mercoledì 19 gennaio 2011

«Conosco bene la censura qui in Italia è solo più ipocrita»

Amara Lakhous scrittore romanziere algerino
Stefano Galieni
«Io in fondo sono un privilegiato. Sono figlio di due culture, di due mondi, posso osservare le cose avendo diversi parametri di riferimento» Amara Lakhous non rinuncia a partire dalla propria storia personale. Nato in Algeria, dapprima studente in filosofia, è arrivato in Italia nei primi anni Novanta, animato da una profonda curiosità intellettuale che ben presto si è tradotta in romanzi che hanno riscosso un ottimo successo. Da Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio tradotto in numerose lingue è stato tratto anche un film, l'ultimo, Divorzio all'islamica in Viale Marconi è forse ancora più incisivo. Il pretesto per entrambi i libri è una trama da noir, che serve a parlare di identità, stereotipi, comportamenti e paure reciproche che nella metropoli romana vedono protagonisti gli autoctoni e i cittadini di fede islamica. Con Lakhous parlare di libertà di informazione assume un significato particolare, è inevitabile cadere nel termine "censura". «Parlare di questi temi è per me riaprire una ferita profonda - confessa - nel mio Paese si trattava di qualcosa praticato alla luce del sole e credevo da giovane che in Italia questo non potesse accadere. Ma da voi si sceglie l'ipocrisia. Si negano le basi del pluralismo tagliando le risorse. Quando sento un ministro come Tremonti dire che "la cultura non si mangia", penso che l'idea che si possano tagliare risorse alla cultura e all'informazione presupponga una scarsa considerazione della democrazia. Queste sono cose fondamentali per la vita di un paese, non possono essere calcolate meramente su un piano economico. Si tratta, secondo me, della scelta di voler uccidere voci contrarie o comunque critiche rispetto al potere. Cancellando o riducendo i fondi ci si ritrova nella stessa situazione di molti regimi arabi». Anzi, secondo Amara Lakhous, paradossalmente ma non troppo, esistono esempi nel mondo arabo che dovrebbero insegnare, soprattutto ad un Paese come l'Italia in cui il 50% delle emittenti televisive è del presidente del consiglio e l'altra metà è sotto il suo controllo: «Penso alla storia forse poco conosciuta di Al Jazeera. A formarla sono stati giornalisti arabi provenienti dalla Bbc; un emiro dell'Arabia Saudita aveva dato i finanziamenti necessari lasciando carta bianca per la linea editoriale. Poi è andato in onda un servizio sulla pena di morte sotto il regime saudita che ha dato fastidio. Sono sorti problemi e i giornalisti se ne sono andati, riprendendo la testata sotto l'emiro del Qatar, più liberale. Oggi Al Jazeera è una fonte di informazione importantissima in tutto il mondo. In Italia la situazione è di certo diversa e uno dei punti critici è legato alla cattiva informazione che è circolata attorno al tema del finanziamento pubblico. Si confondono con superficialità testate utili al dibattito democratico e che contribuiscono alla maturazione del Paese come Liberazione con altre che con la democrazia non c'entrano nulla o che ricevono anche altre fonti di finanziamento. Ci sono giornali di destra che non vanno molto bene ma reggono perché hanno assicurate enormi entrate pubblicitarie e in più ricevono il finanziamento pubblico. Anche tutto questo parlare della casta dei giornalisti, in alcuni casi è vero ma molte altre volte è solo demagogia». Ad Amara Lakhous non piace gran parte dei quotidiani in edicola, per questo ritiene importante la presenza di testate come Liberazione, il manifesto e altre: «Da osservatore mi sembra di vedere spesso un approccio banale e superficiale nel raccontare le cose, in cui l'emotività, il parlare alla pancia prevale rispetto alla voglia di fare informazione. Ho avuto modo di approfondire la questione dopo l'11 settembre, non a caso l'ultimo romanzo è dedicato anche al ruolo negativo dei media nel raccontare l'immigrazione musulmana. Si assume ad esempio l'idea che i padri musulmani ammazzino le figlie che diventano troppo occidentali, rimuovendo l'idea che a volte ad uccidere mogli, fidanzate e figlie sono maschilisti italiani e cattolici. Penso anche alla strage di Alessandria d'Egitto. Si tratta di un atto terroristico condannato dalla maggior parte dei musulmani. Immediatamente c'è stato chi ha reagito dicendo che non si può costruire una moschea a Torino e su questo trova consenso. Accade perché è passata l'idea che l'Islam non accetti le chiese. In realtà ci sono paesi in cui le religioni convivono e paesi in cui ci sono forti difficoltà ma la religione è qualcosa che va oltre le frontiere di un paese e oltre un governo. Vietare un luogo di culto ad un cittadino marocchino perché alcuni criminali terroristi hanno ucciso persone in Egitto è senza senso». Lakhous, in passato, ha anche lavorato in un'agenzia stampa. Un punto di vista privilegiato per ragionare di informazione: «A guardare i giornali mettendoli in fila sembra che i direttori si siano accordati la sera prima per l'ordine delle notizie. Rare le eccezioni. Ritengo che questo accada principalmente per ragioni economiche, per vendere di più e acquisire facilmente consenso. Siete in pochi ad avere il coraggio di parlare ad esempio in maniera diversa di immigrazione. Parlare di imprenditoria straniera a Milano non è considerata una notizia degna di interesse, così parlare dei Cpt (I ora Cie, ma è stessa cosa), del reato di immigrazione clandestina, della sanatoria truffa, eccetera. Molti giornali sparano i titoli solo quando c'è qualche reato efferato attribuito ad uno straniero». Secondo lo scrittore se ci saranno i tagli previsti o se le testate resteranno a rischio questo deve diventare un problema sociale, da denunciare con ogni mezzo alla pubblica opinione:« Non potete e non dovete diventare come gli altri giornali, avete un compito culturale importantissimo che serve a tutti. Quindi dovremmo mettere in piedi una forma di resistenza pacifica e popolare per cambiare le cose. Avere momenti pubblici, cercare il sostegno di artisti, musicisti, attori, e impegnarsi, ognuno come può. Abbiamo capito bene che la libertà di informazione non è un tema astratto ma concreto che si risolve avendo gli strumenti per poter pubblicare le proprie idee. Io sono con voi se serve, nel mio piccolo mi impegnerò e lo farò con molto piacere».

Liberazione 05/01/2011, pag 12

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