giovedì 20 gennaio 2011

«Il Sessantotto dei giovani del Maghreb chiede libertà, democrazia e futuro»

Benjamin Stora
Tra i maggiori storici francesi, specialista della guerra d'Algeria e delle società del Maghreb
Guido Caldiron
«Le rivolte a cui stiamo assistendo in questi giorni sono frutto della crisi economica che si è abbattuta sul Maghreb come sul resto del mondo, e in modo particolare sui paesi del Mediterraneo. Solo che in società come quelle dell'Algeria, della Tunisia e del Marocco questa crisi si è sviluppata all'interno di un vero deficit democratico, all'ombra di regimi che, pur con le loro differenze, non lasciano alcuno ai loro cittadini. Perciò, si potrebbe dire che di fronte alla crisi economica le persone si sentono impotenti e isolare, visto che le istituzioni dei loro paesi sembrano pensare solo a preservare il potere di chi le controlla, e spesso anche da molti anni».
Benjamin Stora è considerato uno dei maggiori storici francesi, nato a Costantina in Algeria nel 1950, ha studiato a lungo il conflitto franco-agerino, la storia del nazionalismo algerino e i rapporti tra i paesi del Maghreb e la Francia. Insegna la storia del Maghreb contemporaneo, la decolonizzazione e la storia dell'emigrazione maghrebina in Europa all'Università di Paris 13 ed è presidente del Consiglio scientifico del polo Maghreb del Centro francese di ricerche all'estero, coordinato dal Cnrs e dal MInistero degli esteri di Parigi. Ha pubblicato oltre una trentina di saggi, tra cui Les trois exils, Juifs d'Algérie (Stock, 2006), Immigrances : L'immigration en France au XXe siècle (Hachette, 2007), La guerre des mémoires - La France face à son passé colonial (Editions de l'aube, 2007) e Lettres, récits, et carnets des Français et des Algériens pendant la guerre d'Algérie (Editions Les Arènes, 2010). Lo abbiamo raggiunto al telefono a Berlino dove sta svolgendo un ciclo di conferenze dedicate all'indipendenza algerina del 1962.

Professor Stora, cerchiamo di dare un volto ai protagonisti delle rivolte che stanno avendo luogo in Algeria e in Tunisia: cosa sta accadendo nelle società del Maghreb?
Credo si debba partire da un elemento. In particolare l'Algeria è sempre di più una realtà urbana. Ma il processo di urbanizzazione che sta gonfiando le periferie dei centri maggiori, porta con sé diverse conseguenze sul piano sociale: una maggiore domanda di lavoro, di alloggi e di "svago". In buona parte del paese, quasi solo ad eccezione della capitale, dopo le otto di sera non c'è più niente da fare: avere vent'anni in un simile contesto non è certo facile. Non si deve credere che gli unici elementi che attraversano le società del Maghreb siano riconducibili alla religione islamica. La modernità si è fatta largo tra gli algerini e li pone davanti a sempre nuove domande: ancora alla fine degli anni Settanta il tasso di fecondità nel paese era di 6/7 figli per ogni donna, oggi siamo arrivati a 2. Ciò significa che le persone cominciano a guardare ad altro, la possibilità di avere un casa o un lavoro decente, o magari soltanto di non essere più disoccupate, diventa prioritario.

In particolare in Algeria non è la prima volta che il regime di Bouteflika si deve misurare con la rivolta delle nuove generazioni, era già accaduto alla fine degli anni Ottanta e negli anni Novanta sia tra la popolazione berbera che nelle grandi città. In quello che sta accadendo ora vede qualche rapporto con queste vicende?
In comune, queste rivolte hanno il sentimento che muove i loro protagonisti: quello che il sistema politico sia bloccato praticamente da sempre. Le nuove generazioni si vedono preclusa qualunque ipotesi di accedere al potere o anche semplicemente di partecipare alle decisioni che poi li dovranno riguardare. Non solo, "il tappo" è anche di tipo sociale: in Algeria, come anche in Tunisia e in Marocco anche chi ha in tasca un diploma ha quasi la certezza di finire disoccupato. I giovani tra i venti e trent'anni che hanno fatto spesso molti sacrifici per poter ottenere un titolo di studio superiore, non vedono per sé alcuna possibilità concreta di futuro. Allo stesso tempo, vedono che altri paesi arabi, come quelli del Golfo, sono in pieno sviluppo e offrono molte chance ai loro giovani e che altri paesi "emergenti" come la Cina e il Brasile attraversano un vero "boom". Di fronte a tutto questo i giovani maghrebini sono invece dominati da un senso di inutilità e di immobilismo.

Le cronache ci raccontano di manifestanti molti giovani e di forme di comunicazione, tra la rete e i social network, identici a quelli utilizzati da chi anima le proteste sociali in Europa. Qualcosa di inedito per paesi dove vige un forte controllo sociale, no?
Assolutamente. Si deve tener conto del fatto che quando si parla della globalizzazione economica si parla in realtà anche dei risvolti culturali e sociali di questo fenomeno. I giovani del Maghreb vogliono partecipare allo stesso mondo cui hanno accesso con internet o attraverso gli scambi e i legami che hanno con i loro parenti che vivono in Europa. Sul piano dei consumi culturali, della musica o degli "stili" il Mediterraneo si è fatto sempre più piccolo in questi ultimi anni. Più sono giovani, e cresciuti perciò all'interno del mondo globalizzato, più questi ragazzi desiderano una vita migliore sia sul piano materiale che su quello dell'accesso a quanto desiderano. E invece si scontrano con una realtà politica bloccata, con la disoccupazione di massa e con un clima culturale dominato dall'autoritarismo.

Dopo l'Iran e l'Egitto, attraversati da grandi movimenti di protesta negli ultimi anni, è venuto il momento del Maghreb: possiamo parlare di un Sessantotto delle nuove generazioni arabo-musulmane?
Diciamo che alle società di questi paesi va sempre più stretta la realtà politica che oggi domina la scena. Ci sono generazioni e bisogni che non trovano alcuna rappresentanza nello spazio pubblico e che cercano di conquistarselo ad ogni costo.

Liberazione 13/01/2011, pag 4

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