venerdì 5 agosto 2011

Piccoli miliardari crescono. Alle spalle dei paesi emergenti

In libreria “I super ricchi erediteranno la terra“

Guido Caldiron
Possiedono le squadre di calcio di mezzo mondo, riempiono le cronache mondane internazionali con le notizie dell'ultimo party che hanno organizzato o per la metratura dell'ultimo yacht che hanno acquistato, decidono nei loro uffici delle sorti di paesi interi, popolazioni comprese. Non si tratta dei nuovi interpreti di un qualche "complotto" segreto per controllare l'economia del pianeta, ma dei protagonisti, pubblici, della nuova economia globalizzata che si gioca ogni giorno di più, oltre che a Wall Street, a Mosca, Mumbay e Pechino. Nella sua inchiesta pubblicata in Inghilterra lo scorso anno e proposta nel nostro paese dalle edizioni Alet, I super ricchi erediteranno la terra (pp. 288, euro 18,00), Stephen Armstrong, già reporter al Guardian e al Sunday Times, indaga sulle figure di quelli che definisce come "oligarchi", non più soltanto imprenditori ma veri e propri uomini di potere capaci di influenzare pesantemente le scelte dei loro paesi e gli stessi assetti geopolitici internazionali. Riprendendo l'analisi compiuta nel 2009 dalle pagine dell'Atlantic Monthly da Simon Johnson, docente del Mit ed ex economista capo del Fmi, sulla situazione degli Stati Uniti, «così come abbiamo l'economia, le forze armate e le tecnologie più sviluppate del mondo, abbiamo anche l'oligarchia più sviluppata di tutte», Armstrong si interroga su quale sia la situazione da questo punto di vista nei paesi che stanno sfidando gli Usa per l'egemonia economica internazionale. Infatti, spiega il giornalista inglese, secondo i dati dell'annuale classifica dei miliardari stilata dalla rivista Forbes, «se nel 2006 dieci dei venti individui più ricchi del mondo avevano la cittadinanza statunitense, nel 2008 questo numero si era ridotto a quattro». Non solo, «nel 2008 il numero dei miliardari individuati da Forbes ha toccato per la prima volta i tre zeri, giungendo a quota 1125. Il patrimonio netto di questi individui ammontava a 4400 miliardi di dollari, 900 in più rispetto all'anno precedente. I nuovi magnati di origine russa (35), cinese (28) e indiana (19) costituivano complessivamente un terzo dei nuovi ingressi della classifica». Inoltre, molti di questi nuovi miliardari «devono la loro ricchezza ai settori accantonati dall'Occidente». Tra i primi venti venti della classifica, spiega ancora Armstrong, figurano «al quarto posto Lakshmi MIttal, big dell'acciaio sudafricano, al quinto il gigante indiano del settore petrolchimico Mukesh Ambani, al sesto suo fratello Anil, all'ottavo il barone del settore immobiliare indiano K. P. Singh, al nono il magnate dell'alluminio russo Oleg Deripaska, al decimo il miliardario cinese Li Ka-shing, attivo nel settore della logistica, al 15esimo l'oligarca russo del petrolio, dell'acciaio e dell'estrazione mineraria Roman Abramovic, al 18esimo il suo compatriota Alexej Mordasov, proprietario di industrie automobilistiche e di miniere di carbone e al 20esimo Mikhail Fridman, il magnate ucraino del petrolio e del settore bancario». E alla fine del suo ampio reportage, che lo ha portato a Mosca come in Cina e in India, ma anche a Washington e nella City londinese, l'autore de I super-ricchi sottolinea come «tutti questi individui controllano settori che nei prossimi anni influenzeranno direttamente le nostre vite, quando il mondo dovrà far fronte all'esaurimento del petrolio, dei minerali e delle risorse alimentari; tutti operano a livello internazionale, acquistando fabbriche, miniere e aziende in tutto il mondo. Pochi di loro hanno un gruppo di azionisti a cui rendere conto: in molti casi, le loro società si spostano assieme a loro e la loro parola è legge». In altre parole, conclude Armstrong, «la questione non è più cosa sia meglio per l'economia, ma come difendere la democrazia».


Liberazione 15/07/2011, pag 4

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