mercoledì 19 gennaio 2011

Il Paese che non sapeva importare cervelli

La fuga dei laureati
Un Paese di quello che un tempo si chiamava il Terzo mondo. E anche un Paese in decadenza. Questo sta diventando l'Italia, incapace di creare lavoro nei segmenti alti del mercato mentre fa di tutto per rendere meno caro e più flessibile quello manuale. E anche incapace di creare nuove imprese. Un articolo pubblicato ieri da The Economist ci parla dei laureati, di quelli che studiano, hanno la possibilità di investire nel loro futuro (o sono così bravi da vincere delle Borse). L'Italia, si sa, ne esporta in gran quantità. Come anche gli altri Paesi europei. Con due differenze. Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, vedono le loro eccellenze emigrare verso altri Paesi europei più che non noi (magari è per la qualità delle università) ma attirano anche cervelli freschi dai Paesi Ocse. Un grafico pubblicato dal settimanale britannico segnala come Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna abbiano una bilancia positiva nell'import-export di laureati (cioé ne attirano più di quanti ne vedano partire). L'Italia ha una bilancia negativa. La seconda differenza è quasi uguale alla prima, cambia solo la provenienza dei cervelli: cinesi, indiani, pakistani che entrano nell'Ue a fare lavori di medio e alto profilo. Noi, invece, agli immigrati guardiamo i denti e le braccia. Per raccogliere la frutta e fare gli intonaci bisogna avere le spalle larghe, non saper usare un computer.
Paradossale, se si pensa che - i dati sono stati pubblicati e l'altroieri della Camera di commercio di Milano - senza stranieri negli ultimi dieci anni due nuove imprese su tre non sarebbero mai nate. I numeri sono questi: senza stranieri, in Italia ci sarebbero quasi 285mila imprese in meno, ovvero quasi 2 imprese su 3 delle 455mila nuove società attive tra il 2000 e il 2010 (si tratta per la precisione del 62,6% circa del totale).
Gli ultimi dieci anni infatti hanno visto una crescita delle imprese controllate da cittadini stranieri, aumentate addirittura del 200,7%, rispetto a una crescita media delle imprese in generale del 9,4%, che scende al 3,6% se si considerano solo le imprese avviate da cittadini italiani. E' un dato diffuso su tutto il territorio nazionale, che vale per le regioni invecchiate come Piemonte e Liguria, così come per quelle dinamiche come Emilia-Romagna e Veneto.
A vincere è Prato, ovvero il tessile direttamente collegato al gigante cinese. Poi Roma, Firenze (ancora Prato) e poi Milano. Anche in questo caso si potrebbe fare un'osservazione che rattrista. Se l'Italia fosse capace di attrarre anche migranti da inserire nelle fasce alte del mercato del lavoro, le imprese, anziché essere edili, tessili e di ristorazione, potrebbero essere di prodotti collegati all'informatica (per fare un esempio ovvio). E se fossimo capaci di attrarre cervelli europei ne guadagnerebbero le nostre imprese e quella internazionalità evocata da decenni.
m. mazz.

Liberazione 09/01/2011, pag 4

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