giovedì 20 gennaio 2011

Dalla "nakba" del 1948 al "piombo fuso" di Gaza, sessant'anni catastrofici

La storia di un conflitto e le prospettive in Medio oriente secondo Chomsky e Pappé
Vittorio Bonanni
Proprio pochi giorni fa gli israeliani hanno distrutto uno dei simboli della storia palestinese. Quell'hotel Sheperd, ormai abbandanato da tempo, di Gerusalemme est, il quale invece di essere ristrutturato farà posto a 20 appartamenti per gli israeliani. Un gesto simbolico, emblematico del disprezzo che lo Stato ebraico nutre nei confronti dei loro "vicinissimi" di casa, e che evidenzia, se ce ne fosse bisogno, l'assoluta mancanza di volontà anche solo di cominciare un percorso di pace.
Lo scenario che abbiamo di fronte deve o dovrebbe portare un po' tutti, israeliani ed ebrei in primo luogo, ad interrogarsi su che cosa è successo in questi oltre sessant'anni di esistenza dello Stato d'Israele e quali prospettive si aprono, o non si aprono, per la pace se anche il primo alleato di Tel Aviv, gli Stati Uniti, ha deciso di arrendersi di fronte all'arroganza dell'attuale governo Netanyahu. A questo proposito crediamo sia utile la lettura di un libro certamente controcorrente rispetto al pensiero dominante nei riguardi del conflitto mediorientale. Si tratta di Ultima fermata Gaza (Ponte alle Grazie, pp. 268, euro 16,80) scritto da Noam Chomsky e Ilan Pappé. Due nomi che non avrebbero bisogno di presentazione: il primo è professore emerito di linguistica presso il Massachussetts Institute of Technology e da sempre impegnato in una severa critica alla politica estera statunitense; il secondo è uno storico israeliano, nato ad Haifa, dove ha insegnato per diversi anni per poi essere costretto a trasferirsi in Gran Bretagna, all'Università di Exeter, perché dopo la pubblicazione in particolare di Storia della Palestina moderna. Una terra, due popoli (Einuadi, 2005) e La pulizia etnica della Palestina (Fazi, 2008) la sua vita in patria non era diventata così facile e sicura. Il libro ha il fine di offrire degli strumenti al lettore per capire al meglio la natura del drammatico conflitto che insanguina quella terra almeno da sessant'anni, analizzando sia vicende più attuali, come gli attacchi a Gaza del 2008 e del 2009 e l'assalto assassino alla Freedom Flotilla dell'anno scorso, come nodi più antichi, quali la nakba del 1948, la "catastrofe" secondo i palestinesi, che portò a quella prima cacciata di migliaia di persone dalla propria terra, un evento che proprio Pappé ha reinterpretato come un caso di pulizia etnica. Frank Barat, curatore del libro, è riuscito a combinare interviste e saggi. La prima parte del volume è infatti un dialogo con Chomsky sul grave attacco sferrato a Gaza dall'esercito israeliano. «Nel secondo e terzo capitolo - scrive Barat - Ilan Pappé fornisce lo scenario storico indispensabile per comprendere la Palestina di oggi», ricostruendo «lo sviluppo storico del coinvolgimento statunitense nella questione della Palestina e l'importanza, per Israele, della negazione della nakba. Capirla è fondamentale per comprendere la storia di Palestina e Israele». Nel quarto Chomsky ricorda l'attacco israeliano a Gaza, «nel quinto e nel settimo - scrive il curatore - la parola torna a Pappé, il quale descrive il progredire del movimento in favore di uno stato unico e, da ultimo, i massacri dell'esercito israeliano a Gaza. Il sesto è un dialogo a tre su "la ghettizzazione della Palestina" mentre il libro si chiude con le ultimissime riflessioni di Chomsky sul processo di pace.
La sapiente organizzazione del libro che mescola appunto dichiarazioni e analisi politica utilizza un metodo diacronico che mette con ancora più forza in evidenza il tratto che accumuna le diverse fasi della politica israeliana in tutti questi anni, ovvero l'annientamento di ogni legittima esigenza del popolo palestinese, politica, culturale, sociale e via dicendo. Forse fa eccezione lo storico processo di pace che portò alla firma del 13 settembre 1993, ma è stata quella una parentesi breve e debole, chiusa con il tragico assassinio di Rabin.
