mercoledì 19 gennaio 2011

«Ma la vera sfida di Cina e India si gioca ancora all'interno di quelle società»

Prem Shankar Jha Economista indiano, ha lavorato per l'Onu
e insegnato nelle università americane
Nato a Delhi nel 1938, già collaboratore delle Nazioni Unite negli anni Sessanta, analista economico e corrispondente di molte testate, dall'Hindustan Times al Times of India, dall'Economic Times al Financial Express, fino all'Economist, Prem Shankar Jha è stato nel 1990 consigliere del Primo ministro V.P. Singh e ha insegnato negli ultimi vent'anni via via all'Università della Virginia, a quella di Harvard e presso l'Institut d'études politiques di Parigi. Considerato tra i maggiori esperti internazionali dell'economia indiana e degli esiti conosciuti in Asia dai processi di globalizzazione economica e sociale, di Prem Shankar Jha l'editore Neri Pozza ha pubblicato nel 2007 Il caos prossimo venturo. Il capitalismo contemporaneo e la crisi delle nazioni e nel 2010 Quando la Tigre incontra il Dragone (pp. 480, euro 22.00), un'attenta e accurata analisi del rapporto tra lo sviluppo economico e le trasformazioni politiche e sociali in Cina e India, i conflitti scatenati dal mercato, le prospettive di successo o di fallimento dei rispettivi paesi nel progettare la propria strada verso il futuro. Al centro del libro c'è soprattutto l'idea di smentire alcuni luoghi comuni che circolano abitualmente in Occidente, a partire da quello che vuole i due paesi asiatici in competizione fra loro per dominare il resto del XXI secolo, o per dettare l'agenda dello sviluppo globale. Non siamo alla vigilia di una guerra economica e geopolitica tra cinesi e indiani, spiega l'economista che, senza negare il ruolo esercitato oggi sul piano internazionale da Pechino e Delhi, spiega come entrambi questi paesi sono ancora nelle fasi iniziali della trasformazione da società pre-capitalistiche a società capitalisticamente mature.

In Occidente si moltiplicano le letture apocalittiche di un prossimo dominio planetario dei cinesi piuttosto che degli indiani. Perché questi due paesi fanno tanta paura?
Soprattutto l'Europa sembra guardare con molta ansia, se non con vera e propria paura, alla possibilità che Cina e India possano risultare egemoni sul piano economico internazionale nell'arco di qualche decennio. E' un'ansia che non condivido e che si basa su un'analisi dello sviluppo di questi due paesi che giudico errata, ma che trova alimento prima di tutto nella crisi dell'egemonia economica degli Stati Uniti, così come l'avevamo conosciuta nell'ultimo mezzo secolo, e che al momento nessun paese e nussuna economia nazionale ha rimpiazzato. Quel "patto atlantico" che riuniva anche in termini economici Europa e Usa, e gran parte dell'Occidente, è in crisi e non si riesce ancora a capire chi potrà colmare il vuoto che ha prodotto la sua fine. In realtà, a "cambiare le carte in tavola" sono stati il processo di globalizzazione e il fatto che l'industria manifatturiera e quella dei servizi sono state progressivamente trasferite nei paesi dove i salari dei lavoratori sono più bassi. Così oggi in Occidente si assiste a un processo di deindustrializzazione che produce il continuo aumento della disoccupazione e un senso di insicurezza e di sfiduca che si va generalizzando.

Tutti sembrano convinti che Cina e India finiranno in qualche modo per dominare il mondo, lei si mostra invece piuttosto scettico, se non decisamente contrario a questa lettura degli equilibri internazionali, perchè?
I motivi per cui metto in discussione questa visione delle cose, e che mi portano a ridimensionare il ruolo giocato da questi due paesi sul piano internazionale, si basano sulla constatazione che il loro sviluppo sociale e economico non è quello che in molti ci stanno raccontando negli ultimi tempi. Intanto si deve sottolineare come per poter arrivare ad esercitare entro pochi decenni l'egemenia economica di cui si parla, questi paesi dovrebbero raggiungere una stabilità politica che oggi ancora non conoscono. Per essere davvero stabili sia la Cina che l'India dovrebbero riuscire a conciliare i conflitti che all'interno delle loro società si sono prodotti proprio a causa del rapido sviluppo capitalistico che hanno conosciuto e che ha portato in entrambe le realtà a una differenziazione sociale prima sconosciuta e all'emergere di figure di "vincenti" e di "perdenti", coloro che si sono ciè arricchiti e impoveriti proprio a causa delle trasformazioni economiche e produttive intervenute negli ultimi decenni.

Ma da questo punto di vista la situazione nei due paesi è davvero simile, apparentemente stiamo parlando di realtà tra loro molto diverse, no?
Effettivamente le differenze ci sono. Attualmente in CIna non esistono istituzioni che possano favorire questo processo di riconciliazione "sociale" e la scena è dominata da un'élite che non è più comunista, se mai lo è stata, e che si sente minacciata da vari elementi come la corruzione che pervade parte del Partito comunista e il grande malcontento dei settori più poveri della società, soprattutto contadini e operai e, tra questi ultimi, soprattutto quelli immigrati dalle regioni dell'interno verso i grandi centri industriali. Quanto all'India, la situazione è molto diversa, ma non meno complessa. In questo caso ci troviamo di fronte a una democrazia che è fin qui riuscita a riconcilare abbastanza bene le diverse anime politiche del paese, ha cercato di fare lo stesso con le molte religioni che sono presenti nel paese, ma oggi sembra fare davvero fatica a tenere insieme la società dal punto di vista sociale.

Secondo diversi analisti internazionali si rischia che il confronto economico tra Cina e India possa condurre prima o poi anche allo sviluppo di un vero e proprio conflitto di tipo tradizionale. Come valuta questa ipotesi?
Andiamo con ordine. Fino ad ora i processi di globalizzazione si sono sviluppati in Cina e in India in modo pressoché parallelo. La Cina è il paese dove è arrivata gran parte della produzione di merci esternalizzata dall'Occidente, mentre l'India ha seguito lo stesso processo ma per i servizi. A partire da questa caratteristica comune, ora le cose stanno però iniziando a differenziarsi. Mi spiego. In Cina il tasso salariale sta crescendo molto velocemente e si assiste allo sviluppo di forti investimenti, specie nelle infrastrutture e nella modernizzazione dell'industria: si calcola che negli ultimi due anni i salari medi degli operai cinesi siano cresciuti almeno del 15%. Questa situazione potrebbe spingere ora le industrie occidentali a cercare di spostare verso l'India, dove invece non si registra ancora nulla del genere, parti delle loro produzioni. Allo stesso modo i cinesi stanno sviluppando ora la produzione di software che era stata appannaggio degli indiani negli ultimi tempi. Tutte queste trasformazioni potrebbero in effetti condurre al sorgere di conflitti tra i due paesi, ma più che a un duro confronto di tipo tradizionale - di quelli che un tempo potevano condurre anche alla guerra tra i diversi Stati-nazione -, immagino che assisteremmo a un conflitto economico e a una accresciuta rivalità sui mercati occidentali. Quanto alla possibilità che si possa ricorrere alle armi, sono piuttosto le vecchie questioni geopolitiche che creano ancora fratture pericolose tra i due paesi: su tutte la querelle sul Tibet per cui i cinesi accusano ancora oggi gli indiani di aver offerto asilo e sostegno al Dalai Lama.
Gu. Ca.

Liberazione 09/01/2011, pag 15

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