mercoledì 3 agosto 2011

«Umanità più sola di fronte ad un computer»

Marc Augé antropologo francese
In libreria il suo ultimo lavoro "Straniero a me stesso"

Tonino Bucci
Non è un'autobiografia, precisa Marc Augé. Straniero a me stesso (in uscita in questi giorni per Bollati Boringhieri, sottotitolo "Tutte le mie vite di etnologo", pp. 170, euro 16) è piuttosto la riflessione su un mestiere di "frontiera". Chi è l'etnologo? Colui che fa da ponte, che traduce la cultura degli altri nella propria. Ma a una condizione, però: di mettere tra parentesi il proprio Io, di farsi estraneo a se stesso, calandosi negli stili di vita altrui. Gli itinerari degli studi di Augé toccano soprattutto l'America Latina e l'Africa - la regione lagunare della Costa d'Avorio e il Togo del sud, per la precisione. Sul terreno comincia a fare esperienza dei "luoghi", spazi non semplicemente geografici ma colmi di vita e di relazioni sociali. E' per contrasto a queste esperienze che nella fase più matura Augé conia l'espressione che lo rende famoso, i «nonluoghi», per indicare quegli spazi collettivi a bassa intensità di relazioni nel mondo globalizzato contemporaneo. Spazi nei quali non è possibile alcuna «lettura del sociale», «spazi di transito», frequentati da individui che non si incontrano mai, accomunati solo da una «effimera coesistenza». Non ci vuole molto a indovinare quali siano i nonluoghi nella vita quotidiana: sono gli spazi della circolazione e del consumo, gli aeroporti, le autostrade, i centri commerciali. «Gli architetti sono i testimoni di questa situazione, in cui il rapporto tra le relazioni sociali e il loro contesto diventa ogni giorno più problematico... Il contesto è il globo stesso e ogni giorno lo percorriamo in tutti i sensi». Augé parla di «mondo-città», ma si può chiamarlo anche globalizzazione, l'importante è intendersi. L'oggetto è l'omologazione estetica ed economica delle metropoli, attraversate tutti i giorni da un flusso di capitali, uomini d'affari e turisti. Abbiamo intervistato Augé, in Italia i giorni scorsi per presentare il libro.

Tra i nonluoghi lei include anche gli spazi della comunicazione. Nonostante internet e i social network siano indicati come agenti nelle rivolte arabe, lei sostiene che le relazioni che si stabiliscono nella società della comunicazione siano solo un'illusione. Perché?
E' il problema della società della comunicazione. Il problema con gli spazi della comunicazione è che sono colmi di relazione. Ma di che tipo di relazioni si tratta? Per quanto riguarda la televisione le relazioni che si costruiscono sono soltanto un'illusione. Noi pensiamo di conoscere le persone dello schermo solo perché le riconosciamo. E' un modello legato all'organizzazione temporale. C'è il telegiornale che guardiamo tutti i giorni alle venti oppure abbiamo appuntamenti con trasmissioni in certi orari fissi della giornata. Ma è un'illusione di relazione. La persona sullo schermo non ci vede ma si rivolge a tutti come se conoscesse ognuno individualmente. Il caso di internet è più complesso. Attraverso internet è vero che si possono stabilire delle relazioni, delle reti. E' stato detto - forse in maniera un po' troppo affrettata - che i social network hanno giocato un ruolo importante per i movimenti nel mondo arabo. E' vero che una buona parte della comunicazione è avvenuta attraverso internet e questo ha alimentato il movimento. Però mi chiedo quanto sia stato importante il ruolo effettivamente svolto da questo strumento. Bisogna capire la natura delle relazioni create da questi strumenti. Di recente ho letto una dichiarazione di Obama, probabilmente ironica, in cui il presidente diceva di avere diciannove milioni di amici su facebook. E' una cosa che non ha senso, ma vale la pena rifletterci. Uno dei miei studenti ha fatto un'indagine su quei giochi nella Rete ai quali partecipa, ognuno con un proprio avatar o nickname, una comunità di utenti sparsi nel mondo. Si viene così a creare una società virtuale, un mondo-doppione. Di che natura sono queste relazioni? Quando si parla di internet non bisogna confondere il mezzo con i fini. E' senz'altro uno strumento utile per stabilire dei contatti, ma non crea un mondo in sé. E' un mezzo potente per diffondere la parola, ma ha i suoi limiti. I giovani giapponesi da anni sono utenti di internet ad altissimi livelli. Ma questo ha generato nevrosi, squilibri psichici, immense solitudini. L'analogia con le fantasie adolescenziali di cui parlava Freud è impressionante. Forse un giorno riusciremo a capire quale possa essere un ruolo positivo di internet nell'educazione e nell'istruzione. Dire però che tutta la scienza è compresa in un computer non ha alcun valore pedagogico. Lascia l'uomo nella sua solitudine.

