (che avevate creduto...). In più, un bel mazzo scelto di 25 super-previlegiati (tra i quali i dirigenti della Banca d'Italia e delle Authority indipendenti) è totalmente risparmiato da qualsivoglia taglio, per piccolo che sia.
Bene bene. Non più tardi di un anno fa, esattamente l'11 giugno 2010 - a regolamento debitamente approvato - Il Giornale ha fatto "lo scherzo" di pubblicare uno dietro l'altro gli emolumenti di 89 grand commis. Ecco. Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, 512 mila; Antonio Pilati, amministratore delegato della suddetta Antitrust, 427mila (idem gli altri tre del board, tali Piero Barucci, Carla Rabitti Bedogni, Salvatore Rebecchini). Il Corrado Calabrò, Agicom, si prende 477.752mila; il Lamberto Cardia, Consob, 430mila; il Pietro Ciucci, Anas, 750mila; il Massimo Varazzani, Cassa Depositi e Prestiti, 530mila; il Maurizio Prato, Fintecna, 520; il Guido Pugliese, Enav, 460mila... Cercasi "tetto" disperatamente, scomparso. Per farla breve, tutti insieme i magnifici 89, ci costano, a noi cittadini tutti, un 22 milioni l'anno.
Volete imbufalire ancora di più? Allora prendete e portatevi a casa anche quest'altra roba (dati 2009-10). L'ad di Finmeccanica Guarguaglini (oggi indagato per fondi neri) è un tipo da 5 milioni annuali; l'ad dell'Enel Fulvio Conti da 3 milioni e rotti; l'ad dell'Eni Paolo Scaroni, da 3 milioni. Mentre quello delle Ferrovie, Mauro Moretti, è da 870mila (previa liquidazione milionaria)...
Si incazzerebbe anche San Francesco.


Liberazione 23/07/2011, pag 5

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