Il grande architetto scomparso a quasi 84 anni. Progettista in molte città italiane
Paolo Berdini
«La Roma di Domenico Fontana o la Parigi di Jules Hardouin Mansart hanno retto le integrazioni, le deformazioni e le enormi aggiunte successive proprio perché queste erano state in gran parte condizionate da un disegno iniziale che proiettava la città ben al di là dei confini di stretta utilità e convenienza del proprio tempo, dandone una giustificazione più complessa attraverso la presenza di monumenti architettonici che venivano a costituire i punti di riferimento di un sistema non necessariamente tutto costruito».
Oltre ad essere stato un grande architetto, Carlo Aymonino è stato un intellettuale che ha animato il dibattito culturale sulla città e sull'architettura a partire dagli anni '60. Il brano citato è tratto da "Origini e sviluppo della città moderna", uscito per la prima volta nel 1965, libro in cui l'autore riflette sulle cause e sulle possibili soluzioni delle disfunzioni e della perdita di bellezza della città contemporanea. Aymonino non si limitava dunque ad intervenire nel dibattito più propriamente architettonico, era la città il centro dei suoi interessi. Perfezionatosi, dopo gli studi nella facoltà di architettura di Roma, con grandi maestri come Ernesto Nathan Rogers che lo chiama giovanissimo a collaborare alla rivista Casabella in qualità di redattore romano, ebbe modo di conoscere il mondo culturale milanese.
L'attenzione verso le città derivava poi dalla partecipazione attiva all'esperienza Ina casa. Sono anni di grande effervescenza culturale e la ricostruzione del paese impegna i grandi architetti dell'epoca. Il progetto del quartiere Tiburtino, a cui lavorò (1950-54), era ad esempio coordinato da Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni.
Altra esperienza urbana fondamentale è stata quella della progettazione del quartiere Spine Bianche a Matera, un'opera di grande importanza del neorealismo italiano. La progettazione in quel caso si intrecciò con due fatti di grande importanza. Nacque negli anni immediatamente successivi allo sgombero degli antichi Sassi e l'interesse della questione richiamò molte intelligenze nella città, urbanisti, sociologi ed etnologi. Ancor più importante fu la commissione per lo studio della città voluta da Adriano Olivetti e promossa dall'Unrra-Casas. Olivetti era all'epoca presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica: la città era davvero al centro del dibattito nazionale.
Ecco le radici profonde della complessa visione urbana di cui abbiamo riportato il breve esempio in apertura. Il progetto di architettura deve essere sempre coniugato con una grande sensibilità e attenzione verso la comprensione dell'organismo urbano.
C'è un altro aspetto che mi sembra importante sottolineare. Il testo suscitò un certo dibattito ed alcune critiche. Nell'edizione del 1975, Aymonino riporta, in particolare quelle svolte da Edoardo Salzano e da Leonardo Benevolo. Molti decenni dopo, nel 2005, partecipò insieme a quest'ultimo al concorso per la sistemazione di piazza Augusto imperatore. Mi sembra molto bello che si possa avere una differente posizione culturale e continuare il confronto senza pregiudizi e schemi pregiudiziali. Una buona lezione in tempi in cui il dibattito sulla città è pressoché spento e le differenze sono viste come fatto da riprovare, piuttosto che come elemento di arricchimento.
Alla fine degli anni '60, Carlo Aymonino progetta il complesso abitativo Monte Amiata nel quartiere milanese Gallaratese. E' un esempio ormai famoso nella storia dell'architettura mondiale per l'originalità dell'impianto, per la qualità delle architetture e per la bellezza delle sistemazioni degli spazi aperti. Negli anni successivi continua la sua opera di docente e progettista di architetture in molti luoghi italiani.
