"Occasioni mancate", un libro dell'antropologo Federico Bonadonna, consulente per anni al comune di Roma
Tonino Bucci
Non si vedono perché vivono negli interstizi delle nostre città. Sono i senza fissa dimora, i senza tetto, gli esclusi finiti sulla strada, c'è anche chi li chiama clochard , non senza una sottile allusione di romanticismo, il più delle volte davvero fuori luogo. Una galassia di tipi umani precipitati nelle pieghe dell'emarginazione per i più diversi motivi, alcuni vecchi, altri sintomatici di nuove povertà. Loro, nell'epoca di google-earth, di internet e del mondo a portata di palmare, è come se non esistessero proprio. Eppure ce li possiamo immaginare, antropologicamente parlando. Potremmo visualizzarli, ad esempio, nelle sembianze di una ragazzina, un'adolescente già vecchia, sul ciglio del raccordo anulare di Roma, in procinto d'essere investita dal flusso quotidiano di macchine; oppure in quelle di un uomo, in pessime condizioni, ubriaco e maleodorante, magari a bordo di un autobus, scansato ed evitato dagli altri passeggeri in evidente imbarazzo.
Ma non è detto che i nuovi poveri della metropoli debbano per forza apparire laceri, contusi e tremolanti. A cadere nell'abisso della strada possono essere anche ex impiegati, ex funzionari, ex manager, fino a poco tempo prima percettori di uno stipendio di tutto rispetto e ai quali la legge inesorabile del rischio in questa società di mercato ha letteralmente mandato in frantumi la vita. Di questa galleria di tipi umani ci parla il nuovo libro di Federico Bonadonna, Occasioni mancate (edizioni l'orecchio di Van Gogh, pp. 272, euro 16), già autore di saggi come Viaggio nell'universo giovanile e In nome del barbone (da cui è stato tratto il film di Francesco Maselli Civico zero ) e con alle spalle undici anni di lavoro per il Comune di Roma nei servizi d'intervento in favore delle persone senza dimora.
«Gli interstiziali sono persone che vivono negli interstizi della metropoli, uomini e donne che hanno in comune la strada, o meglio le sue zone liminali. Gli interstizi metropolitani sono fessure materiali e ideali dove le persone di strada trovano precario rifugio. Secondo il sistema delle categorie sociali tuttora in voga, gente degli interstizi sono i senza tetto, gli zingari, i lavoratori del sesso da marciapiede. Ho collaborato più di dieci anni con la pubblica amministrazione romana, tra il 1997 e il 2008, contribuendo all'ideazione e all'attivazione di servizi sociali per le persone in condizione di marginalità urbana estrema. Questo libro è il racconto di quegli anni e di quei servizi, ma è anche un testo sulle istituzioni e sulla politica».
Potrebbe sembrare un reportage, ma lo studio di Federico Bonadonna è tutt'altro che la descrizione "oggettiva" di un fenomeno. L'intento, anzi, è quello opposto, di restituire al barbone una consistenza soggettiva, un tratto individuale che spesso scompare nelle statistiche e persino in una certa antropologia pseudoscientifica. Quel che più giova alla lettura è semmai la messa in discussione del nostro sguardo sui senza dimora. «Il nostro atteggiamento nei loro confronti è un mix perverso di pietà e di rabbia, disgusto e invidia. Ciò che segretamente invidiamo loro è l'aver abbandonato la corsa contro il tempo, la lotta per un posto al sole, per tenersi a galla, per una carriera in ascesa (e non il contrario). La nostra è una cultura dei risultati, della misurabilità delle prestazioni e del consumo, e chi viola i sacri principi fondativi, chi non crede alla favola, è un deviante. Nulla di romantico: i barboni vivono in una condizione così drammatica, che nessuno vorrebbe fare davvero il cambio».
Ma è soprattutto il linguaggio spersonalizzante dei media, l'universo simbolico della comunicazione, gli artifici semantici di una politica che agisce sempre più a colpi di uffici stampa e comunicati, a finire sotto accusa. I media descrivono i marginali in maniera irrealistica, li riducono a oggetti, chiamando i senza dimora ora angeli sulla strada, vittime della società, poeti ribelli, ora invece, con intenti opposti, nullatenenti, criminali e devianti. «E' sempre un pregiudizio, positivo o negativo, a connotarli».
