venerdì 5 agosto 2011

«Le bambine cinesi, vittime della tradizione e delle leggi di Pechino»

Xue Xinran Giornalista, ha condotto per anni una trasmissione dedicata alle donne cinesi, ha scritto "Le figlie perdute della Cina"

Guido Caldiron
Nata a Pechino nel 1958 da una famiglia benestante, Xue Xinran fu rinchiusa a soli sette anni, insieme al fratello che ne aveva due, in una scuola di rieducazione durante il periodo della Rivoluzione Culturale, dopo che il padre e la madre erano stati arrestati con l'accusa di essere dei reazionari e dei capitalisti. Diventata giornalista, alla fine degli anni Ottanta iniziò a condurre un programma, trasmesso dalla radio nazionale cinese, dedicato alle donne che le scrivevano per raccontare le loro storie. Frutto di quell'esperienza, durata otto anni, sarà il suo libro più noto, La metà dimenticata. Vita segreta delle donne nella Cina, pubblicato nel 2002 da Sperling&Kupfer. Emigrata nel 1997 in Inghilterra, dove vive ancora oggi, Xinran è diventata una delle commentatrici più autorevoli della realtà sociale cinese, collaborando con giornali di tutto il mondo, tra cui il Guardian su cui ha una rubrica fissa e facendo la consulente per l'Asia per i canali della Bbc e di Sky. Nel 2004 ha fondato l'associazione umanitaria "The Mothers' Bridge of Love".
Longanesi ha appena pubblicato il suo nuovo libro, Le figlie perdute della Cina (pp. 246, euro 17,60) che, forte di decine di interviste a donne cinesi, spiega come ogni anno decine di migliaia di bambine siano abbandonate o uccise nel paese. Xinran è stata ospite nelle scorse settimane

Per la Cina, come per il Messico e per altri paesi del mondo, si parla di un vero e proprio "femminicidio", in questo caso perpetrato contro le bambine. Quali le cause e le origini di questa tragedia?
Ci sono diversi elementi all'origine della morte o della scomparsa ogni anno di decine di migliaia di bambine cinesi. Alla base di buona parte delle tradizioni culturali del paese c'è ad esempio il pensiero di Confucio, che ha contribuito a dare alla Cina un'impronta fortemente maschile. L'elemento maschile ha sempre avuto il ruolo principale, sia per quanto riguarda l'eredità e le norme relative alla famiglia, sia per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro, visto che la vite nei campi richiedeva spesso una grande forza fisica. In assenza di una religione unificante che abbia modificato le cose in seguito, in Cina i principi maschili del confucianesimo si sono perciò mantenuti fin quasi ai giorni nostri. E' in base a questa visione delle cose che ancora oggi in molte parti del paese quando nasce un bambino maschio quest'ultimo diventa immediatamente più importante della stessa madre che lo ha generato. Inoltre, tradizionalmente, nelle campagne quando nasce un maschio alla famiglia viene assegnato un pezzo di terra in più: equesto accade dal 2023 avanti Cristo. E queste tradizioni non sono state minimamente scalfite dall'avvento della cultura comunista. Altre ragioni che spiegano questa situazione hanno invece a che fare, per così dire, con la modernità cinese. Da quando è cominciata la politica ufficiale in favore del figlio unico, varata nel 1979 da parte delle autorità di Pechino, anche se è diventata legge solo nel 2002, spesso sono state ancora una volta le bambine a fare le spese della situazione. Oggi in città la politica del figlio unico è molto stretta, mentre nelle campagne sono possibili delle deroghe per quelle coppie che hanno figlie femmine, vale a dire fino a ché non nasce un maschio. Tutto questo ha perciò prodotto una nuova forma di "selezione in base al genere" e molte bambine sono state abbandonate o uccise da parte di genitori che volevano comunque avere un figlio maschio.

