mercoledì 19 gennaio 2011

L'informazione è assediata ma i giornalisti rilanciano

Le "sfide" al congresso della Fnsi (da martedì a Bergamo)
Beppe Lopez
Calo delle vendite e della pubblicità, "strage di piccole testate" (40 giornali a rischio chiusura per i "tagli" di Tremonti ai finanziamenti per l'editoria), crisi occupazionale. E ancora: conflitti di interesse, controllo diretto delle testate da parte dell'élite del potere economico e finanziario, concentrazioni pubblicitarie, omologazione informativa, utilizzazione delle innovazioni tecnologiche per ridimensionare organici e precarizzare il lavoro giornalistico, normative-bavaglio, degrado dello stesso giornalismo "di Palazzo" in azioni ricattatorie e dossieraggio, declino e svuotamento del servizio pubblico radiotelevisivo... In questo quadro di autentica emergenza democratica si apre martedì 11, a Bergamo, il 26° congresso nazionale della Fnsi, il sindacato dei venticinquemila giornalisti italiani (praticamente la totalità dei professionisti, mentre gli iscritti all'Ordine dei Giornalisti, compreso l'esercito dei pubblicisti, assommano a centomila). Si svolgerà, significativamente, a cento anni esatti dalla stipula del primo contratto nazionale di lavoro giornalistico: mentre, in generale, i rapporti fra politica e potere consentono progressivi assalti ai diritti dei lavoratori e allo stesso istituto del contratto nazionale e mentre, nel settore, gli editori hanno ripetutamente tentato negli ultimi anni di cancellare le conquiste contrattuali fondamentali a presidio dell'autonomia e dell'indipendenza degli operatori dell'informazione. Riuscendoci, per ora, solo in parte.
Non c'è alcun aspetto del lavoro giornalistico - e dell'intimo rapporto di causa ed effetto che esso ha storicamente con lo sviluppo della democrazia, con la formazione dell'opinione pubblica, e con la percezione che i cittadini hanno della società, di sé stessi e dei propri diritti - che non sia messo in discussione, per usare un eufemisno. Proprio per questo, fermi restando i danni prodotti soprattutto nel settore dell'informazione da equilibri politici e sociali devastanti, è confortante che, anche in occasione di questo congresso, non si sia riusciti a schiacciare il sindacato su posizioni puramente difensive.
La dirigenza della Fnsi lancia infatti "tre sfide": l'ampliamento della base produttiva, l'ampliamento "con le nostre risorse" del welfare, la tenuta sul fronte dell'etica. E Franco Siddi, segretario uscente, insiste sulla necessità/possibilità di "cogliere le opportunità dell'innovazione tecnologica con lo sviluppo di un'informazione qualificata su varie piattaforme"; di sconfiggere il metodo per cui "le forme di collaborazione siano diventate sostitutive del lavoro dipendente"; di approfondire la linea diretta con l'opinione pubblica che "ci ha consentito di respingere gli attacchi del potere ed in particolare del titolare del conflitto di interessi, il nostro presidente del Consiglio, che vuole un'informazione addomesticata". Una Fnsi, nella traduzione del presidente Roberto Natale, che vuole essere sempre più un vero e proprio "soggetto politico", come è accaduto in particolare con le sue iniziative di lotta e mobilitazione sulla "legge bavaglio".
Un'auto-rappresentazione e un programma molto ambiziosi, da parte di un sindacato che, occorre non dimenticarlo, è unitario. Nel senso che vi sono iscritti praticamente tutti i giornalisti italiani, indipendenti e intruppati, di destra e di sinistra, "movimentisti" e "corporativi". Anche l'attuale maggioranza - che dovrebbe confermare Siddi e Natale nei loro ruoli - è trasversale, come peraltro la minoranza.
E' sull'"ampliamento della base produttiva" - il dato strutturale - che si gioca l'intera partita del recupero di un minimo di dignità e di autonomia da parte della categoria, e di spazi di indipendenza e di pluralismo all'informazione. Qui si scontano errori e sottovalutazioni compiuti, anche dal sindacato, prima ancora dell'avvento di Berlusconi e del "conflitto di interessi". Vogliamo parlare della lottizzazione selvaggia della Rai? E la mancanza di "editori puri"? E la concentrazione in pochissime mani - di banchieri e finanzieri - di quote progressivamente crescenti e ormai prevalenti del comparto editoriale, a cominciare dal monte-vendite dei quotidiani? Vogliamo dimenticare che la "legge per l'editoria", sin dall'inizio, anche col concorso del sindacato, è stata concepita e piegata alla salvaguardia dell'esistente, agli interessi delle grandi concentrazioni editoriali, alla nascita e al sostentamento di fogli di Palazzo e al mantenimento di poche testate "critiche" in stato di ricatto permanente? E non è stata forse perseguita e comunque consentita la desertificazione dell'informazione regionale e indipendente?
