venerdì 5 agosto 2011

Contro le tasse e contro lo Stato. La destra Usa alla prova default

Scenari Il Partito repubblicano tra Tea Party e moderati

Guido Caldiron
Combattere il debito pubblico senza introdurre alcuna nuova imposta e, soprattutto, tagliando drasticamente le spese dello Stato piuttosto che chiedere a chi sta meglio, leggi i super-ricchi che pagano solo il 17% di tasse, di contribuire al "bene comune". La linea su cui si sono attestati i rappresentanti del Partito repubblicano, impegnati in questi giorni nella trattativa con Obama per evitare la bancarotta degli Stati Uniti, non potrebbe essere più chiara. Certo, nel Grand Old Party ci sono anche dei vecchi conservatori, come il capo dei senatori Mitch McConnell, favorevole a una mediazione. Ma il vento soffia nella direzione dei "radicali", quelli che guardano con simpatia al movimento del Tea Party e che immaginano di poter creare una "nuova destra" sull'esempio di quanto fatto in passato da Ronald Reagan e da George W. Bush. A dare voce a quest'area emergente è stato in questi giorni il portavoce dei repubblicani alla Camera Eric Cantor, anti-abortista della Virginia, protagonista solo giovedì di un duro confronto che ha fatto saltare i nervi al presidente. Cantor, definito dal Washington Post come un «politico ambizioso», è infatti attestato su posizioni intransigenti, quelle per cui il risanamento si può fare solo attraverso i tagli al welfare, ma senza alcun aumento delle tasse. A questa impostazione si accompagna l'idea, che circola in alcuni ambienti repubblicani, che un default "breve e controllato" potrebbe risolvere la crisi e farla pagare, in termini elettorali, tutta ad Obama e ai democratici.
Più in generale, come ha spiegato venerdì sul New York Times perfino Al Hoffman Jr., già responsabile delle campagne di Bush nel 2000 e nel 2004, la destra americana sembra non rendersi conto che «in ballo c'è il futuro stesso del paese» e che è il momento di cercare un onorevole compromesso, piuttosto che di arroccarsi a difesa di posizioni ideologiche precostituite. Ed è questo il vero nodo della questione, perché la Rivoluzione conservatrice statunitense degli anni Settanta, e i suoi pallidi ma pericolosi epigoni odierni, si sono basati fino ad oggi sull'idea che lo Stato e le tasse siano il male da cui "curare" la società. Costi, è propio il caso di dirlo, quel che costi.
«Gli analisti politici discutono spesso su quale avvenimento sia da considerarsi all'origine dell'odierno movimento conservatore in America. Taluni indicano la campagna per le presidenziali di Goldwater nel 1964. Per altri tutto è iniziato con l'elezione di Reagan nel 1980. Personalmente credo che l'ondata conservatrice sia cominciata vent'anni fa con l'approvazione della Proposition 13 in California». Con queste parole Stephen Moore, esponente dell'importante think tank conservatore Cato Institute, segnalava nel 1998 l'importanza che per la destra Usa ha avuto l'"Iniziativa popolare di limitazione della tassazione sulla proprietà": il referendum con cui nel 1978 i californiani hanno approvato un emendamento alla costituzione dello Stato che limitava all'1% del loro valore la tassazione sugli immobili: la madre di tutte le successive rivolte anti-tasse. «Per decenni la California aveva rappresentato la quintessenza del sogno americano - ha spiegato sul Washington Post Harold Meyerson - Il suo sistema di scuole pubbliche, dall'asilo fino all'Università, era l'eccellenza del paese; le sue strade e i suoi acquedotti erano considerati i più efficienti». Uno sviluppo sostenuto anche grazie alla tassazione di alcune aree residenziali, come quella di Sacramento, da cui partì l'idea della Proposition 13 che, una volta approvata - spiega ancora Meyerson - : «avrebbe distrutto le basi del governo locale e dei distretti scolastici, svuotando le casse dello Stato».
Approfittando delle conseguenze della crisi petrolifera e della forte inflazione che caratterizzarono la metà degli anni Settanta, ma anche dei timori causati nella middle-class bianca dalle rivendicazioni delle minoranze nello spazio pubblico, la destra scatenò la propria rivolta anti-tasse. «La Proposition 13, che fu approvata con il 65% di voti, - raccontano i due giornalisti inglesi Micklethwait e Wooldridge, autori di La destra giusta (Mondadori, 2005) - prometteva che ogni proprietà sarebbe stata tassata al canone fisso dell'1% e che non sarebbero state introdotte nuove tasse senza la consultazione dell'elettorato». Così, «nei successivi 4 anni, almeno 18 Stati votarono a favore di referendum per tagliare o ridurre le tasse. I leader repubblicani cominciarono a girare il paese su un Boeing 727 soprannominato il "Veliero tagliatasse". Carter (il presidente democratico dell'epoca) era così preoccupato dalla "rivolta" che accettò di firmare una serie di riduzioni fiscali, pur ammonendo che avrebbero favorito i ricchi».
E solo due anni fa, il governatore repubblicano Arnold Schwarzenegger ha annunciato che l'eredità della Proposition 13 stava portando la California alla bancarotta - da cui la decisione di licenziare migliaia di dipendenti pubblici e di vendere lo stadio Memorial Coliseum di Los Angeles e la prigione di San Quintino. Parlando di un "financial Armageddon", come Obama in questi giorni, Schwarzy spiegava come la norma votata nel 1978 rendesse estremamente difficile alzare le tasse anche in casi di emergenza. Il loro default i repubblicani lo avevano già ottenuto.


Liberazione 17/07/2011, pag 6

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