venerdì 5 agosto 2011

«Non credibile la tesi default. E' la Casa Bianca che ha fallito»

Opinioni di economisti ed esperti: Gallino, Romano, D'Eramo, Bosco

Fabio Sebastiani
«Se ci sarà un default non sarà degli Usa ma di Obama». E' da un po' che il sociologo Luciano Gallino punta gli occhi sulla finanza internazionale e sui debiti dei singoli stati ("Finanzcapitalismo", Einaudi). E non è disposto, come altri suoi colleghi economisti del resto, a farsi troppo impressionare dal catastrofismo in stile Armageddon così tanto in voga in questi giorni. E questo per un motivo basilare: «La Fed può creare tutto il denaro che vuole», dice. La sua osservazione sul presidente Usa parte dal fatto che se si trova oggi in queste condizioni lo deve proprio «alle mancate riforme del mondo finanziario, a cominciare da Wall Street». Annunciate tante volte come arma di difesa tattica, ora si trovano al "soft killing", ovvero alla "morte dolce". Ovvio, quindi, che chi le ha temute prepari una controffensiva piuttosto dura. E' il tema storico dei legami che tutti i presidenti americani "devono" avere con l'odiato/amato mondo finanziario, una parte del quale, questo Gallino lo afferma con forza, si sta trasformando pericolosamente in «finanza ombra». «Una entità che è più grande di tutti gli attivi finanziari delle banche americane», afferma.
Anche Marco D'Eramo, giornalista (il manifesto), e studioso della società americana, non crede alla tesi del "grado zero" e ricorda che una situazione del genere, tra tante, si verificò già con la presidenza Clinton nella seconda metà degli anni '90. «I repubblicani insistettero a tal punto che il presidente degli Stati Uniti chiuse lo Stato. Questo lì è possibile», dice D'Eramo. «Nessuno oggi crede alla tesi del default. Nemmeno i repubblicani - aggiunge - anche perché alla torta sono certamente interessati, con tutta la filiera dell'industria delle armi». La politica, insomma, quella con la "P" maiuscola sembra aver fatto calcoli precisi, se non proprio al millimetro, almeno da escludere colpi di scena. E' un po la stessa tesi di Bruno Bosco, economista dell'università Milano-Bicocca, per il quale «a questo punto è importante che per quanto grande sia l'ammontare del debito risulti determinato nella valutazione dei mercati». Detto in altre parole, l'unico elemento reale per il quale il mercato potrebbe impazzire è l'incertezza. «Il vero problema - aggiunge Bosco - è la mancata crescita degli Stati Uniti, soprattutto per quel che riguarda i rapporti con l'Europa». Un momentaneo apprezzamento dell'euro sul dollaro, quindi, non sarebbe altro che un fuoco di paglia, per certi versi anche dannoso per il Vecchio continente.
L'economia americana che non fa più da locomotiva per il mondo è un problema più serio che non l'improbabile default Usa, osserva Bosco.
Roberto Romano inquadra la vicenda Usa nel contesto degli attacchi della finanza internazionale. «E' chiaro che i movimenti dei capitali speculativi - sottolinea Romano, economista della Cgil Lombardia - vanno laddove ci sono stati deboli chiedendo garanzie che quelli non sono in grado di dare». «E' per questo che serve un soggetto in grado di garantire per tutti, e questo soggetto potrebbe nascere da una sorta di accordo mondiale».
Dietro lo scontro tra Obama e i repubblicani, Romano legge anche un'altra vicenda: il cambiamento dell'asse economico dal petrolio alla Green economy. «Obama ha puntato molto sulla economica ecosostenibile - dice -. E questa scelta sta mettendo in discussione la rete di potere e gli interessi consolidati basati sull'oro nero». Un braccio di ferro che potrebbe arrivare addirittura all'assunzione dei pieni poteri da parte di Obama per avere il via libera all'innalzamento del tetto del debito americano.
Sebbene i collaboratori di Obama insistano sul fatto che una misura del genere sarebbe coerente con i diritti che la Costituzione riserva al presidente, alcuni commentatori (www.firstonline.info) hanno evidenziato come l'emendamento non autorizza esplicitamente alcuna azione da parte sua. E poi c'è il problema della reazione dei mercati. «Nella situazione in cui l'obiettivo dell'azione unilaterale fosse quello di prevenire il panico nei mercati finanziari, rimarrebbe in forte dubbio il successo di tale operazione», sottolinea Alberto Grillo. «Se il paese emettesse bond con una misura che ha pesanti dubbi di costituzionalità, ci potrebbero comunque essere gravi dubbi sulla quantità di titoli del debito pubblico americano che gli investitori sarebbero disposti ad acquistare», conclude.


Liberazione 27/07/2011, pag 3

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