Finire a dormire per strada non ci vuole poi molto. Giuseppina, alias Ninetta, per esempio, è una pensionata di 85 anni, romana di tre generazioni. Viveva in centro, a Fontana di Trevi, per vicini aveva il presidente Pertini e sua moglie. «Poi un giorno una banca ha acquistato tutti gli appartamenti del palazzo. Prima c'hanno aumentato la pigione e poi, visto che non potevamo permettercela, c'hanno sfrattato. Così, con mia figlia, suo marito e i loro due figli, i miei nipoti, siamo andati ad abitare in un quartiere nuovo, fuori Roma, oltre il raccordo anulare, verso la Cecchignola». D'improvviso una tragica fatalità. La figlia col marito e tutta la famiglia escono un giorno per una gita ai Castelli. Non faranno mai più ritorno, muoiono tutti in un incidente d'auto. «Poi un giorno è arrivato un signore che diceva che dovevo pagare la rata del mutuo altrimenti la banca si sarebbe ripresa l'appartamento. Tra una cosa e l'altra questa storia è durata per un sacco di tempo. Dopodiché sono arrivati l'ufficiale giudiziario e un dottore, hanno sfondato la porta col grimaldello perché io non gli ho aperto, mi hanno fatto una puntura, caricato su un'ambulanza e mi sono risvegliata all'ospedale». Oggi Ninetta vive in un centro d'accoglienza per barboni in attesa di un posto in una casa di riposo.
Ma tra i nuovi poveri compaiono sempre più spesso anche persone che fino a poco tempo prima possedevano uno status sociale invidiabile. Manager, impiegati, funzionari che a causa di un licenziamento o, come accade di frequente per individui maschi, in seguito alla separazione dal coniuge, si ritrovano nell'impossibilità di pagare l'affitto di un appartamento. Prendiamo la storia di Carlo, «quel che si definisce un bell'uomo che ha superato i quarantacinque anni», posto fisso nella pubblica amministrazione, un mutuo a tasso fisso con scadenza nel 2015 per un appartamento in cooperativa alla periferia est di Roma, da dividere con moglie e figlia. «Carlo e Lisa sono una coppia come tante; si sono separati dopo un intenso rapporto d'amore. Quando sono andati in tribunale per la separazione consensuale, il giudice ha affidato la bimba e la casa alla madre e Carlo è stato costretto ad andarsene senza sapere dove, perché in città non ha nessuno. Il mutuo della casa, cointestato, continua a essere pagato da entrambi. In questo modo, lo stipendio di mille e cento euro al mese di Carlo, tolto il mutuo e le spese per il mantenimento della figlia, quasi si dimezza: "E con seicentocinquanta euro come si fa a campare?", si chiede sconsolato». Dapprima si fa ospitare dagli amici, poi va in un paio di pensioni fetide vicino alla stazione a trenta euro a notte e «così, sempre più giù, in un vortice depressivo discendente». Fino a che Carlo non si ritrova a dormire in macchina. «Per qualche mese entra in ufficio la mattina presto per lavarsi. I colleghi e persino il suo capoufficio fanno finta di niente per non metterlo in imbarazzo».
Scene così potrebbero benissimo accadere a Milano come a Napoli, a Palermo come Torino e Bologna, ma anche a Londra e Parigi, a Madrid, Barcellona e Berlino, o ancora ad Atene, Damasco, Tokyo, Buenos Aires e Valparaiso. «Quando a Beirut ovest attraverso Bliss Street proprio sotto Hamra, l'arteria principale del quartiere sciita, incontro spesso Imad, un barbone di un'età indefinibile, secco come un tronco d'albero reciso, davanti l'università americana... Quando non dorme come un corpo senza vita in posizioni improbabili sul ciglio della strada, succhia del vino da una bottiglia occultata in un sacchetto di carta da pacchi. Imad è tollerato in quanto barbone. Fa cose che a tutti gli altri sono proibite... E' l'unica persona che si permette di bere alcolici per la strada in un quartiere sciita. Viola un tabù fondamentale, ma non è ignorato né escluso».
L'Italia è un paese culturalmente avvantaggiato per «interpretare in modo originale» il mito dell'individuo assoluto, del cittadino imprenditore di se stesso, quel self made man che è stato annunciato dalla deregulatione degli anni 80, gli anni del reaganismo-thatcherismo, della deregulation e della sconfitta dei sindacati. Qui da noi la narrazione ideologica dell'individuo-imprenditore - fatta propria dal craxismo prima, dal berlusconismo poi - è diventata un modello biografico, di più, «una necessità quotidiana di massa» cui nessuno sfugge. La società costruita sul rischio è null'altro che uno scenario di guerra in cui gli individui lottano per la vita «tra l'incertezza e la possibilità». Tra lo yuppie e il clochard rimane solo un sottilissimo confine.
Liberazione 22/06/2010, pag 8
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Federico Bonadonna
Titolo Occasioni mancate. Antropologia delle marginalità estreme e politiche sociali per gente degli interstizi
Autore Bonadonna Federico
Prezzo
Sconto 10% € 14,40
(Prezzo di copertina € 16,00 Risparmio € 1,60)
Prezzi in altre valute
Dati 2009, 272 p.
Editore L'Orecchio di Van Gogh (collana Nuove stazioni)
http://www.ibs.it/code/9788887487732/bonadonna-federico/occasioni-mancate-antropologia-delle.html
Titolo Il nome del barbone. Vite di strada e povertà estreme in Italia
Autore Bonadonna Federico
Prezzo
Sconto 5% € 13,78
(Prezzo di copertina € 14,50 Risparmio € 0,72)
Prezzi in altre valute
Dati 2005, 220 p., brossura, 2 ed.
Editore DeriveApprodi (collana DeriveApprodi)
http://www.ibs.it/code/9788888738444/bonadonna-federico/nome-del-barbone-vite.html
Tonino Bucci
Non si vedono perché vivono negli interstizi delle nostre città. Sono i senza fissa dimora, i senza tetto, gli esclusi finiti sulla strada, c'è anche chi li chiama clochard , non senza una sottile allusione di romanticismo, il più delle volte davvero fuori luogo. Una galassia di tipi umani precipitati nelle pieghe dell'emarginazione per i più diversi motivi, alcuni vecchi, altri sintomatici di nuove povertà. Loro, nell'epoca di google-earth, di internet e del mondo a portata di palmare, è come se non esistessero proprio. Eppure ce li possiamo immaginare, antropologicamente parlando. Potremmo visualizzarli, ad esempio, nelle sembianze di una ragazzina, un'adolescente già vecchia, sul ciglio del raccordo anulare di Roma, in procinto d'essere investita dal flusso quotidiano di macchine; oppure in quelle di un uomo, in pessime condizioni, ubriaco e maleodorante, magari a bordo di un autobus, scansato ed evitato dagli altri passeggeri in evidente imbarazzo.
Ma non è detto che i nuovi poveri della metropoli debbano per forza apparire laceri, contusi e tremolanti. A cadere nell'abisso della strada possono essere anche ex impiegati, ex funzionari, ex manager, fino a poco tempo prima percettori di uno stipendio di tutto rispetto e ai quali la legge inesorabile del rischio in questa società di mercato ha letteralmente mandato in frantumi la vita. Di questa galleria di tipi umani ci parla il nuovo libro di Federico Bonadonna, Occasioni mancate (edizioni l'orecchio di Van Gogh, pp. 272, euro 16), già autore di saggi come Viaggio nell'universo giovanile e In nome del barbone (da cui è stato tratto il film di Francesco Maselli Civico zero ) e con alle spalle undici anni di lavoro per il Comune di Roma nei servizi d'intervento in favore delle persone senza dimora.
