venerdì 28 gennaio 2011

Il fascismo e la via italiana alla "soluzione finale"

La "Storia della Shoah in Italia", un'opera fondamentale proposta da Utet
Guido Caldiron
«Collocare la Shoah e, complessivamente, le persecuzioni degli ebrei italiani tra il 1938 e il 1945, nella storia d'Italia del Novecento, nell'ambito di una più ampia crisi dell'Europa, che trova le sue più remote radici già negli ultimi due decenni dell'Ottocento e, attraversata la Grande guerra, culmina nei fascismi e, infine, nello sterminio degli ebrei nell'ambito del secondo conflitto mondiale». Questo l'obbiettivo principale della Storia della Shoah in Italia - un cofanetto che raccoglie due volumi di 1.275 pagine complessive che comprendono 50 saggi di storici, ricercatori e giornalisti, e una serie di immagini significative selezionate dall'Agenzia Contrasto - che Utet propone quest'anno in occasione del Giorno della Memoria, dopo aver realizzato nel 2005 la Storia della Shoah, un'opera monumentale forte di ben cinque volumi.
Anche in questo caso, proprio come già accaduto con la Storia della Shoah si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un'opera definitiva, se in questi termini si può parlare per la ricerca storica, materia di per sé in continuo progresso e aggiornamento, nel senso che raccogliendo quanto è stato prodotto fin qui sull'argomento i due volumi della Utet costituiscono una nuova partenza di cui nessuno, ricercatore accademico come semplice lettore, potrà in futuro non tener conto. Coordinata da quattro tra i più noti studiosi della Shoah in Europa - Marcello Flores, Storico e Professore di Storia Contemporanea all'Università di Siena; Simon Levis Sullam, Ricercatore in Storia Europea presso l'Università di Venezia; Marie-Anne Matard-Bonucci, Professore di Storia Contemporanea all'Università di Grenoble e Enzo Traverso, Professore di Scienze Politiche all'Université de Picardie di Amiens -, questa ricerca non si limita infatti a ricostruire le condizioni storiche, politiche e sociali che fecero da sfondo allo sviluppo del razzismo e dell'antisemitismo nel nostro paese, e che prepararono tra la costruzione dell'Impero e l'emanazione delle Leggi razziali nel 1938, la via italiana al genocidio, ma giunge fino al dibattito che circonda oggi nel nostro paese la stessa celebrazione del 27 gennaio. Così, se nel primo volume vengono sfatati i luoghi comuni sugli "italiani brava gente", coinvolti più o meno forzatamente dall'alleanza con la Germania nazista nel progetto di sterminio, nel secondo sono gli oltre sessant'anni che ci separono dalla liberazione di Auschwitz ad essere esaminati alla luce della memoria della Shoah, delle tendenze conosciute dalla ricerca storiografica su questa materia e, infine, della percezione della presenza ebraica nella società italiana.
«La storia dell'antisemitismo e del razzismo ebbe (...) sinistri capitoli italiani e nessun aspetto intrinseco del carattere nazionale italiano mise l'Italia al riparo dalle tragiche vicende dell'Olocausto, dopo che essa aveva dato all'Europa, almeno fin dall'Ottocento, una tradizione consistente e influente di antigiudaismo e antisemitismo cattolici e, nel Novecento, un'ideologia e un movimento politico come il fascismo», scrivono i curatori nell'introduzione al primo volume, sintetizzando quando emerge dai saggi che prendono in esame la storia degli ebrei nel nostro paese dall'emancipazione dell'Ottocento - i primi a concederla furono i Savoia nel 1848 - fino alla deportazione, per molti senza ritorno, verso i lager nazisti di Germania e Polonia.
Questo mentre nel secondo volume dell'opera, dopo aver descritto il progressivo affiorare della memoria collettiva del paese di ciò che Primo Levi definiva come il "buco nero" della coscienza europea e l'evoluzione della percezione degli ebrei nella società - dove al ricordo dell'Olocausto si sono sempre più spesso aggiunti gli echi del conflitto tra israeliani e palestinesi -, si giunge ad interrogarsi proprio sulle forme attuali di ricordo e "celebrazione" della Shoah. «La memoria culturale che si profila a conclusione di questo processo è un campo magnetico - scrivono Flores, Levis Sullam, Matard-Bonucci e Traverso - in cui interagiscono elementi diversi, dalla trasmissione transgenerazionale del ricordo dei testimoni alla reificazione dell'industria dello spettacolo, dalle politiche educative della scuola alla liturgia commemorativa dei governi, e dei poteri locali. Alcuni saggi indicano lucidamente la coesistenza problematica e conflittuale delle virtù civiche e dei pericoli di banalizzazione, talvolta anche di strumentalizzazione politica, che caratterizza la massiccia presenza della Shoah nello spazio pubblico». E' in questo contesto che è emersa proprio la scelta di fare dell'anniversario della liberazione di Auschwitz "il Giorno della Memoria", in ricordo della Shoah. Un'occasione che, a dieci anni dalla sua istituzionalizzazione, rappresenta ancora oggi una "possibilità" più che un dato acquisito. Come inducono a pensare anche le parole di David Bidussa che, non a caso, concludono questa Storia della Shoah in Italia. Il problema, spiega infatti il direttore della Biblioteca della Fondazione Feltrinelli di Milano, non è tanto "se", ma "come" ricordare e se poter «considerare quell'occasione (il 27 geannio) come il momento in cui (...) il singolare, il familiare, il collettivo e molte forme, figure, livelli e funzioni della storia e della sua narrazione danno luogo a un modo adulto di confrontarsi con il passato». «Non è solo un dato tecnico in un paese che complessivamente ha un rapporto instabile con la propria storia - scrive Bidussa -, e che anzi ha fatto spesso del rifiuto di riflettere sul proprio passato il viatico per coltivare un'immagine mitica del proprio Io. Anche per questo il Giorno della Memoria potrebbe costituire un'opportunità, se rappresenterà un possibile percorso di fuoriuscita dalla metafisica dell'identità. Il futuro del Giorno della Memoria come dimensione pubblica e, soprattutto, come dimensione civica sta in questa consapevolezza».
Gu. Ca.


Liberazione 23/01/2011, pag 16

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