giovedì 20 gennaio 2011

Caro cibo, caro petrolio e manovre anti-deficit. Il 2011 sarà al rallentatore

La Banca mondiale: le economie emergenti frenano
Martino Mazzonis
Il fantasma dell'inflazione tormenta i sonni dei banchieri centrali. E assieme ad altri fattori, rischia di rallentare la ripresa dell'economia mondiale nel 2011. Da ieri, sappiamo che anche negli Stati Uniti i prezzi hanno ripreso la loro crescita. Nel caso degli Usa potrebbe essere anche un segnale positivo, visto che l'inflazione è rimasta per mesi sotto l'1%. Un po' di crescita dei prezzi, ad esempio, favorisce la ripresa dei consumi di alcuni beni durevoli: se per mesi i prezzi continuano a scendere, le persone possono rimandare l'idea di fare un acquisto aspettando un prezzo migliore. L'aumento dei prezzi all'ingrosso negli Usa, al momento intorno all'1,1% non si è ancora tradotto nella crescita dei costi per i consumatori, ma lo farà presto. A trainare l'inflazione sono fondamentalmente due fattori: il costo del barile di greggio e l'aumento vertiginoso dei prezzi delle derrate alimentari. Il costo dell'energia è un problema per le economie sviluppate che stanno lentamente uscendo dalla crisi, mentre petrolio e alimenti sono un guaio per quelle potenze nascenti (Cina, Brasile, India) che hanno trainato l'economia mondiale nei mesi in cui in America ed Europa era buio pesto. In Africa e anche altrove - come vediamo in questi giorni in Tunisia e dalle rivolte di sui si aveva notizia ieri in Giordania - il fatto che il cibo sia aumentato di prezzo basta per incendiare la situazione.
In Europa, lo ha detto ieri il presidente della Banca centrale europea, il rischio inflazione è trainato dal prezzo del petrolio. E rischia di frenare una ripresa che, Germania esclusa, non sta producendo posti di lavoro. Trichet ha anche annunciato che i tassi di interesse resteranno al livello attuale: la Bce, insomma, ritiene che il pericolo inflazione non sia tale da richiedere l'aumento dei tassi di interesse. Aumentarli, significherebbe di contro frenare una ripresa già frenata dalle manovre anti-deficit (e spesso lacrime e sangue) messe in opera in molti Paesi europei.
Quanto gli alimentari, un buon esempio è quello cinese. Qui la classe dirigente è riuscita negli ultimi 20 anni ad innalzare il livello di vita in maniera diffusa. Con l'aumento del cibo, i più poveri - e sono decine di milioni - sentono la crisi mordere nonostante la crescita. Un rischio per la stabilità. Purtroppo la siccità e le alluvioni non sono prevedibili mentre le speculazioni sulle materie prime che aiutano i prezzi a crescere, sono difficili da impedire. Se si aggiunge una crescente domanda di alimenti da parte delle classi medie in crescita esponenziale in Asia e America Latina, il gioco è fatto: i prezzi degli alimenti aumentano.
Per tenere bassa l'inflazione alcuni Paesi hanno scelto di aumentare i tassi di interesse. Lo ha fatto la Corea del Sud l'altroieri. Qui e altrove, questa misura genererà afflussi di denaro in fuga da quelle economie occidentali dove i tassi sono al minimo (e di conseguenza i rendimenti per gli investitori). Anche questo è un problema: così si aumenta il prezzo delle monete nazionali e le esportazioni rischiano di calare. Ieri è stato pubblicato il rapporto annuale della Banca mondiale, le stime di crescita per l'anno in corso sono del 3,3% a livello mondiale. Non un granché: nel 2010 era il 3,9%. A rallentare sarà l'Asia. Per gli Usa prospettive decenti. La crisi non è ancora passata e la situazione resta quel che è.

Liberazione 14/01/2011, pag 7

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