mercoledì 3 agosto 2011

Il senso comune dell'età del Cavaliere. L'Italia sognata da Silvio

In libreria "Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere" a cura di Paul Ginsborg e Enrica Asquer

Guido Caldiron
Nell'ottobre del 2010, su iniziativa dell'associazione Libertà e Giustizia, si svolse a Firenze un convegno che intendeva analizzare, per la prima volta in modo davvero esteso e articolato il fenomeno del berlusconismo, cercando di «andare oltre il personaggio in sé, per analizzare il modello di potere che Berlusconi offre al mondo moderno, le radici del consenso di cui tale modello gode e i suoi effetti profondi, destinati a pesare nel tempo». Storici e giornalisti, antropologi e attivisti della società civile, sociologi, giuristi ed economisti, erano stati chiamati «a identificare gli elementi costitutivi di quello che è diventato un regime». A meno di un anno dall'evento gli atti di quell'incontro sono stati riuniti in un volume pubblicato ora da Laterza con il titolo di Berlusconismo. Analisi di un sistema di potere (pp. 256, euro 16,00) e curato da Paul Ginsborg ed Enrica Asquer.
Nel momento in cui, sotto la spinta dell'esito delle elezioni amministrative e dei referendum, sono in molti ad annunciare la crisi del sistema simbolico e di potere che ha guidato l'Italia fin dalla prima metà degli anni Novanta, questo volume offre una preziosa sintesi degli "aspetti costitutivi del berlusconismo": «la peculiarità del discorso culturale che ha caratterizzato il suo controllo dei media; la visione di genere che informa le sue azioni e riflessioni; la relazione strumentale che ha instaurato con la Chiesa cattolica e la connivenza di quest'ultima col suo sistema di potere; il modo in cui il populismo, nel mondo del berlusconismo, porta con facilità al disprezzo delle istituzioni e all'assenza di qualsivoglia etica pubblica; da ultimo, il modo in cui il berlusconismo ha diviso il paese».
Nell'introduzione al volume, che raccoglie, tra gli altri, i contributi di Marco Revelli, Amalia Signorelli, Gustavo Zagrebelsky e Gianpasquale Santomassimo, Ginsborg e Asquer si soffermano su quelle che potrebbero essere definite come le coordinate di fondo del fenomeno berlusconiano. Del resto, se il patrimonialismo, o la dittatura proprietaria, come viene definita dai due curatori del volume, che caratterizza l'innovativo sistema di potere che Berlusconi ha costruito intorno a sé e al suo ruolo di impenditore dei media, rappresenta la base materiale dell'affermarsi del "berlusconismo", per comprendere alcune delle ragioni che gli hanno garantito fino ad ora, e per quasi vent'anni, un crescente consenso, si dovrà osservare più da vicino la forma culturale che questa proposta ha assunto presso gli elettori italiani. Perciò, premesso come il discorso pubblico del Cavaliere si sia nutrito dei medesimi contenuti "ideali" che hanno accompaganto il successo di Reagan e Thatcher, e con loro della rivoluzione neoliberista, nei decenni precedenti - vale a dire l'espressione della «fede indefessa nella supremazia morale dei mercati e delle imprese», la «celebrazione delle nuove figure in mobilità ascendente nel mondo della finanza, dell'informatica e dell'intrattenimento» e, soprattutto, «il privilegiare il settore privato rispetto al pubblico» - , i curatori di Berlusconismo dedicano particolare attenzione al modo in cui, nel fare questo, si è cercato di «costruire un nuovo senso comune che avrebbe finito per sostituire la pubblica opinione». In altre parole, come si è cercato di creare intorno alle proposte politiche e istituzionali del Cavaliere un'idea complessiva del paese che facesse sì che gli italiani finissero per sentirsi rappresentati proprio da quel modello.
Il "discorso culturale" del berlusconismo si è alimentato in primo luogo di una «celebrazione acritica del mondo dei beni di consumo» alimentata dalla televisione commerciale, «ossia il mezzo di comunicazione usato per vendere beni e servizi», la cui emersione nel nostro paese ha infatti accompagnato "la discesa in campo" del Cavaliere. Ma all'interno del flusso ininterrotto del modello comunicativo della televendita si è diffusa anche e soprattutto una "visione del mondo", caratterizzata da «una rappresentazione della realtà che seleziona aspetti parziali di essa, e li amplifica, li manipola e li volgarizza» e che anche quando «evoca le difficoltà della vita quotidiana e il dolore delle persone, non ne analizza mai i fattori e le responsabilità», con il risultato, voluto, di «avvalorare l'idea di un andamento della dinamica sociale in cui a contare maggiormente è la fiducia in esseri miracolosi e l'eventuale trionfo delle risorse individuali».
Quello che si potrebbe definire come "il piano della realtà" riemerge a questo punto, completamente trasfigurato, nella forma di ciò che Ginsborg e Asquer definiscono come "populismo culturale": «si riconosce nella "gente", sebbene soltanto in modo strumentale, una fonte primaria di ispirazione. Si rimuovono apparentemente le mediazioni e le distanze tra chi detta i codici estetici (ed etici) e chi li applica». Del resto, se "il sogno", mediato dal linguaggio della fiction televisiva, prende il posto dell'esame delle condizioni materiali dell'esistenza, alla carenza di forme democratiche orizzontali si risponde con una simile evocazione simbolica: quella del "capo": «il fondatore e proprietario di una delle maggiori imprese commerciali italiane si eleva grazie ai propri sforzi e alla propria determinazione da un ambiente modesto e diventa dapprima un imprenditore di grande successo, quindi il proprietario di una squadra di calcio che vince tutto e, infine, si stenta a crederci, il presidente del Consiglio dei ministri». Ed è andata così, almeno fino da oggi.


Liberazione 17/06/2011

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