venerdì 5 agosto 2011

Don Verzè, "uomo di Dio e di Denaro"

Maria R. Calderoni
Uomo di Dio e di Denaro. Per questo ha fatto miracoli. Don Luigi Maria Verzé, da Ilasi in provincia di Verona, 91 anni appena compiuti, laurea in filosofia, sacerdote, già segretario di un Santo - don Giovanni Calabria - e prediletto di un Beato - il cardinal Schuster -: don Verzé gran fondatore del San Raffaele, uno dei più grandi ospedali di eccellenza d'Europa. Prima pietra nell'ottobre 1969 - «non fredda pietra ma pietra di Dio che guarisce», dice lui -; tutto costruito e finito nel giro di due anni: infatti il 31 ottobre 1971 il primo malato fa il suo ingresso nel nuovo policlinico sorto al confine tra Sergrate e Milano.
Sorto come un vero "miracolo". A tirar su magistralmente e velocemente la nuova cittadella ospedaliera ha provveduto la "Fondazione del Centro San Raffaele del Monte Tabor", all'uopo fondata sempre da quel prete volenteroso ed efficiente che sa gestire insieme così bene scienza e business, carità cristiana e jet personale; sempre lui don Verzé. «Andate e guarite gli infermi!», è il motto ispiratore della Fondazione, che ha lo scopo - così si legge nello Statuto della medesima Fondazione - «di ricondurre il concetto e l'esercizio della medicina e dell'assistenza alla prassi e allo spirito del comando evangelico»; in linea con la legislazione italiana in materia di sanità, intende svolgere «una funzione di stimolo e contributo alla innovazione e modernizzazione del sistema scientifico-didattico-assistenziale». Secondo «il concetto cristiano di persona»: un grande ospedale, dotato di ogni confort e del massimo di assistenza e cura; «privato ma aperto indistintamente a ricchi e poveri». Ecco il San Raffaele, obbiettivo assolutamente raggiunto, è giusto darne atto.
Don Verzé, fortissimamente munito di Bibbia, di Monte Tabor (che è il monte della "Trasfigurazione di Gesù", si veda il bellissimo quadro di Giovanni Bellin), di Vangeli, carità cristiana e parecchio money (che pure fa miracoli, come si sa) diventa il Superman della sanità lombarda. San Raffaele e oltre. San Raffaele e altro.
Da quel primo ricoverato del 1971, oggi il policlinico di Milano conta 1367 letti, 700 medici, 1300 infermieri, 53 mila ricoveri e 8 milioni di prestazioni e esami ambulatoriali nel solo 2010; conta 11 dipartimenti e 45 specialità. Dal 1972 riconosciuto come Irccs, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico; e poi Polo universitario della Facoltà di medicina e chirurgia dell'Università statale di Milano; e poi dotato del Dimer (dipartimento di medicina riabilitativa; del Dicor (dipartimento malattie cardiovascolari); del Centro San Luigi Gonzaga per i malati di Aids; di Villa Turro, dipartimento di neuroscienze. Poi nasce il Dibit1 (bioctenologie e ricerca); e il Dibit2 (ricerca genomica e proteomica). Più una "Università Vita-Salute San Raffaele" (di cui sempre don Verzé è fondatore e rettore); più il "Movimento Medicina-Sacerdozio" (medicina come «scienza sacra»); più l'editrice San Raffaele (libri di saggistica divulgativa e una rivista, Kaos, bimestrale di cultura, medicina e scienze umane).
Prete e manager. Da via Olgettina 60 a quasi mezzo mondo. Dopo quella "prima pietra" datata 1969, ne ha inugurate molte altre. «Andate, insegnate, guarite», seguendo questo filo, ha creato tanti altri "San Raffaele per tutti": in Puglia, in Sardegna, in Sicilia, nel Veneto, a Roma. Non basta. Attraverso una Ong, l'Aispo (Associazione italiana per la solidarietà tra i popoli) da lui opportunamente fondata, don Verzé, si legge nella biografia ufficiale, «dà vita a grandi progetti nel mondo: l'Hospital Sao Rafael de Bahia e varie strutture sanitarie in altre difficili località del Brasile, in Africa, in Colombia, in India, in Afghanistan, in Iraq, in tanti altri paesi in via di sviluppo e in zone calde della terra».
Prete, manager, tycoon di Dio. Praticamente instancabile. Di già che c'è, perché fermarsi al solo settore sanità? Così nel nome di don Verzé c'è un hotel quattro stelle in Sardegna; una piantagione di frutta esotica nel Nord-est brasiliano; il jet privato Blu Energy; nonbché partecvipazioni varie in varie società.
Va da sé, il Monte Tabor non basta, e nemmeno il suo santo primigeno, quel Giovanni Calabria sostenitore del Santo Graal. Nella cerchia dei suoi fedelissimi (quelli che sono chiamati "i sigilli", una specie di "consorteria", di società semi-segreta), spiccano perciò banchieri (tipo Cesare Geronzi, Roberto Mazzotta, Gaetano Micciché), politici (soprattutto quelli con le mani in pasta dentro i posti che contano di Regioni, Province, Comuni), imprenditori (uno di nome fa Berlusconi, ad esempio). Insomma, Monte Tabor ma anche money money. Per esempio, tanto per citare, la Regione Lombardia è uno dei maggiori clienti e sostenitori dell'impero don Verzè: si parla di 340 milioni l'anno sotto la voce contributi sanità convenzionata. C'è Il "Giglio", un ospedale nuovo a Cefalù; c'è la "Cittadella della Salute" a Taranto. C'è anche il San Raffaele a Roma, quello della "brutta" storia. «Fui costretto a venderlo», dice don Verzè; e, vedi caso, fu costretto a venderlo «a un prezzo irrisorio», al noto imprenditore romano Angelucci; il quale, pochi mesi dopo, lo rivendette allo Stato. Uno scandalo, oggetto di molte interrogazioni parlamentari.
Andate, insegnate, guarite; e anche incassate. Nel suo quarantennale cammino, lo straordinario don Verzé ha dovuto subire qualche intoppo giudiziario - per esempio, 1976, un processo per tentata corruzione, c'era in ballo la concessione di due miliardi di lire da parte della Regione Lombardia - ma, tra prescrizioni, archiviazioni e assoluzioni, è sempre uscito indenne.
Secondo quanto racconta l'Espresso, una volta, anno 2005, dopo avere inaugurato quattro cantieri diversi in una stessa giornata, il Don si premurò di precisare: «Non chiedetemi dove trovo i soldi: noi sappiamo come incastrare la Provvidenza».
Il "buco" di un miliardo e un tragico colpo di pistola. Forse don Verzé l'ha incastrata troppo, la Provvidenza.


Liberazione 21/07/2011, pag 3

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