«Gli interstiziali sono persone che vivono negli interstizi della metropoli, uomini e donne che hanno in comune la strada, o meglio le sue zone liminali. Gli interstizi metropolitani sono fessure materiali e ideali dove le persone di strada trovano precario rifugio. Secondo il sistema delle categorie sociali tuttora in voga, gente degli interstizi sono i senza tetto, gli zingari, i lavoratori del sesso da marciapiede. Ho collaborato più di dieci anni con la pubblica amministrazione romana, tra il 1997 e il 2008, contribuendo all'ideazione e all'attivazione di servizi sociali per le persone in condizione di marginalità urbana estrema. Questo libro è il racconto di quegli anni e di quei servizi, ma è anche un testo sulle istituzioni e sulla politica».
Potrebbe sembrare un reportage, ma lo studio di Federico Bonadonna è tutt'altro che la descrizione "oggettiva" di un fenomeno. L'intento, anzi, è quello opposto, di restituire al barbone una consistenza soggettiva, un tratto individuale che spesso scompare nelle statistiche e persino in una certa antropologia pseudoscientifica. Quel che più giova alla lettura è semmai la messa in discussione del nostro sguardo sui senza dimora. «Il nostro atteggiamento nei loro confronti è un mix perverso di pietà e di rabbia, disgusto e invidia. Ciò che segretamente invidiamo loro è l'aver abbandonato la corsa contro il tempo, la lotta per un posto al sole, per tenersi a galla, per una carriera in ascesa (e non il contrario). La nostra è una cultura dei risultati, della misurabilità delle prestazioni e del consumo, e chi viola i sacri principi fondativi, chi non crede alla favola, è un deviante. Nulla di romantico: i barboni vivono in una condizione così drammatica, che nessuno vorrebbe fare davvero il cambio».
Ma è soprattutto il linguaggio spersonalizzante dei media, l'universo simbolico della comunicazione, gli artifici semantici di una politica che agisce sempre più a colpi di uffici stampa e comunicati, a finire sotto accusa. I media descrivono i marginali in maniera irrealistica, li riducono a oggetti, chiamando i senza dimora ora angeli sulla strada, vittime della società, poeti ribelli, ora invece, con intenti opposti, nullatenenti, criminali e devianti. «E' sempre un pregiudizio, positivo o negativo, a connotarli».
Finire a dormire per strada non ci vuole poi molto. Giuseppina, alias Ninetta, per esempio, è una pensionata di 85 anni, romana di tre generazioni. Viveva in centro, a Fontana di Trevi, per vicini aveva il presidente Pertini e sua moglie. «Poi un giorno una banca ha acquistato tutti gli appartamenti del palazzo. Prima c'hanno aumentato la pigione e poi, visto che non potevamo permettercela, c'hanno sfrattato. Così, con mia figlia, suo marito e i loro due figli, i miei nipoti, siamo andati ad abitare in un quartiere nuovo, fuori Roma, oltre il raccordo anulare, verso la Cecchignola». D'improvviso una tragica fatalità. La figlia col marito e tutta la famiglia escono un giorno per una gita ai Castelli. Non faranno mai più ritorno, muoiono tutti in un incidente d'auto. «Poi un giorno è arrivato un signore che diceva che dovevo pagare la rata del mutuo altrimenti la banca si sarebbe ripresa l'appartamento. Tra una cosa e l'altra questa storia è durata per un sacco di tempo. Dopodiché sono arrivati l'ufficiale giudiziario e un dottore, hanno sfondato la porta col grimaldello perché io non gli ho aperto, mi hanno fatto una puntura, caricato su un'ambulanza e mi sono risvegliata all'ospedale». Oggi Ninetta vive in un centro d'accoglienza per barboni in attesa di un posto in una casa di riposo.
Ma tra i nuovi poveri compaiono sempre più spesso anche persone che fino a poco tempo prima possedevano uno status sociale invidiabile. Manager, impiegati, funzionari che a causa di un licenziamento o, come accade di frequente per individui maschi, in seguito alla separazione dal coniuge, si ritrovano nell'impossibilità di pagare l'affitto di un appartamento. Prendiamo la storia di Carlo, «quel che si definisce un bell'uomo che ha superato i quarantacinque anni», posto fisso nella pubblica amministrazione, un mutuo a tasso fisso con scadenza nel 2015 per un appartamento in cooperativa alla periferia est di Roma, da dividere con moglie e figlia. «Carlo e Lisa sono una coppia come tante; si sono separati dopo un intenso rapporto d'amore. Quando sono andati in tribunale per la separazione consensuale, il giudice ha affidato la bimba e la casa alla madre e Carlo è stato costretto ad andarsene senza sapere dove, perché in città non ha nessuno. Il mutuo della casa, cointestato, continua a essere pagato da entrambi. In questo modo, lo stipendio di mille e cento euro al mese di Carlo, tolto il mutuo e le spese per il mantenimento della figlia, quasi si dimezza: "E con seicentocinquanta euro come si fa a campare?", si chiede sconsolato». Dapprima si fa ospitare dagli amici, poi va in un paio di pensioni fetide vicino alla stazione a trenta euro a notte e «così, sempre più giù, in un vortice depressivo discendente». Fino a che Carlo non si ritrova a dormire in macchina. «Per qualche mese entra in ufficio la mattina presto per lavarsi. I colleghi e persino il suo capoufficio fanno finta di niente per non metterlo in imbarazzo».
Scene così potrebbero benissimo accadere a Milano come a Napoli, a Palermo come Torino e Bologna, ma anche a Londra e Parigi, a Madrid, Barcellona e Berlino, o ancora ad Atene, Damasco, Tokyo, Buenos Aires e Valparaiso. «Quando a Beirut ovest attraverso Bliss Street proprio sotto Hamra, l'arteria principale del quartiere sciita, incontro spesso Imad, un barbone di un'età indefinibile, secco come un tronco d'albero reciso, davanti l'università americana... Quando non dorme come un corpo senza vita in posizioni improbabili sul ciglio della strada, succhia del vino da una bottiglia occultata in un sacchetto di carta da pacchi. Imad è tollerato in quanto barbone. Fa cose che a tutti gli altri sono proibite... E' l'unica persona che si permette di bere alcolici per la strada in un quartiere sciita. Viola un tabù fondamentale, ma non è ignorato né escluso».
L'Italia è un paese culturalmente avvantaggiato per «interpretare in modo originale» il mito dell'individuo assoluto, del cittadino imprenditore di se stesso, quel self made man che è stato annunciato dalla deregulatione degli anni 80, gli anni del reaganismo-thatcherismo, della deregulation e della sconfitta dei sindacati. Qui da noi la narrazione ideologica dell'individuo-imprenditore - fatta propria dal craxismo prima, dal berlusconismo poi - è diventata un modello biografico, di più, «una necessità quotidiana di massa» cui nessuno sfugge. La società costruita sul rischio è null'altro che uno scenario di guerra in cui gli individui lottano per la vita «tra l'incertezza e la possibilità». Tra lo yuppie e il clochard rimane solo un sottilissimo confine.
Liberazione 22/06/2010, pag 8
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Federico Bonadonna
Titolo Occasioni mancate. Antropologia delle marginalità estreme e politiche sociali per gente degli interstizi
Autore Bonadonna Federico
Prezzo
Sconto 10% € 14,40
(Prezzo di copertina € 16,00 Risparmio € 1,60)
Prezzi in altre valute
Dati 2009, 272 p.
Editore L'Orecchio di Van Gogh (collana Nuove stazioni)
http://www.ibs.it/code/9788887487732/bonadonna-federico/occasioni-mancate-antropologia-delle.html
Titolo Il nome del barbone. Vite di strada e povertà estreme in Italia
Autore Bonadonna Federico
Prezzo
Sconto 5% € 13,78
(Prezzo di copertina € 14,50 Risparmio € 0,72)
Prezzi in altre valute
Dati 2005, 220 p., brossura, 2 ed.
Editore DeriveApprodi (collana DeriveApprodi)
http://www.ibs.it/code/9788888738444/bonadonna-federico/nome-del-barbone-vite.html
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