Del resto quello che è successo per esempio a Gaza diventa comprensibile solo se si capisce fino in fondo il 1948. Allora, come scrive Pappé, «la condotta militare dei soldati israeliani sul campo di battaglia è diventata un modello per le generazioni a venire e la saggezza degli uomini di Stato di quegli anni rappresenta ancora una pietra di paragone per le classi politiche del futuro». Questo atteggiamento psicologico ha permesso la «cancellazione dalla memoria collettiva dei capitoli sgradevoli del passato - scrive lo storico israeliano - lasciando intatti quelli piacevoli». Una distorsione degli avvenimenti che ha cancellato di fatto la nakba dalla cultura occidentale al punto tale da ignorarla, per esempio, a Torino nel 2008 quando la fiera del libro venne dedicata ad Israele che festeggiava i sessant'anni dalla nascita, "dimenticando" che quell'anno per i palestinesi e la loro storia ricordava al contrario una tragedia immane. Da allora ad ogni crimine commesso dalle autorità israeliana viene dato un peso relativo. Come i pesanti attacchi a Gaza degli anni scorsi. In quel caso i palestinesi pagarono il prezzo di aver votato Hamas e dunque in modo sbagliato. «Gli Stati Uniti - dice Chomsky - affiancarono immediatamente Israele per punire la cattiva condotta dei palestinesi, mentre l'Europa, come al solito, gli trotterelava dietro». Lo Stato ebraico invece può permettersi qualsiasi tipo di governo, anche quello attuale che vede come ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, un razzista che odia i palestinesi e che non può certo essere considerato più evoluto dei dirigenti di Hamas su temi quali la democrazia e il rispetto dei diritti umani. Del resto la logica dei due pesi e due misure è una costante nella storia del conflitto israelo-palestinese. Per esempio, ricorda sempre Chomsky, il 25 giugno 2006 i palestinesi commissero quello che gli occidentali dipinsero come un crimine orribile, la cattura del caporale Gilad Shalit. «Soltanto il giorno prima - scrive il linguista statunitense - Israele aveva rapito due civili a Gaza - crimine molto peggiore che catturare un soldato - e li aveva trasferiti in Israele, violando il diritto internazionale, ma la cosa è ormai routine. A tutto questo l'Occidente non riserva niente di più di uno sbadiglio». Di fronte a questo quadro disarmante, sigillato recentemente dalla resa del presidente degli Stati Uniti Obama di fronte al peggior governo che Israele abbia mai avuto, è lecito chiedersi quali prospettive ci possano essere per israeliani e palestinesi. In realtà chi dovrebbe chiederselo, e cioè gli Stati Uniti, l'Europa, gli Stati arabi, la Cina e l'India, per ragioni diverse, colpevolmente non lo fanno. Certo, alcuni stati latino-americani - Brasile, Argentina, Uruguay, Ecuador, Bolivia, Guyana e anche il Cile governato dalla destra - hanno riconosciuto lo Stato palestinese, e questo è un passo avanti importante, ma in realtà il dibattito sul che fare trova spazio nelle stanze universitarie piuttosto che nei luoghi della politica. Così Ilan Pappé ricorda come l'interesse per uno Stato unico «cresce di giorno in giorno» anche se «non compare sull'agenda di nessuno degli attori di rilievo sulla scacchiera palestinese». «Un'idea - ricorda lo storico - che in passato ha costituito un piano concreto, una strategia e una prospettiva». Lo studioso nel considerare questa opzione si fa parte del fatto che «all'interno e all'esterno della Palestina esiste un nuovo impulso al cambiamento di regime». E «nell'attuale repubblica di Israele, che di per sé rappresenta una soluzione dello Stato unico (oppressivo sul piano etnico e razziale verso i palestinesi, cittadini o assoggettati) si cerca ormai costantemente un mutamento della realtà». Chomsky, dal canto suo, ricorda come questo Stato unico debba essere necessariamente binazionale, pena l'espulsione e lo sterminio della popolazione indigena. E che lo stesso Edward Said, pur favorevole all'idea di una nazione in cui tutti i cittadini (arabi, ebrei, cristiani, ecc.) avessero gli stessi diritti democratici, era stato, ricorda il linguista, «uno dei primi e più espliciti fautori della soluzione dei due Stati». Si può discutere per molto tempo su quale delle due ipotesi sia più realistica. Di fatto possiamo ben dire, senza tema di smentita, che mancano i pressuposti per realizzare sia l'una che l'altra idea, e che per fare ciò servirebbe un mondo che non c'è, come ha dimostrato la rinuncia di Obama. O un mondo tutto da costruire, a partire dal citato riconoscimento sudamericano nei confronti dei palestinesi per finire al diffuso dissenso ebraico nel mondo nei confronti della politica israeliana. Ma, a quanto pare, dopo sessant'anni caratterizzati da morte e distruzione, la strada è ancora lunga e tanto per cambiare dolorosa.

Liberazione 16/01/2011, pag 9

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Titolo Ultima fermata Gaza. Dove ci porta la guerra di Israele contro i palestinesi
Autore Chomsky Noam; Pappé Ilan
Prezzo
Sconto 20% € 13,44
(Prezzo di copertina € 16,80 Risparmio € 3,36)
Prezzi in altre valute

Dati 2010, 220 p., brossura
Curatore Barat F.
Traduttore Manganelli M.
Editore Ponte alle Grazie (collana Saggi)

http://www.ibs.it/code/9788862202138/chomsky-noam-papp-eacute-ilan/ultima-fermata-gaza-dove.html

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