Aymonino fece da sempre una coerente scelta di campo militando sempre all'interno del Partito comunista italiano. Quando la siistra conquistò il governo comunale di Roma fu chiamato a svolgere il ruolo di assessore al centro storico (1981-1985). Ma la sua azione cade in un momento in cui dopo la grande spinta dei primi due decenni del dopoguerra, si evidenziano i segni di ripiegamento. Sono lontani i tempi in cui la città è al centro della politica. E sembra smarrirsi nella sinistra il coraggio delle scelte, la tensione verso il cambiamento, la volontà di riformare le città che era stato un tratto peculiare del Pci. Paradigmatica in tal senso fu la retromarcia imposta all'attuazione del progetto Fori imperiali deciso subito dopo la morte di Luigi Petroselli. Oltre che per il merito, la scelta fu disastrosa anche per il metodo: non si aprì il dibattito e la vicenda fu derubricata ad una normale questione amministrativa, una come tante altre.
Ma oltre a tanti progetti realizzati negli anni giovanili e quando fu assessore, Roma deve a Carlo Aymonino uno straordinario gioiello, la grande aula vetrata dove è stato collocato definitivamente la statua equestre di Marco Aurelio. Il luogo dove sorge la nuova aula aveva una storia molto complessa. Nel 1876, nel giardino interno del palazzo dei Conservatori, fu costruito su progetto di Virgilio Vespignani un padiglione ottagonale per ospitare i ritrovamenti archeologici provenienti dagli scavi legati alla prima urbanizzazione post unitaria, in particolare dall'area dell'Esquilino. Il padiglione fu demolito e l'area destinata nuovamente a giardino. Lo spazio disegnato dall'architetto è di grande bellezza, oltre al Marco Aurelio ed altre imponenti sculture, vi si ammirano i resti delle opere di fondazione del tempio di Giove capitolino. E ritornano ancora una volta le parole con cui Aymonino sottolineava che la bellezza delle città sta nel tentativo di forzare i luoghi assegnando loro "una giustificazione più complessa". E grazie a Carlo Aymonino Roma ha avuto un luogo straordinario in più.
Liberazione 06/07/2010, pag 8
Paolo Berdini
«La Roma di Domenico Fontana o la Parigi di Jules Hardouin Mansart hanno retto le integrazioni, le deformazioni e le enormi aggiunte successive proprio perché queste erano state in gran parte condizionate da un disegno iniziale che proiettava la città ben al di là dei confini di stretta utilità e convenienza del proprio tempo, dandone una giustificazione più complessa attraverso la presenza di monumenti architettonici che venivano a costituire i punti di riferimento di un sistema non necessariamente tutto costruito».
Oltre ad essere stato un grande architetto, Carlo Aymonino è stato un intellettuale che ha animato il dibattito culturale sulla città e sull'architettura a partire dagli anni '60. Il brano citato è tratto da "Origini e sviluppo della città moderna", uscito per la prima volta nel 1965, libro in cui l'autore riflette sulle cause e sulle possibili soluzioni delle disfunzioni e della perdita di bellezza della città contemporanea. Aymonino non si limitava dunque ad intervenire nel dibattito più propriamente architettonico, era la città il centro dei suoi interessi. Perfezionatosi, dopo gli studi nella facoltà di architettura di Roma, con grandi maestri come Ernesto Nathan Rogers che lo chiama giovanissimo a collaborare alla rivista Casabella in qualità di redattore romano, ebbe modo di conoscere il mondo culturale milanese.
L'attenzione verso le città derivava poi dalla partecipazione attiva all'esperienza Ina casa. Sono anni di grande effervescenza culturale e la ricostruzione del paese impegna i grandi architetti dell'epoca. Il progetto del quartiere Tiburtino, a cui lavorò (1950-54), era ad esempio coordinato da Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni.
