giovedì 20 gennaio 2011

«L'immigrazione? Capirla per capire l'Italia del futuro»

Franco Pittau Caritas, coordinatore
del "Dossier Immigrazione"

Stefano Galieni
Franco Pittau è coordinatore del "Dossier Statistico Immigrazione" Caritas/Migrantes, un documento fondamentale per chiunque voglia occuparsi di questo tema. Spesso i suoi percorsi si sono incontrati con quelli di Liberazione che ha sempre utilizzato il dossier come strumento prezioso. Partiamo dal fatto che chi segue dall'interno le tematiche dell'immigrazione e la loro narrazione attraverso i media, si fa una immagine del Paese molto particolare. «La presentazione dell'immigrazione è scarsamente improntata a una visione positiva. Dipende solo dai giornalisti? Questa spiegazione, seppure ricorrente, è parziale e anche inesatta. I giornalisti sono espressione di una società che fa fatica a inquadrare correttamente gli immigrati. Ciò influisce anche sui politici, sugli amministratori, sugli uomini di cultura, sugli operatori sociali e pastorali, su tutti insomma. A mio avviso sarebbe più opportuno rendersi conto di questo deficit e adoperarsi per favorire dei cambiamenti, che, partendo dalla base, avrebbero un effetto a catena. Se in tanti si pensasse così, il cambiamento sarebbe assicurato, quello dei giornalisti come quello dei politici e delle altre categorie».

In un paese che sta mutando, che è già mutato, si scontrano spesso forze contrarie a questi cambiamenti, che non li comprendono, e forze che tentano di accompagnare il percorso senza aumentare le fratture.
Purtroppo è vero che il nostro paese è, nei confronti dell'immigrazione, esattamente spaccato: una metà disposta ad accompagnare l'immigrazione e l'altra metà che si sente di contrastarla. Cosa dire in questa pessima situazione? A quelli favorevoli, si può raccomandare di avere più tenacia nel portare avanti la propria linea, ma anche una maggiore preparazione nel motivarla e un garbo ben diverso nel presentarla agli altri, cercando di convincere chi è dubbioso, senza disprezzare, senza insultare e senza perdere la pazienza perché una quota di quelli che stanno dall'altra parte serve per far prevalere la linea giusta della quale si è portatori. Qualche parola va detta anche per i recalcitranti, non per quelli che lo fanno per partito preso, ma per quelli (molto numerosi) che sono ispirati a un senso positivo della vita e del rapporto con gli altri, ma vedono ancora l'immigrazione in maniera strabica: a loro si può dire che non è giusto trascurare i dati statistici e i ragionamenti a medio e a lungo termine. A me piace ricordare che tante cose che a noi sembrano un diritto scontato (la copertura sanitaria, il pagamento in caso di malattia e maternità, l'indennizzo in caso di infortunio o la partecipazione elettorale di ogni cittadino) venivano ritenute assurde e da rigettare dal buon senso dell'epoca.

A dare però la linea sono poche fonti di informazione e poche forze politiche che sembrano decidere e decifrare per tutti mentre sotterraneamente si muovono spesso altre forze, meno visibili, più positive, che lavorano incessantemente per percorsi di inclusione biunivoca. Condividi?
Non esito a riconoscere che non necessariamente le fonti di informazione con maggiore capacità di presa sono quelle più apprezzabili sull'immigrazione, non necessariamente perché dicono il falso: tra la falsità e la correttezza vi sono diverse sfumature, spesso fuorvianti. Detto questo, ritorno sulla posizione in precedenza espressa. Un operatore presidia la base e lo fa a contatto diretto con i destinatari. Ad esempio, una volta che un lettore del "Dossier" o uno che ha partecipato ai nostri incontri di sensibilizzazione si è convinto dell'autenticità dei numeri che presentiamo, viene immunizzato rispetto alla superficialità che si ritrova in alcune testate. Anche se molte persone lavorano in senso positivo e con efficacia, non mi pare così diffusa la convinzione che questa nostra forza può cambiare in meglio la situazione.

Alcuni fra gli strumenti di informazione come "Liberazione", che hanno cercato di informare e formare attorno a questi temi, oggi rischiano di scomparire perché l'informazione viene trattata come una qualsiasi merce, quindi se non si regge il mercato da soli si deve soccombere. Sei d'accordo con questa logica?
Provengo e lavoro nel mondo della solidarietà, che non è una pura e semplice merce come non lo è l'informazione. Se si realizzassero, attraverso i cambiamenti ipotizzati prima, i cambiamenti alla base, il mercato concepito in maniera diversa reagirebbe in maniera diversa. Naturalmente questa reazione potrebbe essere agevolata da disposizioni legislative e da supporti economici più adeguati.

Molti strumenti informativi, non solo dei partiti ma anche legati alla editoria sociale e al non profit, sopravvivono ancora grazie alla legge sul finanziamento pubblico. E' previsto un taglio che non terrà conto del valore sociale o culturale delle testate ma che dovrebbe agire indiscriminatamente, cosa ne pensi?
Tutti gli operatori sociali che svolgono un lavoro impegnativo e prezioso, quasi sempre a fronte di un compenso molto limitato, avrebbero tanto da dire sulla ineguale ripartizione delle risorse, riscontrando vistose e ingiustificate sproporzioni. Come cristiano, poi, mi pare doveroso insistere sulla virtù della sobrietà e sul senso della solidarietà con chi ha di meno. Le dimensione sociale e culturale, che a torto possono essere giudicate realtà evanescenti, sono il vero collante della convivenza.

Spesso i problemi per chi come noi si occupa di determinati temi, non nascono solo da avversari esterni quanto dalla nostra difficoltà ad elaborare proposte convincenti, efficaci, a comunicarle con semplicità e senza arroganza. O no?
Condivido pienamente questa tesi. Ci mancano spesso capacità di convinzione, efficacia, semplicità e strategia comunicativa. Non siamo semplici ma arroganti. Ciò porta a concludere che siamo abilitati a muovere critiche nei confronti degli altri e di ciò che non riteniamo giusto, ma dobbiamo anche essere per prima cosa critici nei nostri stessi confronti perché, se le cose stanno andando in modo non soddisfacente, noi non siamo immuni da colpe.

Nell'ultimo Dossier "Per una cultura dell'altro", ponete molto l'accento sulla necessità di fare un salto in avanti nella comprensione di chi è arrivato. Non credi che dal punto di vista dell'informazione continuiamo a produrre giornali "italocentrici", restando incapaci di suscitare l'interesse di chi si è stabilito in Italia? Cosa potremmo fare in proposito?
E' sorprendente che gli immigrati, arrivati alla soglia di cinque milioni, contino così poco nell'ambito delle notizie, eccetto, in negativo, in occasione di qualche fatto di cronaca nera. Come abituarsi a capire che il fenomeno migratorio è di straordinario interesse e in filigrana ci mostra l'Italia del futuro? Non sono in grado di presentare ricette generali, ma una cosa la posso dire. Noi del mondo sociale, che siamo ricorrenti produttori di notizie sull'immigrazione, molte volte siamo straordinariamente noiosi e allontaniamo i giornalisti, giustamente tenuti a suscitare l'interesse nei loro lettori. Perciò, ancora una volta, alla domanda se si può cambiare, rispondo dicendo: si può, a partire da noi stessi.

Liberazione 18/01/2011, pag 12

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