mercoledì 3 agosto 2011

La Norvegia ritira i suoi aerei. Nato: il Rais obbiettivo legittimo

Libia aumentano i raid su Tripoli. Le truppe di Gheddafi ancora su Misurata

Simonetta Cossu
La Nato e i suoi alleati avevano pianificato che per disfarsi di Gheddafi sarebbero bastate poche settimane di bombardamenti, un cosiddetta guerra lampo. La realtà di quello che sta avvenendo sul teatro di guerra è assai più complesso e ora porre fine a quello che si è iniziato è molto più difficile di come è iniziata. Senza considerare che la risoluzione Onu che ha dato il via a tutto è ormai un pezzo di carta straccia visto si è passati da una no fly zone a raid continui sulla capitale, per arrivare alla dichiarazioni di ieri di alcuni rappresentanti Nato che hanno dichiarato che Gheddafi è oggi un obbiettivo legittimo.
Su Tripoli ormai è una vera escalation di bombe. Nella notte di giovedì più di 60 ordigni sono stati sganciati sulla capitale causando - secondo il portavoce del regime libico Mussa Ibrahim - 31 morti e decine di feriti. Smentita in serata la notizia dell'abbattimento di un elicottero dell'Alleanza nei pressi della città di Zintan. Intanto le truppe fedeli a Gheddafi hanno bombardato e attaccato ancora Misurata. Colpi di artiglieria sono caduti anche vicino all'ospedale della città che ormai vive in stato di assedio perenne. Secondo la statunitense Cnn l'attacco avrebbe provocato la morte di 17 persone. «Si tratta del bilancio più grave dell'ultimo mese», afferma un medico dell'ospedale di Hekma a Misurata. Secondo i testimoni, le forze fedeli al rais hanno tentato di sfondare la cintura della città a ovest e sud. I ribelli riferiscono di aver individuato almeno tre tank di Gheddafi nascosti nell'area occidentale della città che sparano sulle postazioni avversarie.
Dal 10 giugno, nel quartiere di Zarrok è tuttavia tornata operativa l'organizzazione di Emergency, costretta a lasciare ila Libia lo scorso 25 aprile. Può contare su un ospedale da campo dotato di un pronto soccorso, una sala operatoria, una corsia da 50 posti letto, due letti di terapia intensiva, laboratori e sala radiologica.
Secondo Sherif Bassiouni, che in aprile ha guidato la missione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, a Tripoli e nelle aree roccaforti dei ribelli, i morti in entrambi gli schieramenti sarebbero stati tra le 10 e 15mila. E sono solo le prime stime.
Nell'Alleanza intanto incominciano a farsi sentire i primi malumori. Ieri la Norvegia ha annunciato che ritirerà i sui 6 F16 dalla missione "Unified Protector" a partire dal 1° agosto. Per ora dal quartier generale della Nato Bruxelles si lanciano segnali distensivi, il ritiro non è immediato, ma sicuramente aumenterà la pressione sugli alleati che continuano la missione: «Tutti gli alleati e i partner (della coalizione, ndr) dovranno fare ogni sforzo per fornire gli "asset" necessari; ognuno deve contribuire per quanto è possibile e con la maggiore flessibilità possibile» ha dichiarato la portavoce Nato Oana Longescu. E a bacchettare gli alleati ieri ci ha pensato anche il segretario per la Difesa Usa Robert Gates che ha puntato il dito sulla mancato rapido successo in Libia sulle «Lacune all'interno della Nato». Secondo Gates «Molti degli alleati sono seduti in disparte non tanto perché non vogliono partecipare, ma semplicemente perché mancano le capacità militari». Per il segretario della Difesa che a fine lascerà il Pentagono e sarà sostituito da Leon Panetta, il futuro della Nato rischia di essere «buio» se gli alleati non faranno investimenti militari adeguati, mentre sono impegnati su due fronti in Libia e in Afghanistan. In particolare il segretario alla Difesa Usa ha parlato di una «alleanza a due velocità», divisa tra paesi che vogliono investire politicamente ed economicamente a favore «dei vitali interessi dell'Europa» e chi preferisce «sostenere solo operazioni umanitarie». Gates ha infine criticato l'impegno dell'Europa in Afghanistan, dove, a fronte di una disponibilità di due milioni di soldati, «ha fatto fatica a passare dai 20.000 uomini schierati nel 2006 ai 40.000 di oggi». Insomma l'impero non è più impero, e qualche suddito ha osato ribellarsi. L'Italia non è fra i ribelli.


Liberazione 11/06/2011, pag 6

Nessun commento: