lunedì 12 luglio 2010

Crisi e «rischio '29». Ecco le ricette della sinistra

Seminario della direzione del Prc sulle trasformazioni economiche e politiche

Stefano Galieni
Dal crollo di Wall Street del 1929 a Pomigliano D'Arco, passando per oltre ottanta anni di storia economica e sociale del mondo, con i grandi attori di sempre, Stati Uniti, Germania, i nuovi, Unione Europea, Cina, con elementi di ciclicità insiti nel capitalismo. Momenti di crisi strutturale accanto a fasi di sviluppo vero o presunto, in cui in pochi guadagnano profitti e di cui chi lavora paga le conseguenze. La riunione di carattere seminariale della Direzione nazionale del Prc che si è svolta ieri, si era data il compito non certo semplice di affrontare le dinamiche della crisi odierna, trovare spiegazioni e risposte da sinistra capaci di andare oltre le schematizzazioni, di guardare le continue trasformazioni a cui sono continuamente soggetti l'economia, il mercato, così come i sistemi sociali che ne derivano. Un tentativo di sprovincializzare un dibattito fornendo strumenti di analisi e di riflessioni, utilizzando le competenze di economisti, provando ad interrogarsi senza pregiudizi. Nell'introdurre il dibattito Paolo Ferrero ha chiesto che si provasse ad orientare la discussione partendo da 3 nodi fondamentali: la crisi e le politiche speculative, le risposte dell'Unione Europea, le proposte realizzabili per una battaglia politica capace di condurre verso risultati positivi. Ad aprire i lavori Yanis Varoufakis, economista proveniente dalla Grecia, il paese che in maniera più violenta ha cominciato a pagare e a far pagare alle fasce più deboli il crollo del sistema paese. Una relazione lunga ma preziosa, non racchiusa nelle dimensioni della catastrofe greca ma proiettata in un contesto macro economico. «Se le condizioni che attraversano, per ora solo alcuni paesi europei, ricordano da vicino la crisi del 29, il compito di una uscita che non porti di nuovo verso le catastrofi naziste, spetta alla sinistra. Se si ripete la logica per cui il problema è il debito pubblico e la soluzione è quella dei tagli alle spese (welfare e salari), si compie la stessa scelta, quella di mandare un canarino in una miniera per vedere se c'è ancora gas o se ne esce vivo. Una scelta irresponsabile». Yanis Varoufakis, ha provato a ripercorrere il periodo che è seguito alla Seconda guerra mondiale ed è convinto che gli Stati Uniti, ma non solo, stanno cercando di continuare a far pagare ad altri i propri debiti. Anche datando l'inizio di una fase di crisi già alla fine degli anni 60, con fasi alterne e con una complessità di varianti, quello a cui si giunge oggi è un contesto di non ritorno caratterizzato da una gestione a tratti totalmente irrazionale dei processi in atto. Contrazione dei costi del lavoro, un prestito con interessi che rendono difficile il pagamento, l'ingerenza della Bundesbank tedesca e della BCE, hanno messo in ginocchio i lavoratori greci. Chi era ricco di suo ha avuto modo di aver salvi i profitti, nel frattempo il taglio dei salari e delle pensioni, la diminuzione della domanda e la presenza del 25% di lavoratori migranti più facilmente sfruttabili. Un meccanismo infernale in cui gli unici soggetti che ne escono rafforzati sono gli istituti bancari. Per questo una proposta anche di carattere semplice ed efficace su cui però dovrebbe essere l'Europa intera a farsi sentire è quella di fare in modo che si arrivi ad una nuova contrattazione del debito con BCE e FMI tanto da portare i tassi di interesse all'1% per i paesi in disavanzo. In cambio i paesi dell' "Eurozona" potrebbero garantire l'effettiva garanzia di solvibilità del debito. I paesi in disavanzo potrebbero ridurre le spese eccessive - ad esempio quelle militari - ma non i salari, mentre quelli non in disavanzo potrebbero spendere di più. Questo è secondo Varoufakis un concetto che potrebbe trovare interessamento anche in quella borghesia non di sinistra ma che non vuole arrivare alla deflagrazione. Tante le domande poste dai presenti, le risposte hanno portato a disegnare un quadro ancora più fosco in cui non si esclude la rottura del sistema Euro, i tentativi egemonici tedeschi, diversamente valutati, il ruolo che sta giocando la Cina con la rivalutazione dello Youan e la competizione con gli Stati Uniti per capire chi sarà la vera locomotiva del secolo da poco iniziato. Emiliano Brancaccio è partito dal presente, dai fatti di Pomigliano per dire che non esistono borghesi buoni o cattivi, esiste il capitale che fa i propri interessi e Marchionne impersona esattamente questo ruolo. Ed è partito anche dalla lettera dei 200 economisti, pubblicata recentemente anche da "Liberazione" per cercare di trovare i presupposti di una razionalità europea. A suo avviso la crisi si va inasprendo e i rischi di deflagrazione sono potenti. Percepisce una dicotomia fra "liberoscambismo" e "politiche protezioniste" che definisce una contraddizione interna al capitale in cui è necessario incunearsi rifiutando la tenaglia. Ad esempio proponendo che lo scambio di merci sia sottoposto a vincoli rispetto a requisiti di standard salariali da rispettare. Una politica insomma che ricompatti i lavoratori e non li mantenga in concorrenza da paese a paese. Riccardo Bellofiore, ha evidenziato punti di convergenza e di dissenso con chi lo aveva preceduto. A suo avviso prima di parlare di crisi è importante capire di quale e per quale capitalismo, addentrandosi poi schematicamente in una miriade di riflessioni e provocazioni difficilmente sintetizzabili. Secondo Bellofiore il problema della crisi non sta solo nella distribuzione e nei salari quanto nella produzione, il debito pubblico è solo quello privato che ha cambiato nome. Ha poi proposto a Rifondazione la costruzione di un "Ufficio di programma per la politica economica" in cui far crescere conoscenze e consapevolezze e di affrontare la proposta federalista e isolazionista della Lega con un'offensiva per una federazione europea che non sia quella delle monete e dei mercati. Emiliano Brancaccio e Augusto Rocchi (della segreteria nazionale) sono stati in conclusione incaricati di iniziare un lavoro di approfondimento su alcuni temi specifici, secondo Ferrero bisognerà prima dell'estate darsi un altro appuntamento come quello di ieri, magari più mirato per giungere in autunno con una proposta molto più articolata che affronti non solo le questioni del lavoro ma anche quella delle merci, delle politiche finanziarie, delle culture politiche di cui dotarsi.

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Mentre in Italia cresce il numero dei super-ricchi

Calano tutti gli indicatori economici, cresce solo il numero dei ricchi. Anzi: dei superricchi. Si parla dell'Italia, fotografata dal 14° rapporto realizzato da "Merrill Lynch Global Wealth Management". I dati: a dicembre 2009, le persone con un patrimonio netto di almeno un milione di dollari, sono aumentati del 9,2% e ora sono a quota 178.800. L'anno precedente, nel 2008, erano 163.700. Fra i fattori che hanno contribuito all'aumento dei patrimoni, la capitalizzazione della borsa.

Liberazione 23/06/2010, pag 5

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