Altro che "ampliamento della base produttiva". Per decenni si è difeso l'esistente, esponendosi - come infatti è avvenuto - al suo restringimento progressivo. E gli ultimi dati sullo stato di salute dell'editoria informativa confermano amaramente, come si dice, il trend. Negli ultimi tre anni "abbiamo avuto 700 uscite, e senza ricambi", ricorda Siddi. Dopo aver strangolato lo strangolabile, con un prodotto insieme di qualità e popolare, "nazionale" e "locale" (i periodici allegati, le pagine regionali, i "panini", ecc.) e abusando indisturbati della propria posizione dominante, le due più importanti testate quotidiane, ad esempio, registrano stagnazione e flessione: in un anno, le vendite del Corriere della Sera e di Repubblica sono calate del 12,9 e del 7,8% (analogamente a quasi tutte le altre testate, prima fra tutte Il Sole 24 Ore: -14,1%). Le vendite pubblicitarie di quotidiani e periodici sono ulteriormente scese, rispettivamente, dello 0,7 e del 7,3%.
Qui ed ora, ha ragione Siddi: la sfida n.1 è proprio l'ampliamento della base produttiva. Un discorso che può essere ripreso - o meglio, finalmente iniziato - cogliendo "le opportunità dell'innovazione tecnologica con lo sviluppo di un'informazione qualificata su varie piattaforme". Con l'intreccio fra le diverse piattaforme, non considerandone la pratica come un'esclusiva di certi livelli imprenditoriali e quindi di poche conglomerate finanziario-editoriali. Va dunque non solo neutralizzato il pericolo che il governo lasci decadere a marzo il divieto di intreccio fra proprietà di Tv nazionale e proprietà di un quotidiano ("Mediaset potrebbe acquistare il Corriere della Sera"), ma finalmente vanno introdotte norme anti-trust anche nel settore dei quotidiani e dell'informazione periodica su carta stampata. Va risanato veramente la giungla delle testate finanziate dello Stato, non tagliando qui e là (e di fatto solo ed esclusivamente ai danni delle piccole testate, comprese quelle effettivamente "cooperative" e "organi di partito"), ma ponendosi coraggiosamente la questione epocale della distinzione fra l'editoria "di mercato" e l'editoria "di qualità" (indipendente, di opinione e soprattutto locale).
Solo con una base produttiva più ampia, la categoria dei giornalisti potrà fare la propria parte per migliorare l'informazione e per porsi realisticamente obiettivi "etici" che riguardino l'intera società (per esempio, risollevando l'Italia dal 24° posto, su 25 paesi, della classifica di Freedom House sulla libertà di stampa). E però, intanto, se non viene rimossa o bloccata le fontiprimarie dell'inquinamento etico dell'informazione (e della democrazia) italiana, sarà ragionevolmente difficile sperare in condizioni praticabili per una diffusione - che lo stesso mercato consentirebbe - di medie e piccole aziende editoriali e di strumenti di informazione liberi, legati ai bisogni e alle aspettative dei cittadini.
Se ne esce con la piena consapevolezza che, specie in Italia, la questione informativa non è solo un pezzo della questione democratica, ma la riflette pressoché nella sua interezza: dominanza del ceto finanziario, subalternità della politica, autoreferenzialità di casta, abuso di posizioni dominanti e di risorse pubbliche... Una consapevolezza che ha indubbiamente animato spesso l'iniziativa e le conquiste sindacali di una categoria pur complessa ed eterogenea come quella dei giornalisti, ma che viene oggi pesantemente insidiata. E che sarà al centro del congresso che si apre martedì a Bergamo. Un congresso dal quale si potranno ricavare significativi elementi per capire non solo il destino di una categoria a uno snodo storico della sua stessa esistenza, ma anche qualcosa di più su questa tormentata fase della democrazia italiana.

Liberazione 08/01/2011, pag 6

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