mercoledì 19 gennaio 2011

Le ragioni delle rivolte maghrebine e gli errori dell'Unione europea

Il rapporto euromediterraneo gravato da una mondializzazione non negoziata

Toni Maraini
In Algeria e, soprattutto, in Tunisia, dove da decenni vige un regime di controllo e censura, si stanno dispiegando eventi drammatici che da tempo covavano repressi.
Le loro ragioni sono rimaste troppo a lungo inascoltate da una pluridecennale miopia sui problemi e i malesseri del Mediterraneo (e il tanto declamato Partenariato Euro-Mediterraneo), sulle derive politiche locali, e sugli effetti della geopolitica globale. Gli interessi geopolitici ed economici in gioco sono molteplici, e l'alibi passepartout dell'Islam inteso come elemento di scompiglio, comunemente usato dai media occidentali per spiegare qualsivoglia fenomeno, e non affrontare le vere cause, non può dare risposte. Non è per religione che due ambulanti, uno dei quali padre di famiglia, si sono immolati col fuoco e la popolazione e tanti giovani sono scesi per strada. Ma per un'esasperata disperazione. Una disperazione alimentata da come le politiche locali hanno (e non hanno) gestito le ricadute della mondializzazione neo-liberale.
In un'intervista fattagli nel 1997 da Hélène Bravin e Bernard Ravenel per Confluences-Méditerranée, l'economista algerino Ghazi Hidouchi la definiva «une mondialisation non negociée». Quello che egli allora denunciava come possibili dissesti sociali provocati dalle «déréglementations» finanziarie imposte all'Algeria, e non negoziate a livello nazionale, s'avvera oggi drammaticamente nella realtà. Nonostante l'arricchimento di varie frange sociali (e degli investimenti multinazionali), disoccupazione dei giovani, emarginazione e impoverimento d'interi settori sociali sono l'amara realtà che, al cospetto di un insostenibile carovita, causa le rivolte.
Per un insieme di ragioni particolari, il Marocco rimane per il momento un caso a parte; ma sino a quando? Non va dimenticato - ha scritto Amoroso nel 2001 nel suo Da Qui -, quali che siano le colpe, o i meriti, dei regimi locali, che, la conferenza di Barcellona del 1995 aveva suscitato grandi aspettative sul Parternariato Euro-Mediterraneo e per un "benessere condiviso" ma le cose sono poi andate esattamente nella direzione opposta, segnando l'inizio di un periodo di destabilizzazione e miseria crescente. Per cogliere nella loro complessità i problemi che vive oggi il Maghreb bisogna analizzarli senza dimenticare questo contesto e questa prospettiva.
Purtroppo, invece, di visioni d'insieme l'Italia non sembra averne, e poco o mai si parla, in modo giusto e informato, del Maghreb. E ancor meno si riflette e dibatte per chiedersi come mai si é andati in direzione opposta ad un benessere Euro-Mediterraneo condiviso e per cercare nuove e giuste politiche. Questo non esonera i regimi locali dalle loro responsabilità, ma ci ricorda il peso delle ricadute d'una mondializzazione non negoziata sul Sud del mondo. Ricadute che possono rianimare alcune componenti fondamentaliste, ma, di fatto, a ben vedere e ad ascoltare oggi le voci dal Maghreb, sono piuttosto la gente comune, la cultura e le politiche d'opposizione e sociali che sembrano ritrovare il loro ruolo in questa fase storica.
Come dichiara dalla Tunisia Sofiane (nome fittizio) in un'intervista di Damien Leloup, pubblicata ieri su Le Monde, la disoccupazione e il disagio dei giovani, le disperate condizioni economiche, l'indignazione per il mancato ascolto e la violenza repressiva delle autorità sono certo alla base delle manifestazioni. Ma c'è di più: la determinata ricerca di nuove aperture, d'una formulazione culturale del dissenso e del malessere sociale che trovano eco e sostegno in modo trasversale. La coraggiosa consapevolezza di tutta una generazione (rappeurs inclusi), occupa i canali d'informazione (internet) nonostante oscuramenti e intimidazioni. Rivolte e repressioni hanno scoperchiato e reso visibili i problemi, e nel contempo, e per reazione, dato voce a quel desiderio di libertà di parola che, afferma, Sofiane, «nessuna censura fermerà».

Liberazione 11/01/2011, pag 4

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