mercoledì 19 gennaio 2011

Siamo sicuri che la modernità sia davvero nata in Europa?

"Rinascimenti", l'ultimo saggio di Jack Goody, uno dei pionieri dell'antropologia comparata
Guido Caldiron
Nel 1855 lo storico francese Jules Michelet utilizzò il termine "Rinascimento" per definire ciò che presentava come la «scoperta del mondo e dell'uomo» avvenuta nel corso del XV secolo. Un forte rinnovamento culturale e scientifico si era infatti sviluppato negli ultimi decenni del XIV secolo e nei primi del XV secolo principalmente a Firenze, per diffondersi poi progressivamente in tutta Europa. Così, se c'è chi identifica questa fase della storia umana con la scoperta del Nuovo Mondo nel 1492, in molti fanno risalire l'inizio di tutto al 1302, l'anno in cui Giotto diede il via a una nuova tecnica che avrebbe cambiato per sempre l'arte e la cultura. Volgendosi ai classici greci e latini e superando così i molti tabù introdotti dall'ossessione religiosa del Medioevo, l'Europa si avviava a quel processo che l'avrebbe condotta verso la modernità. Fin qui, più o meno, il quadro all'interno del quale si è abituati a leggere l'avvento e il significato del Rinascimento, spesso considerato proprio per questo anche come la fase di debutto dell'egemonia occidentale sul pianeta: se l'Europa ha "inventato" il Rinascimento che ha a sua volta creato le condizioni per lo sviluppo culturale, scientifico, politico e economico moderno, è evidente come la modernità che governa il mondo non possa che essere monopolio dell'Occidente.
E se le cose non fossero andate proprio così? Se invece di un unico Rinascimento di marca europea ne fossero esistiti molti, ad esempio in estremo Oriente, nel resto del bacino del Meditteraneo o nell'insieme delle terre dell'Islam? E' questa la tesi sostenuta da Jack Goody, considerato uno dei pionieri dell'antropologia comparata, nel suo ultimo libro, Rinascimenti. Uno o molti?, appena pubblicato da Donzelli (pp. 380, euro 28.00). L'intellettuale britannico, classe 1919, professore emerito di Antropologia sociale presso il St John's College di Cambridge, che è stato insignito del titolo di baronetto per "meriti scientifici" e di cui nel nostro paese sono usciti negli ultimi anni Islam ed Europa (Raffaello Cortina, 2004), Capitalismo e modernità (Raffaello Cortina, 2005) e Il furto della storia (Feltrinelli, 2009), si propone di dimostrare così come la nostra idea di modernità sia perlomeno superficiale e come si sia costruita a partire da un'impostazione eurocentrica dell'analisi e della ricerca. Alla base di questo suo lavoro Goody ha così posto, come spega egli stesso, «il desiderio, non di abolire o di ignorare, ma di modificare l'idea di unicirà europea sia nell'antichità che nel Rinascimento; non intendevo negare all'Europa l'indubbio promato che ebbe nel XIX e nel XX secolo, ma di situarlo nel suo contesto storico e culturale, come gli attuali eventi in Cina, India e altrove non mancano di dimostrare». Del resto, in passato, «le ipotetiche divergenze tra Oriente e Occidente erano molto meno ovvie che quelle rivendicate da una storiografia europea etnocentrica e teleologica, concretizzatasi verso la metà del XIX secolo, in un'epoca in cui l'Occidente evidentemente manteneva la supremazia nell'economia e, più in generale, nella società dell'informazione».
In altre società dotate di una cultura scritta e dove si poteva indicare, al pari di quanto fatto in Europa con l'antichità greca e latina, una sorta di "età dell'oro" cui attingere per trovare a un tempo le proprie radici e una base per rinnovarsi e guardare con fiducia al futuro, è accaduto qualcosa di simile a ciò che si produsse nella Firenze tra il XIV e il XV secolo. «L'utilizzazione del termine "Rinascimento" - scrive Goody - o rinascita in Occidente implica il seguente concetto: la storia europea è considerata un processo culturale più o meno continuo sin dai tempi antichi, con un precedente periodo di eclisse, una sorta di depressione culturale, durante la quale la cultura smarrisce il suo corso naturale, ma da cui si ristabilisce dopo una transizione, per riprendere il percorso con nuova saggezza e rinnovato vigore». Però, aggiunge l'antropologo, se «dal punto di vista storico, il Rinascimento italiano fu evidentemente unico. Dal punto di vista sociologico, tuttavia, non è soltanto un'esperienza europea, ma anche una più ampia categoria di eventi che avviene in tutte le culture dotate di scrittura e comporta uno sguardo al passato e un progresso in avanti, non sempre combinati in un solo fattore».
Attraverso un minuzioso lavoro da storico della cultura e di comparazione tra le diverse realtà osservate e descritte, Goody giunge così alla conclusione che altri "bacini culturali" hanno avuto un loro Rinascimento e a essi, peraltro, quello europeo ha attinto nei secoli a piene mani. La democrazia, la libertà dell'individuo e dei commerci, lo sviluppo delle scienze, e il capitalismo stesso, non sono frutto esclusivamente della storia moderna del Vecchio continente e non avrebbero conosciuto il loro corso senza le contaminazioni e gli apporti provenienti nel tempo dalla Cina, non meno che dall'India e dall'Islam.
Molti gli esempi forniti a sostegno di questa tesi frutto di un'accurata ricostruzione degli studi svolti dagli esperti delle diverse "materie" prese in esame. Così, citando i lavori dello storico dell'Islam dell'Università di Chicago Marshall Hodgson, Goody indica come si possa parlare di «una vigorosa fioritura della letteratura persiana» nel XV secolo, dello «straordiario impulso» della cultura cinese sotto i Song; della «grande fioritura» dell'Islam nel periodo del califfato: tutte "rinascite culturali" che non erano minori, «nella creatività o nell'intrinseca novità istituzionale» a quella del Rinascimento europeo.

Liberazione 09/01/2011, pag 14

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