mercoledì 21 luglio 2010

Obama timido con Wall Street

Non è una vera riforma finanziaria

Nicola Melloni
La riforma finanziaria di Obama, diventata legge giovedì, è un primo passo per regolare le istituzioni finanziarie responsabili in larga parte del collasso del sistema economico avvenuto negli ultimi anni. In tal senso è una riforma importante che cerca di limitare l'arroganza dei banchieri americani, coloro che negli ultimi decenni si sono creduti "padroni dell'universo". Si tratta tuttavia di una legge timida che, partendo da buoni spunti, non riesce ad introdurre una ristrutturazione generale dell'intero sistema finanziario e lascia diversi dubbi sulla sua reale efficacia. Un'impostazione simile a quella della riforma sanitaria: un'azione coraggiosa ma annacquata nei suoi effetti dai troppi compromessi politici con alcune tra le lobby più importanti.
Cerchiamo innanzitutto di capire perché la riforma Obama non può essere soddisfacente da un punto di vista tecnico. In primo luogo la nuova legge crea un organismo ad hoc - il Consiglio per la sorveglianza della stabilità finanziaria - che ha il compito di supervisionare le attività delle banche, onde evitare che il comportamento di uno o più istituti di credito metta in pericolo l'intero sistema finanziario e dunque anche quello economico. Purtroppo tale indispensabile organismo sarà composto, tra gli altri, dai massimi dirigenti della Sec - l'agenzia di controllo della borsa - e della Fed, la banca centrale americana, e guidato dal Ministro del Tesoro, cioè quelle stesse istituzioni e persone responsabili per la mancata supervisione del sistema finanziario negli anni scorsi. Chi ci garantisce che le cose cambino in futuro? Lo stesso Consiglio ha il potere di liquidare gli istituti di credito più seriamente esposti in caso di crisi, senza dover ricorrere ad un piano salva-banche simile a quello del 2008 che ha evitato il fallimento delle grandi banche americane, ma al costo di una impennata del deficit federale - da far pagare ai contribuenti con tagli ai servizi sociali e/o tasse più alte. Ma sarà veramente possibile per un futuro presidente decretare il fallimento di importanti banche?
Certo, il governo avrà il potere di intervenire per smembrare istituzioni finanziarie giudicate troppo grandi e quindi "too big to fail". In tal maniera si spera di poter contrastare il moral hazard di alcuni banchieri convinti di poter rischiare l'irrischiabile per poi tenersi i profitti in caso di scommessa vincente, e di far ricadere le perdite sui contribuenti in caso contrario - i governi, come abbiamo detto, non posso permettere il fallimento di alcuni colossi che metterebbero sul lastrico decine di migliaia di contribuenti e che, date le loro dimensioni, avrebbero un impatto negativo anche sugli altri istituti finanziari. L'azione in questo caso dovrebbe essere preventiva, evitare la formazione di tali banche giganti. Purtroppo però qui si parla di un potere discrezionale del governo e non di un obbligo. Un governo delle banche, come quelli di Clinton e di Bush, potrebbe semplicemente ignorare il pericolo, quando non addirittura incentivarlo.
Un simile discorso può essere fatto riguardo alla creazione di un'Agenzia per la protezione dei consumatori di prodotti finanziari, che sarà associata alla Fed che ha dimostrato di non essere proprio neutrale ed indipendente quando si tratta di controllare le società finanziarie! Inoltre, mentre la legge enuncia i principi base della riforma, l'individuazione delle regole specifiche viene demandata alle stesse Fed e Sec o ad organismi internazionali. Non è però il potere di controllo ad esser mancato in questi anni a tali istituzioni, bensì la volontà di applicarlo e dunque demandare loro la riscrittura delle regole sembra, nel migliore dei casi, un azzardo. La legge inoltre prevede che una buona parte del mercato dei derivati finanziari sia ora sottoposta a regolamentazioni, prima semplicemente inesistenti. E' un'ottima notizia, ma non si capisce perché anche in questo campo vengano fatte delle eccezioni che avranno, come effetto collaterale, la crescita esponenziale dei mercati non ancora regolamentati.
Mancano inoltre alcuni aspetti cruciali. Non viene fatta una netta distinzione tra attività speculative ed attività di intermediazione finanziaria in modo da costringere le banche a scindersi, concentrandosi solamente in uno dei due campi. In tale maniera, le banche d'intermediazione potrebbero essere poste sotto la tutela dello stato, proprio come ora, in maniera da salvaguardare i correntisti, mentre le banche che si concentrano in attività speculative, e quindi più rischiose, sarebbero lasciate al loro destino. Inoltre, come accennato, non esiste un criterio certo per determinare quand'è che una banca diventa troppo grande, anche nel momento attuale di estrema concentrazione non sono all'orizzonte spezzatini bancari per mano di Obama.
Il tentativo del presidente americano sembra peccare di ottimismo. Con la riforma si pensa di aver rimesso il sistema finanziario sotto il controllo del potere politico. In realtà, mancando qualsiasi tipo di meccanismo cogente, viene tutto lasciato alla discrezione del presidente di turno. Presidente che potrebbe essere un amico delle banche - e non sarebbe certo il primo caso! - o semplicemente troppo debole politicamente per inimicarsi Wall Street. Il rischio è, dunque, che i rapporti di forza tra banche e governo rimangano inalterati con tutte le conseguenze del caso: controlli fittizi, tutela pubblica della finanza speculativa.
Bisogna però aggiungere che se si crede di prevenire future crisi finanziarie col solo supporto delle regole allora ci si sta illudendo. Anche regole migliori di quelle attuali potrebbero essere sovvertite mediante la creazione di nuovi strumenti finanziari. Quello che deve cambiare è l'intero sistema economico legato a doppio filo al capitalismo finanziario. Derubricare la grande crisi a un semplice fallimento delle regole sarebbe un errore imperdonabile. Il rilancio del lavoro, la ricostruzione dell'industria, la ridistribuzione più equa (e più economicamente sensata!!!) del reddito sono tutti punti fondamentali per cambiare un sistema marcio abbastanza per farci sprofondare nella peggior recessione degli ultimi 80 anni ma non abbastanza marcio da essere spazzato via dal suo stesso tracollo. Cambiare solo la facciata lasciando inalterate le forze che ci hanno portato al disastro sarebbe davvero un delitto imperdonabile.

Liberazione 20/07/2010, pag 1 e 7

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