giovedì 20 gennaio 2011

Dialogo militare Cina-Usa, si discute di Taiwan e Corea

Concluso il viaggio di Gates a Pechino rinviato di un anno per la crisi delle armi all'isola
Settimana intensa per Robert Gates, numero uno del Pentagono Usa in visita in Cina. Dopo aver incontrato diplomatici e militari, ieri è stata la volta dell'incontro con il presidete Hu. Come in altre occasioni precedenti - il capo della Difesa Usa è uno dei principali interlocutori della CIna - il clima è cordiale. L'idea di fondo - nel linguaggio ufficiale, ma anche nella realtù dei fatti - è quella secondo cui il dialogo e la collaborazione sono indispensabili al rapporto tra le due superpotenze, una in declino, ma ancora molto più forte militarmente, l'altra in ascesa economica e con un budget per l'esercito che cresce ogni anno. «È nell'interesse di entrambi i Paesi che sulle questioni militari e sulla difesa ci sia cooperazione e ciò è possibile solo attraverso un dialogo aperto» ha dichiarato Gates. «I nostri presidenti Hu Jintao e Barack Obama - ha spiegato - ritengono sia necessario mantenere rapporti militari saldi e io farò tutto ciò che è in mio potere per raggiungere questo obiettivo».
Hu Jintao si è detto contento della ripresa del dialogo militare, utile a rinnovare la fiducia e reciproca. Secondo il presidente cinese la visita di Gates - rimandata di una anno per via di un contratto di vendita di armi americane a Taiwan - è un importante passo avanti in questa direzione.
Da parte sua Lang, che oltre alla carica di ministro ricopre anche il ruolo di generale dell'Esercito popolare di liberazione (PLA), ha osservato che «su molte questioni le nostre posizioni combaciano, ma su altre permangono delle frizioni. Ed è su quest'ultime che dobbiamo lavorare con trasparenza: gli Usa possono contare sulla Cina».
Incidenti di calcolo, incomprensioni e interruzioni nel dialogo militare sono evitabili solo se «i legami tra Cina e Stati Uniti non sono soggetti ai mutevoli venti politici» hanno concordato i due leader.
Tutto bene quindi? La volontà di non confliggere permane: i due Paesi sono troppo legati gli uni agli altri per confliggere. Ma alcune questioni pesanti rimangono. Anche al di fuori della sfera economica.
La vendita di armi a Taiwan è la frizione più forte. Sebbene sia un po' un paradosso. La Cina pensa all'isola indipendente come ad una propria provincia. Vero in termini geografici, non più dal punto di vista della società. Gli scambi e le relazioni con Taiwan vanno bene, l'importante è che il governo di Taipei non nomini mai l'indipendenza. Una politica piuttosto ipocrita da parte delle due spnde cinesi, insomma, va bene a tutti. Fino a quando Taiwan non chiede armi agli Usa. e questi glie le vendono. Anche in questo caso, il gesto è simbolico: l'isola non potrebbe mai difendersi davvero da un'invasione cinese senza l'intervento diretto americano. Eppure, il nazionalismo cinese rende la questione dell'isola un nervo scoperto.
La trasferta cinese viene vista da molti funzionari statunitensi come l'occasione per consentire progressi su temi caldi legati alla sicurezza; come, ad esempio, la questione del programma nucleare iraniano sulla quale Washington insiste affinchè Pechino dimostri una maggiore durezza. La Corea del Nord sta diventando una «minaccia diretta per gli Stati Uniti» e potrebbe sviluppare «un missile balistico intercontinentale nel giro di cinque anni». ha detto Gates.
r.e.

Liberazione 12/01/2011, pag 7

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