mercoledì 3 agosto 2011

Il magistrato e la lobby dei generali

La ragnatela di Papa, sodale di Bisignani

Paolo Persichetti
Quello delle lobby sarebbe soltanto un fantasma. «Un fantasma che si aggira per l'Italia». Questa opinione, apparsa ieri sul Giornale, a proposito dell'inchiesta avviata dalla procura di Napoli e che i media hanno subito ribattezzato P4, evocando impropriamente il vecchio spettro della loggia massonica P2, è stata espressa da Paolo Guzzanti, uno che di fantasmi se ne intende. Quella di gostbuster fu infatti la sua principale attività negli anni in cui si occupò del dossier Mitrokhin, in qualità di presidente di un'apposita commissione d'inchiesta parlamentare costituita per fare luce sulla vicenda e sprofondata nel ridicolo con la storia di Mario Scaramella e del plutonio 210. Guzzanti ripropone la solita solfa liberale fondata su una concezione elitista ed oligarchica della società. Il lobbismo - sostiene - altro non sarebbe che un modo per organizzare gli interessi. Una pratica non solo legittima ma considerata la base della «democrazia americana». Peccato che Guzzanti dimentichi di spiegare che gli unici che riescono ad organizzarsi in modo legittimo e soprattutto efficace siano gli interessi forti a scapito di quelli deboli, di chi non ha alcuna rappresentanza ed è tagliato fuori dal sistema. Il lobbismo, infatti, altro non è che l'espressione più esplicita di una società organizzata in modo patrimoniale. Le lobby dei nullatenenti non hanno mai pesato nulla nel mercato opaco degli scambi, delle reti e delle conventicole di iniziati e raider che animano i retroscena della vita politica e degli affari. Al di là degli aspetti strettamente giudiziari e degli esiti finali a cui approderà l'inchiesta condotta dai pm Greco, Curcio e Woodcock, quanto è trapelato dalle indagini, e dalle ammissioni fatte da imputati e testimoni, offre squarci interessanti per comprendere fisiologia e antropologia del potere reale. La ragnatela di relazioni intessute da Luigi Bisignani ha diramazioni trasversali, e se solca per intero il generone berlusconiano fino a tirare in ballo il gran commis d'Etat Gianni Letta, lambisce anche Massimo D'Alema. Bisignani si adoperò, su pressione del finiano Italo Bocchino, perché il presidente del Copasir incontrasse il generale Adriano Santini prima della sua nomina a capo dell'Aisi, il servizio segreto militare. Alla fine l'incontro avvenne, ma solo dopo il nuovo incarico assunto dal militare. Niente di strano che il presidente della commissione parlamentare che vigila sull'operato dei Servizi conosca uno dei candidati alla guida di un'agenzia d'intelligences. Resta da capire invece cosa c'entri Bisignani in tutto ciò, visto che appare in superficie sprovvisto di titoli istituzionali che giustifichino un tale livello di internità al mondo degli apparati. Stando alle indagini, figura chiave del dispositivo messo in piedi dal grande tessitore, è il magistrato Alfonso Papa, oggi parlamentare del Pdl, già pupillo del procuratore capo Agostino Cordova, quando questi dirigeva la procura napoletana. Due modi d'essere completamente opposti. Bisignani è uomo dai modi felpati, impeccabile, misurato, sempre discreto, sofisticato, in pieno stile Prima repubblica, una fotocopia dell'antropologia andreottiana, elegantemente cinico; Papa è il classico rapace della Seconda, dai modi grossolani, ostenta pacchianamente gli status della ricchezza e del potere, due Jaguar e una Mercedes, garçonnières per le amanti al centro di Roma, Rolex "nudi" e gioielli regalati alle "fidanzate", una scorta gentilmente offerta dalla Guardia di finanza. Homo berlusconiano a tutti gli effetti. La collaborazione tra i due sigilla nei simboli la saldatura, il travaso non certo la cesura, tra Prima e Seconda Repubblica. Papa è descritto nelle carte dell'inchiesta come persona legata ai Servizi, in particolare all'ex direttore del Sismi ed ex comandante della Finanza, Nicolò Pollari. Conosce Pio Pompa, attinge informazioni riservate (che poi riutilizza a fini personali o trasferisce a Bisignani) dalla Finanza, grazie alla conoscenza dei suoi vertici, come il generale Michele Adinolfi, e il vice dell'Aisi Poletti. Ma soprattutto dimostra, se ce n'era bisogno, quale sia la sociologia profonda di ampi settori della magistratura italiana: azzurra, berlusconiana, avida e corrotta. Molto diversa da quel che ci raccontano le grida del premier.


Liberazione 18/06/2011, pag 5

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