mercoledì 3 agosto 2011

Potranno gli Stati Uniti trasformarsi da Impero a potenza tranquilla?

In libreria “America vs America” di Lucio Caracciolo

Guido Caldiron
«Prima dell'11 settembe gli Stati Uniti erano la soprapotenza assoluta. Fuori serie. Dieci anni dopo, sono il Numero Uno. Il soggetto principale della geopolitica mondiale. Il primo giocatore, non più anche l'arbitro. L'America rientra nella categoria degli umani, cui s'intendeva sovraordinata. Un salto di qualità all'indietro che segna la fine di un paradigma senza determinarne un altro».
Il punto d'arrivo dell'importante saggio che Lucio Caracciolo ha appena dedicato agli Stati Uniti, America vs America, uscito in questi giorni per Laterza (pp. 194, euro 16.00), assomiglia in realtà al suo punto di partenza. Questo non perché il direttore di Limes, tra coloro che meglio hanno saputo proporre anche nel dibattito pubblico italiano i temi della geopolitica internazionale, eluda i quesiti che si pone lungo le pagine della sua indagine che ruota intorno al "perché gli Stati Uniti sono in guerra contro se stessi", ma perché la condizione di stallo a cui è giunta la politica americana, e forse il ruolo stesso esercitato dal grande paese sulla scena mondiale, è in realtà frutto di due condizioni la cui realizzazione era facilmente immaginabile. Utilizzando gli argomenti evocati dallo stesso Caracciolo, si potrebbe infatti sintetizzare che gli Usa sono arrivati ad una fase di crisi di leadership a causa di due guerre, una vinta e l'altra persa: una che avevano vinto in partenza e l'altra che, probabilmente, non avrebbero mai dovuto combattere.
Il conflitto da cui gli Stati Uniti sono usciti decisamente vincitori è quello che è andato sotto il nome di Guerra fredda e che ha però prodotto esiti diversi da quelli che le amministrazioni di Washington del, lungo, secondo dopoguerra si attendevano. «Lo smottamento in corso - spiega infatti Caracciolo - è frutto dell'End of the West più che del Rise of the West. Deriva anzitutto dall'implicazione non identificata della vittoria occidentale nella Guerra fredda: trionfando sull'Est, l'Ovest ha cessato di esistere. Non solo come insieme geostrategico. Improvvisamente, abbiamo scoperto che l'Occidente non condivide gli stessi valori: quando proclamano libertà e democrazia, americani ed europei pensano idee e prassi diverse».
L'altra guerra, non persa - anche se la situazione afghana e irakena di oggi potrebbero suggerire il contrario, o perlomeno indicare un risultato di "pareggio" -, ma impossibile nei fatti da vincere perché dichiarata ad un nemico capace di rendersi invisibile e al contempo legato a centri ideologici e politici di potere - su tutti una parte dell'establishment del Pakistan e dell'Arabia saudita - che gli Usa non possono certo pensare di abbattere a cannonate, visto che si tratta di paesi storicamente alleati e al centro della geopolitica a stelle e strisce da almeno mezzo secolo, è quella nota come "War on Terrorism" e scatenata simbolicamente dopo l'11 settembre contro la rete di Al Qaeda. Malgrado con la recente eliminazione di Osama Bin Laden il terrorismo jihadista abbia potuto subire un brutto colpo, al momento, contro le istanze della violenza globalizzata di matrice islamista hanno potuto molto di più le piazze disarmate che hanno dato corpo alla primavera democratica del mondo arabo che non le armate imperiali sguinzagliate da George W. Bush in giro per il mondo. Articolata, come spiega Caracciolo, su due piani, quello interno caratterizzato dall'evocazione dei "teatri della paura", «fondati sull'enfatizzazione del pericolo, sulla demonizzazione del nemico, sulla gestione del panico domestico per rafforzare e schermare l'esecutivo» e quello esterno, più propriamente militare, la guerra al terrore non ha affatto prodotto gli effetti sperati. Così, se l'opinione pubblica americana ha manifestato una crescente insofferenza «per le manipolazioni e gli insuccessi di una delle amministrazioni meno trasparenti della storia» del paese, quella guidata da Bush figlio e, «con il tempo, la gente ha meno paura e più voglia di normalità», «sul fronte esterno, la deterrenza applicata ai terroristi non funziona. Corrobora semmai il morale dei nemici dell'America. Peggio: rivelando le debolezze degli Stati Uniti, ne colpisce l'influenza mentre libera le ambizioni di altre potenze, Cina su tutte».
A questo punto, sottolinea l'autore di America vs America, Washington potrebbe prendere atto di tutto ciò e immaginare il proprio ruolo futuro in modo diverso dal passato se non fosse, ed è questa la tesi centrale di Caracciolo, in qualche modo "prigioniero di se stesso": così sotto la spinta della crisi economica la politica militarista è stata ridotta ma non eliminata dalla nuova amministrazione democratica. Il fatto è che «l'obiettivo supremo della guerra al terrorismo resta proteggere l'American way of life. Il cui fulcro non è solo il benessere materiale, ma la fiducia nel progresso. E' l'imperativo dell'American dream». Per questo, conclude lo studioso di geopolitica, «dagli usi bushiani della paura siamo scivolati all'obamiama manutenzione del sogno. L'America può forse adattarsi al declino della sua potenza economica, della sua credibilità militare. Difficilmente può venire a patti con l'evaporazione del suo soft power. Non lo può sublimare senza incrinare l'idea di se stessa».


Liberazione 15/06/2011, pag 7

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