Il suo ultimo libro racconta la terribile sorte a cui sono sottoposte molte bambine cinesi, ma in precedenza lei si è occupata, più in generale, anche della condizione delle donne nel paese, ce ne può parlare?
Sono contenta di poter rispondere a questa domanda, perché un tempo ero convinta anch'io che si potesse parlare in generale di "condizione della donna cinese", mentre invece poi, girando il paese e studiando il tema, mi sono resa conto che esistono situazioni tra loro molto diverse e lontane che non sembrano appartenere neppure alla stessa realtà geografica o politica. Per molti aspetti le donne delle grandi metropoli della Cina condividono uno stile di vita simile a quello delle donne europee o degli Stati Uniti, ma nelle campagne le cose cambiano totalmente e ci si può imbattere in donne che vivono come si viveva centinaia di anni fa, se non addirittura nel Medioevo. La società cinese sta cambiando molto rapidamente, e con essa stanno cambiando anche le donne, ma la misura di questa trasformazione non si fa sentire e non è uguale ovunque. Con una popolazione di un miliardo e trecento milioni di abitanti e differenze enormi tra lo sviluppo delle città della costa e quelle dell'interno, e tra i centri industriali e le regioni ancora completamente agricole, è davvero difficile parlare di un unico modo di essere cinesi. Anche perché, come dicevo, la modernizzazione non significa necessariamente, specie quando si parla di famiglia e di ruolo dei generi nella società, superare la cultura tradizionale. Magari ci si limita a proporne una versione solo un po' aggiornata.

Dopo aver realizzato per molti anni un programma radiofonico destinato alle donne e aver scritto della condizione delle bambine, lei ha fondato anche un'associazione che si occupa di questi temi. Di che si tratta?
Cerchiamo di aiutare le famiglie che hanno adottato delle bambine cinese che spesso non ricevono alcun aiuto dalle autorità di Pechino quando vogliono trovare i loro genitori naturali o le loro famiglie d'origine. Inoltre abbiamo formato un team di volontari, composto da medici e insegnanti, per aiutare le famiglie e le bambine nelle zone più povere del paese e per offrire assistenza a tutti i piccoli che si trovano negli orfanotrofi del paese. Cerchiamo anche di informare le donne cinesi, specie nelle aree rurali, con corsi di educazione sessuale. Abbiamo allestito tre scuole per le ragazze delle campagne, visto che la politica del governo si rivolgeva solo agli alunni maschi, e quattro biblioteche formate solo da libri illustrati, visto che in Cina ci sono molte lingue e dialetti differenti. Lo scopo è quello di sensibilizzare le famiglie sui diritti delle bambine e delle donne stesse: un nonno ci ha raccontato che ha fatto sedere per la prima volta la sua nipotina a tavola, abitualmente riservata ai soli componenti maschi della famiglia, dopo aver visto che nei nostri libri illustrati l'intero nucleo familiare era riunito insieme per consumare i pasti.

Lei ha raccontato di aver sviluppato l'amore per la lettura e la scrittura da bambina, negli anni della Rivoluzione Culturale, quando ha vissuto un periodo molto difficile. Come è accaduto?
Durante i dieci anni della Rivoluzione Culturale, tra il 1966 e il 1976, tutti i cinesi hanno vissuto una situazione molto difficile. Anche per me e la mia famiglia è stata davvero molto dura. Siamo stati a lungo separati e tenuti o in prigione o in centri di rieducazione. Quest'esperienza ha cambiato completamente la mia vita: dalla sognatrice che ero prima, mi sono trasformata in una persona riflessiva e ho cominciato a leggere e studiare molto. Cosa mi è rimasto di quel periodo? Mi sono rimasti dei terribili incubi che ancora oggi mi fanno svegliare spaventata in piena notte, ma anche quell'abitudine e quell'interesse per la lettura - allora non c'era nessuno con cui potessi giocare o parlare - e per l'osservazione del mondo circostante che ha fatto in qualche modo di me la persona che sono ancora oggi.


Liberazione 03/07/2011, pag 14

Nessun commento: