mercoledì 19 gennaio 2011

L'impero del dragone dall'economia dell'export al lavoro cognitivo

"Il tallone del drago", un saggio di Paolo Do, ricercatore e studioso della Cina
Tonino Bucci
Fino a non molto tempo fa l'istruzione era uno dei pochi meccanismi a garantire la mobilità sociale. La conquista di un titolo di studio, di un diploma, meglio ancora se una laurea, dava la possibilità di passare a dai piani bassi a quelli alti della società. Alla fine dei conti, aver frequentato l'università conferiva agli occhi altrui uno status sociale, indipendentemente dalla condizione di nascita e di censo. Bene, oggi, nell'era del capitalismo cognitivo - altrimenti detto, economia della conoscenza - tutto questo appartiene oramai al passato.
Nel senso che in tutte le economie avanzate l'"ascensore" sociale dello studio non funziona più e che c'è un'altissima probabilità che uno studente approdato alla laurea si ritrovi ai gradini infimi della società, nelle vesti di lavoratore intellettuale precario e sottopagato vita natural durante. Un paradosso non da poco: mentre la conoscenza, messa a valore, costituisce un fattore di produzione e di ricchezza, le retribuzioni e lo status dei lavoratori intellettuali precipitano verso il basso. In Italia - tanto per gettare uno sguardo fugace al nostro paese - l'anomalia è ancora più vistosa. I futuri lavoratori intellettuali non saranno soltanto precari e sottopagati, ma anche dequalificati, deprofessionalizzati, amputati di un sapere e di una formazione all'altezza delle sfide del tempo. Se a livello globale l'economia si "cognitivizza" e la conoscenza diventa un valore aggiunto incorporato nella merce, qui in Italia si smantella l'università pubblica, si sottraggono risorse alla ricerca e si prefigura un futuro da paese marginale e periferico nell'economia globale. La grande impresa non esiste più, il made in Italy è ormai solo un marchio e quelle fabbriche della conoscenza che sono l'università e gli enti di ricerca vanno alla malora.
A questo punto del ragionamento, però, si tirano solitamente conclusioni affrettate. Una tra queste sarebbe che l'Italia, incapace di stare al passo con l'economia della conoscenza, avrebbe perlomeno la possibilità di competere con le economie emergenti, Cina fra tutte, con quelle economie segnate ancora dal primato della manifattura e dal più basso costo del lavoro. Ma anche questo è un luogo comune. Non c'è nulla di più falso dell'immaginarsi le economie emergenti come fossero le rivoluzioni industriali di ottocentesca memoria. Tutt'altro. Strano a credersi, ma la Cina - paese con oltre un miliardo e trecento milioni di persone - inizia a soffrire di carenza di manodopera a basso costo, per effetto non da ultimo delle proteste e degli scioperi dei lavoratori scoppiati nell'estate scorsa. Non solo. In questi anni si assiste in Cina a una nuova, inedita ondata di proletarizzazione - una proletarizzazione cognitiva o intellettuale che dir si voglia - che sta creando un esercito di giovani laureati sfornati dai college e dalle università, di stagisti pronti a entrare in fabbrica. Di una nuova fase nel gigantesco processo di integrazione che ha trasformato una popolazione di contadini in manodopera nella manifattura del settore export parla ad esempio Paolo Do, ricercatore e autore di uno studio pubbicato di recente da DeriveApprodi, Il tallone del drago, sottotitolo Lavoro cognitivo, capitale globalizzato e conflitti in Cina (pp. 144, euro 12). «Una prima fase inizia negli anni Ottanta e ha una durata di circa trent'anni: questa prima forma di proletarizzazione non è accompagnata da fenomeni di pauperizzazione della forza lavoro. Al contrario, in questo processo, che comporta la perdita dello status di contadino, il lavoro di fabbrica produce di fatto un generale aumento del livello medio di vita, tanto degli stessi soggetti "proletarizzati" quanto dei loro figli». La seconda fase che investe la Cina è invece un «inedito fenomeno di massificazione dell'educazione», una «cognitivizzazione» della forza lavoro. «La Cina e le multinazionali straniere che vi hanno sede hanno infatti scoperto gli stagisti: un esercito interno di riserva composto da giovani che hanno imparato la disciplina del college e che ora entrano in fabbrica. E' l'esplosione della formazione, formazione da manodopera, formazione estensiva, formazione di montaggio, formazione professionale che guida e costruisce il nuovo bacino della forza lavoro a basso costo». Quella che era un'economia basata quasi esclusivamente sull'export e sullo sfruttamento intensivo si sta trasformando nel protagonismo di una nuova «forza lavoro intellettuale» per un'economia «basata sulla conoscenza». Da quando, oltre dieci anni fa, il partito comunista cinese ha lanciato un piano di investimenti pubblici per aumentare di un terzo le iscrizioni universitarie, il numero degli studenti iscritti è salito fino a raggiungere «l'impressionante cifra di venti milioni nel solo 2008». Nel 2009 le università hanno sfornato «oltre sei milioni di laureati».
Non che sia un processo lineare, beninteso. Le trasformazioni nel mercato del lavoro stanno generando nuovi conflitti. A ridosso delle metropoli - e nelle immediate vicinanze di aziende di alta tecnologia - si vanno formando comunità di colletti bianchi, perlopiù giovani laureati provenienti dalle campagne. E' il caso di Tangjianling, passato in pochi ani da 3000 a oltre 70mila abitanti, a circa venti chilometri dal centro di Pechino, ma a due passi dal parco tecnologico ZPark che ospita aziende come Siemens, Baidu, Ibm e Lenovo. «Sono la tribù delle formiche», vivono come formiche, «per risparmiare sulla spesa dell'affitto di stanze piccole e talvolta senza finestre, ma con connessione internet super veloce». Nella cintura attorno a Pechino sorgono almeno sette colonie di questo tipo, «veri e propri slum metropolitani stipati di giovani che passano il loro tempo tra lavoretti temporanei, job fair e interviste di lavoro. Sono oltre tre milioni le formiche come loro in Cina che, nonostante l'università, non riescono a superare i 1500 yuan al mese, circa 150 euro. Sembra, anzi, che spesso siano addirittura troppo qualificati per i lavori disponibili che trovano e l'ansia di lavorare li porta a fare stage, magari gratuiti».
Persino l'esercito di liberazione popolare cinese «non è più un'accozzaglia di irregolari, di contadini come durante la rivoluzione: pescando soprattutto nell'ampio bacino di neolaureati disoccupati che può offrire il mercato del lavoro, la composizione dell'esercito è notevolmente cambiata. L'arruolamento di migliaia di neolaureati, come misura antidisoccupazione attuata durante lo tsunami economico del 2008, ha di fatto trasformato le forze armate in un vero e proprio esercito high-tech».
Dal libro-inchiesta di Paolo emerge il ritratto di un paese per nulla omogeneo, di uno Stato-nazione attraversato da nuovi conflitti sociali, da dimensioni regionali e subcontinentali preponderanti e, soprattutto, da flussi contrastanti: quelli finanziari del capitale globale, da un lato, e le politiche pubbliche dell'autorità centrale e delle autorità locali, dall'altro. La "società armoniosa" diventa instabile, potente e fragile a un tempo. Un gigante che cresce a ritmi superiori all'otto per cento annuo e che però nasconde nel proprio debito una bolla immobiliare che potrebbe scoppiare da un momento all'altro. Sul fronte sociale l'Impero celeste è una vescica ribollente di flussi di popolazione - milioni di migranti che, dalle campagne, vogliono trasferirsi in città. «Le cause della bolla immobiliare cinese vanno cercate nella gigantesca speculazione sui desideri e i bisogni di milioni di giovani e giovanissimi». A Shangai ormai le abitazioni costano più che a Manhattan. Accanto ai migranti in viaggio dalle campagne verso il settore privato della produzione capitalistica - la componente che oggi agita le lotte principali - esiste la forza lavoro delle aziende di Stato ed è quest'ultimo «il segmento operaio più politicizzato», in prima linea contro la privatizzazione del settore pubblico, agitato - perché no? - dalla sfida di pensare a forme di socialismo del nuovo millennio.

Liberazione 21/12/2010, pag 12

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