Altra esperienza urbana fondamentale è stata quella della progettazione del quartiere Spine Bianche a Matera, un'opera di grande importanza del neorealismo italiano. La progettazione in quel caso si intrecciò con due fatti di grande importanza. Nacque negli anni immediatamente successivi allo sgombero degli antichi Sassi e l'interesse della questione richiamò molte intelligenze nella città, urbanisti, sociologi ed etnologi. Ancor più importante fu la commissione per lo studio della città voluta da Adriano Olivetti e promossa dall'Unrra-Casas. Olivetti era all'epoca presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica: la città era davvero al centro del dibattito nazionale.
Ecco le radici profonde della complessa visione urbana di cui abbiamo riportato il breve esempio in apertura. Il progetto di architettura deve essere sempre coniugato con una grande sensibilità e attenzione verso la comprensione dell'organismo urbano.
C'è un altro aspetto che mi sembra importante sottolineare. Il testo suscitò un certo dibattito ed alcune critiche. Nell'edizione del 1975, Aymonino riporta, in particolare quelle svolte da Edoardo Salzano e da Leonardo Benevolo. Molti decenni dopo, nel 2005, partecipò insieme a quest'ultimo al concorso per la sistemazione di piazza Augusto imperatore. Mi sembra molto bello che si possa avere una differente posizione culturale e continuare il confronto senza pregiudizi e schemi pregiudiziali. Una buona lezione in tempi in cui il dibattito sulla città è pressoché spento e le differenze sono viste come fatto da riprovare, piuttosto che come elemento di arricchimento.
Alla fine degli anni '60, Carlo Aymonino progetta il complesso abitativo Monte Amiata nel quartiere milanese Gallaratese. E' un esempio ormai famoso nella storia dell'architettura mondiale per l'originalità dell'impianto, per la qualità delle architetture e per la bellezza delle sistemazioni degli spazi aperti. Negli anni successivi continua la sua opera di docente e progettista di architetture in molti luoghi italiani.
Aymonino fece da sempre una coerente scelta di campo militando sempre all'interno del Partito comunista italiano. Quando la siistra conquistò il governo comunale di Roma fu chiamato a svolgere il ruolo di assessore al centro storico (1981-1985). Ma la sua azione cade in un momento in cui dopo la grande spinta dei primi due decenni del dopoguerra, si evidenziano i segni di ripiegamento. Sono lontani i tempi in cui la città è al centro della politica. E sembra smarrirsi nella sinistra il coraggio delle scelte, la tensione verso il cambiamento, la volontà di riformare le città che era stato un tratto peculiare del Pci. Paradigmatica in tal senso fu la retromarcia imposta all'attuazione del progetto Fori imperiali deciso subito dopo la morte di Luigi Petroselli. Oltre che per il merito, la scelta fu disastrosa anche per il metodo: non si aprì il dibattito e la vicenda fu derubricata ad una normale questione amministrativa, una come tante altre.
Ma oltre a tanti progetti realizzati negli anni giovanili e quando fu assessore, Roma deve a Carlo Aymonino uno straordinario gioiello, la grande aula vetrata dove è stato collocato definitivamente la statua equestre di Marco Aurelio. Il luogo dove sorge la nuova aula aveva una storia molto complessa. Nel 1876, nel giardino interno del palazzo dei Conservatori, fu costruito su progetto di Virgilio Vespignani un padiglione ottagonale per ospitare i ritrovamenti archeologici provenienti dagli scavi legati alla prima urbanizzazione post unitaria, in particolare dall'area dell'Esquilino. Il padiglione fu demolito e l'area destinata nuovamente a giardino. Lo spazio disegnato dall'architetto è di grande bellezza, oltre al Marco Aurelio ed altre imponenti sculture, vi si ammirano i resti delle opere di fondazione del tempio di Giove capitolino. E ritornano ancora una volta le parole con cui Aymonino sottolineava che la bellezza delle città sta nel tentativo di forzare i luoghi assegnando loro "una giustificazione più complessa". E grazie a Carlo Aymonino Roma ha avuto un luogo straordinario in più.
Liberazione 06/07/2010, pag 8
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