lunedì 12 luglio 2010

Il capitalismo divora anche la geografia

"Lo spazio del capitale", un volume a cura di Giovanni Vertova. La delocalizzazione ha creato una gerarchia complessa di città e distretti

Devi Sacchetto
Negli anni recenti le aree produttive tendono a specializzarsi non più nella fabbricazione di merci finite, ma in segmenti specializzati di una parte del prodotto finale. Lo spazio è quindi fortemente gerarchizzato e separa luoghi a diversa velocità di valorizzazione: sedi delle multinazionali nelle grandi città, centri di innovazione in distretti tecnologicamente avanzati, lavoro di assemblaggio nelle zone di esportazione speciale dove anche l'iscrizione al sindacato più moderato è sufficiente per essere licenziati. La complessa geografia della produzione è oggi basata su una catena estremamente flessibile il cui principio base è quello del lavoro in appalto. In questo processo di rilocalizzazione gli stati-nazione rimangono centrali perché essi si preoccupano di migliorare la competitività dell'azienda-paese, offrendo buone condizioni legislative e magari anche qualche buon finanziamento. Il dilatamento dello spazio in cui la valorizzazione è possibile, e il controllo sui confini da parte di stati-nazione trasformatisi in competitor, sono le due caratteristiche principali di quel fenomeno impropriamente definito globalizzazione. L'azienda statunitense Dell per stabilirsi in Irlanda aveva usufruito di 55 milioni di euro a fondo perduto dal governo di Dublino nei primi anni Novanta (oltre a ottenere altri benefici fiscali) e ha ricevuto 52 milioni di euro dal governo polacco alla metà degli anni 2000 per trasferire lì i propri impianti.
Il volume curato da Giovanni Vertova ( Lo spazio del capitale. La riscoperta della dimensione geografica nel marxismo contemporaneo , Editori riuniti, 2009, euro 15) si sofferma proprio su questi aspetti a lungo trascurati, almeno in Italia. Il volume si propone come un'introduzione a uno dei dibattiti internazionali più importanti del marxismo contemporaneo, quello della configurazione spaziale continuamente variabile del capitalismo. Lo spazio cioè inteso come il luogo in cui avviene la valorizzazione del capitale e, al tempo stesso, soluzione e approfondimento delle crisi capitalistiche.
I saggi qui raccolti presentano le categorie di base della geografia economica di ispirazione marxista che cerca di fare i conti con quanti, da K. Marx a A. Marshall, avevano stabilito una priorità del tempo e della storia sullo spazio e la geografia, cioè dell'universale e dell'astratto sul regno del concreto e del particolare. E' a partire in particolare dal secondo libro del Capitale di Marx, e quindi dalla questione della circolazione del capitale, che si misurano le analisi dei diversi saggi.
Giovanna Vertova e Riccardo Bellofiore nel saggio che apre il volume, sottopongono a critica alcuni paradigmi teorici incapaci di spiegare le "diversità" dei percorsi di sviluppo economico, evidenziando la necessità di integrare l'approccio marxista con alcune delle analisi di J. Schumpeter e J. M. Keynes. I contributi seguenti, tradotti da Michele Dal Lago, si soffermano sui vari aspetti che la dimensione geografica permette di osservare. David Harvey sottolinea la centralità del ruolo dello spazio nel superamento delle crisi, un prodotto inevitabile del sistema capitalista. La continua ristrutturazione delle configurazioni spaziali del capitalismo deve fare i conti con il depauperamento da un lato di quote elevate di "capitale fisso" (cioè fissato nelle infrastrutture) nei vecchi luoghi della produzione e la necessità di ampi investimenti infrastrutturali nei nuovi luoghi di produzione. Al tempo stesso l'espansione geografica del capitale implica l'ampliamento del numero di salariati a livello internazionale e con esso anche l'allargamento dei rapporti sociali che si svolgono direttamente sotto il comando capitalistico.
Proprio sulla differenziazione della forza lavoro tra paesi diversi, ma anche all'interno di uno stesso paese, si soffermano Richard Walker e Micheal Storper. Il mosaico di irregolarità in continua evoluzione che presenta il capitalismo contemporaneo, garantisce secondo i due autori, una continua segmentazione della forza lavoro, così come della sua riproduzione. E' un argomento, questo, ripreso anche nel saggio di Richard Walker e Daniel Buck sulla via cinese al capitalismo, un percorso analogo a quello europeo e statunitense con ripercussioni in termini umani e ambientali comparabili a quelli dei primi decenni della rivoluzione industriale. Ma lo spostamento di una parte consistente della produzione mondiale in Cina sembra però già segnare dei momenti di difficoltà, mostrando quanto i processi di rilocalizzazione produttiva siano solo capaci di ritardare le crisi, mentre d'altra parte ogni spostamento produttivo richiede ampi investimenti fissi in termini di infrastrutture che decelerano la circolazione (e quindi la valorizzazione) del capitale. Alle tensioni spaziali si sommano quelle temporali. Come mette in luce Wayne Hope nel suo contributo gli orizzonti temporali del profitto si sono infatti contratti e l'attività economica ha subito un'accelerazione generale: la trasformazione del tempo da sequenziale a simultaneo, grazie alle tecnologie informatiche, permette ai processi di finanziarizzazione, caratterizzati appunto dalla simultaneità, di funzionare come compressori dello spazio e del tempo della produzione: per competere con le rendite finanziarie il tempo di circolazione del capitale produttivo deve essere continuamente ridotto.

Liberazione 30/06/2010, pag 8

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