Internet potrebbe essere più utile nella conoscenza che non nella costruzione di relazioni sociali, come comunemente si pensa?
Internet in sé non può insegnare nulla. E' uno strumento utile per chi sa già, per chi ha bisogno solo di consultare o di verificare le proprie conoscenze. Ci deve essere una base cognitiva di partenza. Le relazioni sociali su internet, invece, sono molto elementari. Si scrivono annunci, si cercano persone. Ma costruire un mondo è tutt'altra cosa. Le persone che si iscrivono a un social network utilizzano un avatar, un nickname. Ecco perché dico che c'è un elemento ludico molto forte. Le relazioni sociali però passano attraverso altre cose, attraverso l'affinità intellettuale, la simpatia, l'empatia del corpo o dello sguardo. In internet queste modalità comunicative sono assenti.

Anche in quello che lei chiama «mondo-città», cioè il mercato globale dei flussi finanziari, della circolazione e del consumo, c'è un vuoto di relazioni. Un mondo di solitudini. Però le nostre metropoli continuano a essere attraversate da antagonismi, fratture e disuguaglianze sociali, no?
In effetti ci sono tutti e due gli aspetti in una grande città. Oggi qualsiasi metropoli è un luogo, è lì che si costruiscono spazi di relazioni e disuguaglianze che ritroviamo in tutto il mondo: il centro e la periferia, quartieri-bene borghesi e quartieri difficili. Alla stessa maniera, nel mondo c'è un nord e un sud. Le differenze e le disuguaglianze del mondo si riproducono nella città e viceversa. Al tempo stesso la metropoli è un luogo in cui si costituisce un altro tipo di spazi, quelli della comunicazione o del consumo. Sono questi che rappresentano un mondo senza relazioni. La città è sempre più decentrata, il centro storico è diventato una zona turistica, una vetrina allestita per i visitatori che vengono da fuori. La realtà delle città si sposta oggi verso gli aeroporti, nelle periferie dove ci sono gli uffici, dove le persone vivono e lavorano. Questo mondo decentrato è sempre più evidente. Il luogo e il contesto sono mescolati, il luogo e il non-luogo, l'uno nell'altro e viceversa, il mondo-città nella città-mondo. Tutti elementi che convivono incastrati nelle diverse dimensioni. Forse oggi parlerei più del concetto di mondo-città e città-mondo, piuttosto che operare la distinzione luogo e non-luogo. La forma empirica dell'opposizione luogo/non-luogo oggi è meglio espressa dalla coppia mondo-città/città-mondo.

Pasolini leggeva le trasformazioni della società e delle città attraverso i corpi. Aveva elaborato una sorta di estetica del corpo. Da un lato, i corpi sottoproletari, contadini, incarnanti una civiltà in via di sparizione, dall'altro, i corpi mutati per effetto del consumismo. Oggi possiamo ancora leggere nei corpi le fratture e le disuguaglianze della metropoli contemporanea? Non sono piuttosto i corpi tutti omologati dagli stessi stili di consumo e di vita?
Ci sono delle disuguaglianze tra i corpi che corrispondono alle disuguaglianze sociali. Pensiamo all'immagine dell'atleta: una persona alta, bella, di colore, spesso americana. Ma è un corpo costruito, fabbricato. La maggior parte delle persone in Africa e in America non sono così. E ancora: ci sono paesi nei quali si muore prima che in altri. Ricordo che quando facevo l'addestramento in preparazione del servizio militare io ero il più basso del mio gruppo, misuravo all'incirca un metro e settanta. Poi quando entrai nell'esercito mi ritrovai ad essere il più alto del mio plotone. La maggior parte dei miei commilitoni erano figli di operai e contadini. La disuguaglianza corporea è legata alla disuguaglianza sociale. Le differenze, secondo me, sono destinate ad accentuarsi in futuro. Le persone degli strati agiati potranno utilizzare tutte le tecniche di potenziamento del corpo, mentre il grosso dei consumatori soffrirà di obesità, come già ora accade negli Stati Uniti. I bambini sono alimentati in maniera pessima con tutti quegli zuccheri che gli vengono dati. Ci sarà una élite che avrà in mano le chiavi del potere e della conoscenza, poi i consumatori eccessivi che avranno un corpo deformato e, infine, tutti gli altri, gli esclusi, la maggioranza della popolazione mondiale, che continueranno a lottare per la sopravvivenza. Può sembrare un disegno semplificato, eppure è il nostro mondo di oggi e di domani.


Liberazione 19/06/2011, pag 16

Nessun commento: